Guerra in Ucraina, la fine dell’Operazione Matrioska?
Vladimir Putin in un ricevimento al Cremlino nel febbraio 2019 – Mikhail Svetlov/Getty
L’intervento militare della Russia si concretizza ora che le sue strategie di propaganda sembrano aver smesso di funzionare. Un viaggio nel nostro archivio alla ricerca di risposte sulla crisi di oggi

04 Marzo 2022 | di Lorenzo Bagnoli

Forse questa guerra segna la fine di quella che abbiamo chiamato Operazione Matrioska, l’operazione attraverso cui Vladimir Putin ha ottenuto consensi in Europa e Stati Uniti. Ne abbiamo scritto fin dal 2018, prima come IRPI e poi come IrpiMedia. Più che un’operazione coordinata, si è trattato di una serie di strategie adottate da diversi personaggi politici, tra cui i leader identitari come Matteo Salvini in Italia o Donald Trump negli Stati Uniti, aventi come obiettivo finale indebolire l’Unione europea. Abbiamo definito i personaggi coinvolti in questa vicenda “matrioske” perché nascondono al loro interno diverse affiliazioni, spesso all’apparenza del tutto contrastanti. Questo sistema così fluido e ambiguo sembrava perfetto per adattarsi al momento politico.

Questa strategia però è in declino negli ultimi due anni e forse anche per questo Putin ha scelto di muovere i carri armati. Ovviamente non pretendiamo di identificare con chiarezza né l’obiettivo finale della strategia del presidente russo, né la partecipazione consapevole ad un piano unico da parte dei protagonisti dell’Operazione Matrioska. Resta però indubbio che, specialmente sul piano politico e culturale durante gli anni della pandemia, gli alleati vecchi e nuovi di Putin hanno perso terreno, e l’Europa ha trovato forme di rilancio del suo progetto politico.

Insieme alle armi in Ucraina è stato rispolverato un arsenale anche ideologico di schemi e termini che pensavamo tramontati assieme agli anni Ottanta. La guerra combattuta rivela il persistere, almeno fra i leader mondiali, tutti abbondantemente sopra i sessant’anni, di una visione del mondo ancorata alla logica dei blocchi contrapposti e al concetto di guerra fredda basata sulla “Distruzione Mutua Assicurata”. Il ritorno a questa dinamica appare come un deciso allontanamento dalle forme di “guerra di propaganda” e “guerra economica” a cui eravamo abituati in questi anni. È il ritorno della guerra nella forma più tragica e brutale.

I tre fronti dell’Operazione Matrioska oggi

Nel 2020 abbiamo individuato tre fronti dell’Operazione Matrioska: quello politico, quello culturale e quello finanziario. Il fronte politico era rappresentato da quella strana convergenza tra Putin e Donald Trump. Negli Stati Uniti è stata oggetto del Russiagate, l’indagine di Robert Mueller (che ha ottenuto solo qualche condanna. A luglio 2021 il Guardian ha pubblicato un leak proveniente dal Cremlino in cui si parlerebbe della decisione nel 2016 di sostenere Trump per fomentare «disordini sociali» negli Stati Uniti). Quella parentesi però si è chiusa con l’elezione di Joe Biden che è tornato alla tradizionale contrapposizione Mosca-Washington.

Il fronte culturale è quello che ha coinvolto partiti politici come la Lega, il Front National (oggi Rassemblement National) o l’FPO austriaco, formazioni alla ricerca di una nuova identità ideologica e una nuova galassia di alleanze internazionali. L’adesione allo schema della matrioska è stata la causa del repentino avvicinarsi alla Russia da parte di questi movimenti della destra identitaria. Putin ha rappresentato un modello a cui ispirarsi di leader forte, autarchico, capace di sfidare la linea dell’Europa anche in termini di diritti civili. In ottica russa, questi partiti “vicini” dovevano contenere l’espansione dell’Europa, sia a livello geografico, sia a livello culturale. Tra scandali finanziari (come il caso Metropol o lo «scandalo Ibiza») e incapacità politiche, l’avanzata dei partiti europei ritenuti più vicini a Russia Unita, il partito di Putin, si è notevolmente rallentata, anche a favore di altri attori a destra (come Fratelli d’Italia in Italia o Eric Zemmour in Francia).

Per approfondire

Operazione Matrioska

Una serie di inchieste su come Putin sia diventato una figura di riferimento per le destre di tutto il mondo. Un’operazione in tre fasi: economica (il Laundromat), culturale (l’ascesa degli identitari) e politica (il Russiagate)

 Poromodificl’articolIl fronte economico è quello della lavanderia russa, il sistema di società offshore con conti correnti bancari nelle repubbliche baltiche attraverso cui gli oligarchi (si veda la nostra definizione qui) sono riusciti a investire e ripulire denaro sporco all’estero e a garantirsi un flusso di denaro da investire fuori dalla Russia. Questo sistema inizialmente è stato appannaggio solo di un ristretto gruppo di persone. In una prima fase, dalle ricostruzioni giornalistiche che sono state possibili ad oggi, nella lavanderia russa si è individuato un disegno per condizionare la vita economica europea, anche attraverso il soft power dello sport (un esempio per tutti: il patron del Chelsea Roman Abramovich e la sponsorship di Gazprom della Champions League di calcio). Il sistema, però, è prettamente finanziario e come tale, una volta congegnato, può essere impiegato anche da altri attori. Oggi sembra essere scappato di mano dai proprietari originari; sembra che il gruppo di oligarchi che ne fa uso non sia più monolitico come appariva un tempo (qui abbiamo raccontato il caso di Boris Mints e qui dei fratelli Magomedov). La data spartiacque sembra essere il 2014. E non è un caso.

La causa profonda: l’Ucraina

Per Putin un’Unione europea sempre più integrata e allineata con gli Stati Uniti equivale a un accerchiamento, fisico, economico e ideologico della sua Russia. La minaccia, ai suoi occhi, si è palesata proprio nel 2014 (si veda la nostra timeline qui), quando Viktor Yanukovich, presidente ucraino naturalizzato russo molto vicino al Cremlino, è stato defenestrato dal movimento di Euromaidan (in questa intervista all’Ansa la ricercatrice dell’Ispi Eleonora Tafuro Ambrosetti definisce l’invasione una «vendetta» per quei fatti di otto anni fa). Post Yanukovich, però, il movimento filoeuropeista era spaccato tra Yulia Tymoshenko, la ex prima ministra di nuovo in corsa per le elezioni del 2019, e Petro Poroshenko, il presidente, e la transizione a un’Ucraina pienamente democratica e libera dalla corruzione è stata impossibile. Basti dire che Poroshenko (salito al potere dopo una brevissima parentesi di Oleksandr Turčynov) è poi finito sotto indagine per alto tradimento con l’accusa di aver finanziato i separatisti filorussi.

L’indagine ha preso piede dopo la sua sconfitta politica per mano di Volodymyr Zelensky, l’ex comico oggi leader molto popolare dell’Ucraina. Zelensky si è presentato tre anni fa come un outsider pronto a rivoltare la politica ucraina ed eliminare la corruzione. Però nel 2019 Trump lo ha avvicinato nella speranza di ottenere qualche favore nella sua campagna contro Biden, secondo la ricostruzione del Russiagate. È una storia antica, forse oggi del tutto archiviata.

In contemporanea con i problemi interni, dal 2014 in avanti ci sono state pressioni crescenti sui confini del Paese con le prime operazioni militari di Mosca: dopo Maidan, Putin ha immediatamente invaso la Crimea (annessa poi con un referendum-farsa) e la febbre dell’indipendentismo da Kiev ha contagiato anche il Donbass, dove non si è mai smesso di combattere. Il conflitto si è svolto soprattutto tra formazioni paramilitari filorusse sostenute dal Cremlino in vari modi e altre milizie filoucraine. Queste ultime sono finanziate in modo consistente da Ilhor Kolomoisky, potentissimo oligarca ucraino che ha sostenuto Zelensky e che è finito sotto sanzioni negli Stati Uniti nel 2021. All’epoca le relazioni Washington-Kiev erano più problematiche di oggi e gli americani volevano contribuire a una «campagna contro la corruzione» nel Paese, colpendo l’uomo più potente del Paese (nonché primo sostenitore di Zelensky, sia come comico, sia come politico). Kolomoisky in passato ha mantenuto però attive le sue relazioni con la Russia tanto da dire nel 2019 di essere pronto ad abbandonare la guerra contro Mosca per il Donbass.

Al di là della questione dell’ingresso nella Nato e degli avvicinamenti all’Unione europea dell’Ucraina di cui giustamente si legge su ogni giornale, uno dei fattori che ha ulteriormente accelerato la crisi Mosca-Kiev sembra essere stata la «legge contro gli oligarchi». Annunciata a novembre 2021, dovrebbe da programma entrare in vigore questo maggio. Zelensky ne ha parlato come di uno strumento per disinnescare un imminente «colpo di Stato» degli uomini più ricchi del Paese sostenuti dalla Russia. Come ricorda la BBC, però, «la corruzione rimane profondamente radicata in Ucraina e ci sono timori che la nuova legge anti-oligarchi possa essere usata per limitare le attività di alcuni e non di altri».

La guerra in diretta

In questi giorni di frenetiche negoziazioni al confine, centinaia di giornalisti sul campo cercano di raccontare la guerra in diretta: le operazioni militari, le vittime, i profughi. La ferocia e la brutalità dell’attacco erano imprevedibili per molti analisti. Non ci sono dubbi che in questa guerra ci sono una vittima, la popolazione dell’Ucraina, e un aggressore, la Russia guidata da Vladimir Putin. Non ci sono dubbi che quella ucraina sia una resistenza a un’aggressione senza precedenti, oscena, terrificante, ingiustificabile. È fuori di dubbio che la guerra, quando avviene, è talmente gigantesca da mandare in subordine tutto il resto. Però c’è stata una forma molto meno cruenta di conflitto che dura da molto più tempo e che ha altri fronti oltre quello ucraino.

Le nostre colleghe di Re:Baltica – un centro di giornalismo investigativo che raccoglie Lituania, Lettonia ed Estonia – scrivono spesso di magnati dei media filorussi che intossicano l’ambiente dei media per fomentare un riavvicinamento alla Russia. I fronti aperti – seppur nessuno sanguinoso come quello ucraino – sono tanti, purtroppo.

PRECISAZIONE: Il 28 marzo l’articolo è stato modificato per precisare che Yulia Tymoshenko è stata prima ministra dell’Ucraina (2005; 2007-2010) e ha corso contro l’altro presidente filoeruopesista Poroshenkho nel 2019.   

 

Foto: Vladimir Putin in un ricevimento al Cremlino nel febbraio 2019 – Mikhail Svetlov/Getty
Editing: Giulio Rubino

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