L’Ucraina, gli anarchici e la guerra
Un gruppo di combattenti anarchici in una foto recuperata su un canale Telegram
Una parte del movimento sembra aver rinunciato all’antimilitarismo per combattere la Russia di Putin. All’interno del mondo anarchico c’è dibattito. Tra Ucraina e anarchia c’è una storia centenaria

19 Agosto 2022 | di Dario Nincheri

Il primo marzo del 2022, un contatto straniero mi ha messo a conoscenza via Telegram dell’attivazione di una rete di reclutamento per anarchici europei disposti ad andare a combattere in Ucraina. L’ultima volta che degli anarchici presero parte a una guerra sul suolo europeo fu nel 1936: quell’estate i primi anarchici italiani arrivarono a Barcellona, per aiutare gli spagnoli a proteggere la Repubblica e i suoi valori dall’assalto dei fascisti di Franco. Quei volontari diedero vita a un’esperienza tanto importante quanto evocativa, a cui parteciparono personaggi iconici della cultura europea del Novecento, da George Orwell a Ernest Hemingway, passando per i fotografi Robert Capa e Gerda Taro (che durante quella guerra morì).

La storia non si fa attraverso paragoni azzardati, l’Ucraina del 2022 non è la Spagna del 1936. Ciononostante una componente antiautoritaria e dichiaratamente anarchica è indubbiamente presente nella vasta compagine dell’autodifesa del Paese (in inglese Territorial Defense Forces, Tdf, ndr). Per quanto non si conoscano esattamente i modi di reclutamento e le stime parlino di circa 150 volontari effettivamente partiti, il solo fatto che, nel cuore dell’Europa, ci sia qualcuno disposto ad arruolarsi sotto le insegne rosse e nere dell’anarchia, costituisce un fatto di indubbio interesse.

Di vita e di guerra, il podcast sulla guerra in Ucraina di IrpiMedia

Dal 12 agosto è disponibile il podcast di Eleonora Vio sul conflitto in Ucraina, Di vita e di guerra. Nelle due puntate del 19 agosto ci si concentra sulle forze territoriali di difesa, in particolare esplorando i loro collegamenti con l’estrema destra.

Gli anarchici alla guerra, una storia riluttante

Anarchismo e difesa dei confini e dello status quo democratico sono compatibili? Secondo il pensiero anarchico, il concetto di patria da difendere è inaccettabile, l’ordinamento democratico capitalista è indifendibile e l’antimilitarismo è una pratica fondante. Tuttavia la Guerra civile spagnola ha segnato un precedente nella storia dell’anarchismo, anche se novant’anni fa la situazione al di là dei Pirenei era decisamente inconsueta: «Sono stato settantacinque giorni in trincea con gli anarchici. Li ammiro. Gli anarchici catalani sono una delle avanguardie eroiche della rivoluzione occidentale. È nato con essi un nuovo mondo che è bello servire», scriveva Carlo Rosselli in una corrispondenza per Giustizia e Libertà il 6 novembre 1936, descrivendo una situazione politicamente inedita per l’Europa continentale.

Un bot (da robot, in questo contesto inteso come un programma che esegue azioni automatiche e ripetitive) su Telegram per il reclutamento di anarchici nel conflitto in Ucraina.

Un bot (da robot, in questo contesto inteso come un programma che esegue azioni automatiche e ripetitive) su Telegram per il reclutamento di anarchici nel conflitto in Ucraina

Dopo la temporanea sconfitta delle forze golpiste di Franco, infatti, la Confederazione nazionale del lavoro (l’organizzazione anarco-sindacalista, Cnt) e la Federazione anarchica iberica rifiutarono di assumere il potere che il presidente della Generalitat, il governo catalano, gli offrì, preferendo organizzare un fronte antifascista popolare incaricato di svolgere le funzioni di polizia ed esercito. I lavoratori, inoltre, requisirono spontaneamente le imprese e, influenzati dalle idee libertarie, procedettero alla collettivizzazione e alla gestione diretta delle fabbriche, dando vita a quello che George Orwell definì «uno stato di cose che mi appariva di colpo come qualcosa per cui valesse la pena combattere».

Fu per difendere quel sogno che partirono molti degli anarchici europei, un sogno lontano nel tempo e nello spazio che, al giorno d’oggi, non pare materializzarsi in nessun luogo d’Europa.

Il contributo anarchico alla guerra civile spagnola

Durante le prime fasi della guerra civile spagnola, a Barcellona, furono i militanti anarchici ad avere ragione della ribellione militare franchista. Organizzati nel loro sindacato, la Cnt (Confederacion National del Trabajo), diedero in quel frangente vita a un vasto movimento tendente alla collettivizzazione dei mezzi di produzione e all’edificazione, su quella base, di una nuova economia e di una nuova società.
Allo scoppio della guerra la Catalogna era una delle zone più industrializzate della Spagna e, tra i suoi lavoratori, erano forti le idee di ispirazione libertaria, trapiantate dai contadini dell’Andalusia e della Murcia che lì si erano spostati per lavorare, tanto che la stragrande maggioranza degli operai sindacalizzati aderiva alla Cnt.

Dopo aver cacciato i franchisti, forti della vittoria, gli anarchici occuparono in breve tempo la maggioranza delle fabbriche (18 mila in tutto il Paese di cui tremila solo a Barcellona), senza che le autorità fossero in grado di opporsi. Tra i loro obiettivi c’era anche quello di dimostrare l’efficienza e la funzionalità del sistema libertario di organizzazione del lavoro, perciò, anche per difendere ciò che avevano ottenuto, parteciparono al governo autonomo Catalano con una larga rappresentanza.

Nel frattempo, nelle campagne, la collettivizzazione delle terre procedeva a ritmo anche più serrato. Persino i contadini, che in massa si erano opposti al golpe sostenuto qui anche dalla Guardia civil, erano infatti per la maggioranza inquadrati nella Cnt.
In Catalogna era quindi in atto una vera e propria rivoluzione, calamita per gli anarchici di tutta Europa. Un’esperienza che però fallì e non soltanto per la vittoria finale della guerra civile che fu di Franco, ma anche, o forse soprattutto, per i contrasti interni al Fronte popolare spagnolo. I Repubblicani democratici e i comunisti, che erano appoggiati dall’Unione sovietica, si opponevano, infatti, all’unificazione tra la lotta di resistenza a Franco e una rivoluzione sociale che non volevano. Con il progredire della guerra, il governo e i comunisti furono in grado di fare leva sul loro accesso alle armi sovietiche per ripristinare il controllo politico e per tentare di obbligare le milizie anarchiche a inquadrarsi all’interno dell’esercito regolare. I contrasti esplosero durante le giornate di maggio del 1937, quando i comunisti cercano di conquistare militarmente il controllo degli edifici pubblici di Barcellona, difesi dagli anarchici, arrestandone e fucilandone i dirigenti.

Per questo la galassia antagonista europea si domanda come fanno gli anarchici a muoversi in un contesto dove ci sono altre milizie irregolari, anche con simpatie fasciste come il Battaglione di Azov. La domanda è frutto della tendenza contemporanea all’uniformazione del tutto a una sua parte, pratica tossica madre di ogni luogo comune. Per eluderla bisogna partire da alcuni fatti. Come in tutti gli Stati europei, gruppi di estrema destra sono presenti nel panorama politico ucraino e, nonostante una scarsa rappresentanza parlamentare, essi hanno avuto un ruolo importante durante le rivolte di Euromaidan.

Alcuni di questi gruppi si sono trasformati in milizie paramilitari più o meno tollerate dalle istituzioni, con tutto il bagaglio di responsabilità politiche che questo comporta. Sono responsabilità che ricadono sul governo e sulla contingenza, non sulla generalità del Paese: combattere in Ucraina non vuol dire combattere a fianco dei fascisti. Inoltre, l’eco sproporzionato che si continua a dare a queste bande rischia di essere niente di più che una grossa cassa di risonanza per gruppi marginali che, solitamente, fanno della propria sovra rappresentazione un cardine importante di propaganda.

Il legame storico tra gli anarchici e l’Ucraina

Quando si affronta l’importanza del passato nella formazione di parte del moderno pensiero politico ucraino – sia in patria che all’estero – si fa un gran parlare di Stepan Bandera e dei suoi partigiani filonazisti. Pochi però ricordano che Huljajpole’, cittadina non lontano da Mariupol, è il luogo del mondo che, nel 1889, ha dato i natali a Nestor Makhno, figura storica dell’anarchismo mondiale e padre della Machnovščina, primo tentativo d’applicazione su larga scala dei principi dell’autogoverno anarchico.

L’Ucraina era allora un Paese a maggioranza contadina, con una abnorme sproporzione nella concentrazione del potere. In quel contesto Makhno espropriò i latifondi ai grandi proprietari terrieri e li diede in autogestione ai braccianti, organizzandoli secondo i principi dell’anarco-comunismo. Il sistema, avverso a qualsiasi forma di autorità costituita, ebbe una forte eco internazionale, prima di essere percepito come una minaccia dai bolscevichi che ebbero un ruolo importante nella sua distruzione.

La storia della Machnovščina, la storia di Stepan Bandera

L’area controllata dalle bande rivoluzionarie anarchiche della Machnovščina tra il 1918 e il 1921 copriva una regione popolata da sette milioni di abitanti in un’area di 280 km di profondità per 250 di larghezza. L’estremità meridionale toccava il mare di Azov, raggiungendo il porto di Berdiansk e la sua capitale era Gulyai-Polyé, un grosso borgo di 20-30 mila abitanti.

Per la prima volta nella storia, in Ucraina, i principi del comunismo libertario furono applicati sul terreno. Le terre disputate agli antichi proprietari terrieri furono coltivate in comune dai contadini, raggruppati in comuni o liberi soviet di lavoro dove i principi di fratellanza e di uguaglianza dovevano essere rispettati. Tutti, uomini e donne, dovevano lavorare secondo le loro forze e i cittadini eletti alle funzioni di gestione amministrativa agivano a titolo temporaneo e poi riprendevano il loro lavoro abituale a fianco degli altri membri della comunità.

Quando i partigiani machnovisti penetravano in una località, affiggevano dei manifesti, in cui si poteva leggere: «La libertà dei contadini e degli operai appartiene a loro stessi e non può subire restrizione alcuna. Tocca ai contadini e agli operai stessi agire, organizzarsi, intendersi fra di loro, in tutti i campi della loro vita, come essi stessi ritengono e desiderano (…). I machnovisti possono solo aiutarli dando loro questo o quel parere o consiglio (…). Ma non possono, e non vogliono, in nessun caso, governarli».

Machno rifiutò sempre di porre la sua armata sotto il comando supremo di Lev Trotsky, capo dell’Armata Rossa, dopo la fusione in quest’ultima delle unità di guardie rosse. I contrasti con i sovietici aumentarono fino a che, alla fine di novembre del 1920, gli ufficiali dell’esercito machnovista di Crimea furono invitati dai bolscevichi a partecipare a un consiglio militare che, in realtà, era un agguato. Mentre loro venivano arrestati dalla polizia politica e fucilati un’offensiva in piena regola veniva lanciata contro Gulyai-Polyé, che cadde dopo nove mesi.

Stepan Bandera è considerato in Ucraina un patriota della Seconda guerra mondiale, ma è anche un criminale di guerra accusato di essere filonazista e corresponsabile dello sterminio di polacchi ed ebrei.

A capo del movimento nazionalista ucraino Oun, Bandera combatté prima contro i polacchi, poi contro l’Armata rossa al fianco dei nazisti e, alla fine, contro gli stessi tedeschi finendo anche nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Ma come poteva combattere contro i tedeschi se era un filonazista? chiedono in maniera retorica i suoi difensori a oltranza.

Il personaggio, in realtà, era più che controverso. Il nazionalismo fu il suo faro più potente, alleato con i tedeschi per combattere l’Armata rossa non esitò a rivoltarsi contro i nazisti quando questi divennero un ostacolo per l’indipendenza della nazione, così come i suoi uomini non esitarono a portare avanti una pianificata pulizia etnica in Galizia e Volinia uccidendo più di 50 mila polacchi. Accecati dall’unico obiettivo della causa nazionale lui e i suoi partigiani non ebbero remore ad accondiscendere l’alleato di turno, tanto che sono accusati di aver contribuito allo sterminio della popolazione ebraica di quelle zone durante la loro alleanza con i nazisti.

Liberato dai tedeschi nel 1944 perché conducesse azioni di sabotaggio contro l’Armata rossa, Stepan Bandera, a guerra finita, riparò in Germania Ovest e morì assassinato a Monaco di Baviera nel 1959 in circostanze mai del tutto chiarite.

All’interno dell’esperienza makhnovista si trovavano, però, già alcune delle criticità ascrivibili all’interventismo anarchico odierno. Quando un secolo fa l’impero Austro-ungarico e la Germania invasero l’Ucraina, infatti, Makhno e i suoi si lanciarono in un’accanita guerriglia per opporsi all’invasione, ma la loro organizzazione militare continuò ad avere una natura gerarchica che, in quanto tale, era difficile da conciliare con gli ideali anarchici. Inoltre, allora come oggi, rivendicazioni etniche e culturali giocarono un ruolo importante accendendo, nel campo libertario, accesi dibattiti sulla loro opportunità.

L’internazionalismo moderno

Ai giorni nostri le cose sono ancora meno chiare, per il contesto politico che è anni luce lontano da un orizzonte rivoluzionario ma, soprattutto, per via dell’indeterminatezza che si accompagna all’approcciarsi alle problematiche degli uomini attraverso canali virtuali. Un bot di Telegram, infatti, non è un compagno che condivide informazioni ed esperienze, ma uno strumento freddo e dalla limitata attendibilità. Seguendo un link presente nel messaggio che avevo ricevuto, infatti, sono stato catapultato in un mondo parallelo dove ragazzi da tutto il mondo chiedono informazioni su come arruolarsi e su come raggiungere il teatro di guerra. A rispondergli ci sono più voci – supposte dal campo – che non mancano di fornire tutti i dettagli, assieme a manuali di guerriglia. Secondo la Croce nera di Dresda, un collettivo anarchico tedesco, sono oltre 150 i combattenti internazionali sul fronte ucraino riconducibili all’area anarchica o genericamente antiautoritaria.

Un gruppo di anarchici in una foto recuperata su un canale Telegram
Un gruppo di anarchici in una foto recuperata su un canale Telegram

Il Black head quarter è l’aggregativo on line delle iniziative del Resistance Committee, che in rete si presenta così: «Il Comitato di resistenza è uno spazio di dialogo e di coordinamento per iniziative anarchiche, libertarie e antiautoritarie. Crediamo che l’Ucraina e tutta l’Europa orientale debbano essere libere dalla dittatura». L’obiettivo dichiarato è chiaro ed esplicito: «Il nostro compito è quello di unire gli sforzi dei combattenti contro l’autoritarismo. Aspiriamo a influenzare il futuro dell’Ucraina e dell’intera regione, a proteggere le libertà già esistenti e a contribuire alla loro estensione. Siamo nemici del dominio imperialista, che è adesso presente nel paese per tramite del brutale esercito putinista». È manifesta anche la loro discontinuità con l’apparato statale: «Se lo stato ucraino oggi partecipa a questa lotta non significa che noi siamo diventati dei suoi sostenitori», viene più volte ribadito.

Secondo il Black head quarter oggi, in Ucraina, varie componenti antiautoritarie partecipano attivamente alle principali sfere di resistenza contro l’aggressione, sia nel teatro della guerra che nell’ambito del volontariato civile e dei media. Uno dei compiti principali del Comitato di resistenza è assicurare la comunicazione e il coordinamento fra i diversi gruppi e gli individui coinvolti nel conflitto. Tra le molteplici funzioni che mettono a disposizione c’è il loro canale Telegram, attraverso il quale utenti anonimi si sono occupati (soprattutto nelle fasi iniziali dell’invasione) anche del reclutamento e della formazione di nuovi volontari.

Il libro che mi viene inviato quando chiedo chiarimenti sulla preparazione è un volume di 300 pagine piene zeppe di tattica militare e tecniche di guerriglia urbana. Proviene dall’esercito americano, è ben fatto e chiaro in ogni sua parte. Un po’ meno chiari sono invece gli obiettivi politici di chi me lo manda, per questo forse sono così tante le domande degli utenti. «Non vogliamo difendere nessuno stato. Siamo anarchici e siamo contrari a qualsiasi confine tra nazioni. Ma siamo contrari a questa annessione, perché stabilisce solo nuovi confini e la decisione in merito è presa esclusivamente dal leader autoritario Vladimir Putin», scrive Bohdan, un anarchico ucraino impegnato sul fronte.

Le perplessità tra chi si approccia alla questione non sono poche e, a fronte degli intenti politici dichiarati e delle azioni rivendicate dai gruppi, che mappano i loro interventi e i loro sabotaggi con tanto di immagini geolocalizzate, la risposta dei comitati anarchici europei è poco compatta, se non addirittura critica. Nonostante raccolte di fondi da destinare alle brigate anarchiche appaiono un po’ dappertutto nel network libertario europeo (217.400 euro raccolti soltanto dalla Anarchist Black Cross Dresden), non manca, infatti, chi solleva dubbi circa l’opportunità di tutta quanta l’operazione.

La copertina del libro, di produzione americana, di tattica militare e guerriglia urbana inviato su uno dei canali Telegram
La copertina del libro, di produzione americana, di tattica militare e guerriglia urbana inviato su uno dei canali Telegram
Una pagina del libro, di produzione americana, di tattica militare e guerriglia urbana inviato su uno dei canali Telegram
Una pagina del libro, di produzione americana, di tattica militare e guerriglia urbana inviato su uno dei canali Telegram

La Federazione anarchica italiana (Fai), per esempio, ha una posizione ben precisa a riguardo: «Manteniamo ferma la nostra posizione di rifiuto della guerra e ci riconosciamo nell’idea di disfattismo rivoluzionario, intendendo per disfattismo una posizione rivoluzionaria di fronte alla guerra, quella di coloro che lottano per la disfatta del governo e della classe dominante del proprio paese», recita il manifesto antimilitarista che mi mandano dal comitato centrale quando chiedo di commentare la scelta dei compagni volontari in Ucraina. La dirigenza della Fai si sente poi di precisare che «nonostante da alcuni singoli e gruppi che si dichiarano antiautoritari, libertari o anarchici giunge, già da prima dell’invasione russa dell’Ucraina, una forte critica al nostro tradizionale antimilitarismo, noi restiamo fermi sulle nostre posizioni e facciamo nostro l’International Anarchist Manifesto against the War del 1915: dobbiamo dichiarare ai soldati di tutti i Paesi, che credono di stare combattendo per libertà e giustizia, che il loro eroismo e il loro valore non serviranno che a perpetuare l’odio, la tirannia e la miseria».

Punti di contatto tra la Fai e gli anarchici ucraini si ravvisano nei giudizi sul governo Zelensky, anche se le conclusioni raggiunte sono diverse: «Rifiutiamo la narrazione di una guerra fra libertà e dittatura. Da questo punto di vista, l’Ucraina di Zelensky è veramente una piccola Russia, con un governo autoritario, una cerchia di oligarchi che saccheggia il paese, una repressione verso tutte le forme di protesta e verso le minoranze che la guerra ha reso più dura», dice la Federazione anarchica italiana, mentre una voce libertaria combattente sul fronte ha dichiarato alla stampa francese: «Lo stato ucraino è totalmente corrotto e potremmo stare qui a elencare i suoi fallimenti per giorni, ma al suo interno ci sono aree di libertà, perché gli oligarchi che si contendono il potere non possono controllare tutto».

Un gruppo di combattenti anarchici in una foto recuperata su un canale Telegram
Un gruppo di combattenti anarchici in una foto recuperata su un canale Telegram

Anche nell’area di movimento italiana il dibattito è serrato: «Qui la Fai non c’è – mi dice un amico vicino ad ambienti libertari del nord-est -, però ti posso dire che, per i compagni, la guerra in Ucraina è un argomento tanto divisivo quanto lo è stata la gestione della pandemia».

A prescindere dalle opportunità ideologiche, in questo contesto una domanda sembra essere la più stringente di tutte quante, e la pone un ragazzo tedesco in calce alle decine di commenti che accompagnano una foto con dei ragazzi armati sotto la bandiera rossa e nera: «Chi ci dice che siete davvero anarchici? O che siete davvero voi quelli della foto? Potrei stare parlando con chiunque, anche con un bot o con dei mercenari russi».

Una domanda questa a cui, purtroppo, si può rispondere solo con un atto di fede, pratica che, a quanto pare, è poco compatibile con l’anarchia.

Foto: Un gruppo di combattenti anarchici in una foto recuperata su un canale Telegram
Editing: Lorenzo Bagnoli

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