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Ciro Dovizio
Èla sera del 16 settembre 1970 quando Mauro De Mauro, cronista del giornale palermitano di sinistra L’Ora, scompare misteriosamente nel nulla. Non sarà mai più ritrovato. «Curvo allo sportello della sua BMV, 49 anni, alto bruno e claudicante, l’uomo sta prendendo dal sedile anteriore il caffè, il vino e le sigarette – scrive la sua collega Giuliana Saladino in una ricostruzione dei fatti di quel giorno -. Sua figlia rincasa col fidanzato, lo vede, va avanti e apre l’ascensore. Attende, non lo vede, ripercorre i pochi passi dell’atrio, sulla strada qualcuno dice “andiamo oppure non scherziamo”, lei vede la BMW che riparte saltando, per le buche o per l’imperizia di qualcuno che s’è messo al volante, vede con suo padre due uomini a bordo, forse tre, filano via. Sono le 21:10, è scomparso il giornalista Mauro De Mauro». Non verrà mai ritrovato, né vivo, né cadavere.
D’un tratto il piccolo ma battagliero quotidiano della sera, noto per le sue inchieste a puntate sulla mafia e sulle complicità democristiane, sprofonda nello sgomento: sparisce un suo cronista di punta, stimato per i suoi scoop, presenza fissa in redazione. La vicenda segna il culmine di una lunga serie di attacchi, iniziata nel 1958 con la bomba mafiosa alla tipografia e proseguita tra attentati, ritorsioni giudiziarie, assassinii di cronisti.
L'inchiesta in breve
- Il 16 settembre 1970 Mauro De Mauro, tra i giornalisti di punta del quotidiano L’Ora di Palermo, è stato visto dalla figlia andare via dalla sua abitazione a bordo di una BMW, con altri uomini a bordo. Non è mai stato ritrovato, né vivo, né morto.
- De Mauro aveva un profilo particolare all’interno de L’Ora. Era molto legato a fonti democristiane e non partecipava al metodo d’inchiesta collettiva che stava sviluppando il giornale.
- Le indagini sulla sua scomparsa sono state condotte fin da subito in maniera scomposta, con diversi personaggi misteriosi che sembrano essere a conoscenza di ciò di cui si sta occupando il giornalista. Mentre le indagini si arenavano, su L’Ora si scatenava invece una campagna di delegittimazione.
- La pista più accreditata che porterebbe a chi ha voluto eliminare De Mauro riguarda delle ricerche che il giornalista stava svolgendo sulla morte del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. L’omicidio sarebbe maturato nell’ambiente dell’industria petrolifera e commissionato prima a cosa nostra americana, poi a quella siciliana.
Il caso De Mauro, però, trascinerà L’Ora in un groviglio inestricabile di ipotesi, indizi, depistaggi, ricatti, provocazioni. Diciamo subito che l’enigma resterà tale, nonostante le inchieste giudiziarie e giornalistiche degli anni successivi. Il mistero, in effetti, avvolge la stessa figura di De Mauro, cronista brillante, sì, redattore di un giornale filocomunista, ma con alle spalle un passato di ex milite di Salò e collaborazionista, vicino ad esponenti del partito più inquinato dell’isola, la Democrazia cristiana.
Due condizionamenti, sosterrà il direttore Vittorio Nisticò a qualche anno dalla scomparsa, continuano in effetti a influenzarlo: uno è appunto l’amicizia con leader democristiani, di cui non sempre dà «una valutazione obiettiva», anche se «personaggi-chiave di quel sistema clientelare, impastato di mafia e politica», contro cui è schierato anche lui. L’altro riguarda il suo metodo investigativo, che non segue tanto la logica collegiale de L’Ora, ispirata sin dall’inchiesta del 1958 (ne abbiamo parlato qui) a esigenze di sicurezza e coordinamento: De Mauro è geloso del proprio lavoro, cela l’identità dei confidenti (fuori e dentro la mafia), dilata all’eccesso il suo ruolo di cronista. D’altronde, che all’origine della scomparsa stia la sua attività professionale sembra subito ovvio agli inquirenti, a Nisticò e ai redattori de L’Ora, i quali però si chiedono anche se non sia proprio quel suo profilo di battitore libero ad averlo messo nei guai.
Gli archivi de L’Ora
La serie è curata da Ciro Dovizio, storico dell’Italia contemporanea (mafie e antimafia, politica, giornalismo, cultura) presso l’Università Statale di Milano.
Il commercialista Buttafuoco e Vito Guarrasi alias Signor X
Le settimane successive scorrono in un clima di sconcerto. Il cronista non si trova, la famiglia e i colleghi temono il peggio, finché non entra in scena un personaggio bizzarro, tale Nino Buttafuoco, commercialista, consulente tributario dell’alta borghesia palermitana (non esclusa quella mafiosa, come mostra la presenza tra i suoi clienti di Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi di Salemi e grandi elettori democristiani) e dello stesso De Mauro. Buttafuoco contatta sua sponte la famiglia del cronista, parla con la moglie Elda Barbieri e col fratello Tullio, noto linguista. Si offre di aiutarli, di fare qualcosa per riportare Mauro a casa.
Chiede loro se tra le carte del giornalista vi sia una busta gialla. Poi rassicura: dice che Mauro è vivo, ma che è in pericolo. Buttafuoco è ambiguo, dice e non dice, allude, mostra di conoscere notizie riservate, come quella del nastro magnetico recapitato a Giovanni Fantozzi, direttore amministrativo de L’Ora, in cui una voce dice De Mauro in vita. Sa decisamente troppo, questo Buttafuoco, sicché la polizia lo arresta, lo interroga ma poi è costretta a scarcerarlo per insufficienza di prove. Intanto sono passati tre mesi e di De Mauro nessuna traccia.
Polizia e carabinieri procedono divisi: la prima collega la scomparsa di De Mauro alle ricerche sul caso Mattei commissionategli dal regista Franco Rosi in vista di un film (due anni dopo, uscirà il suo Il caso Mattei, con Gianmaria Volontè); i secondi alle sue indagini sul narcotraffico internazionale. La prima ipotesi si basa sull’idea che il presidente dell’Eni, Enrico Mattei, non sia rimasto vittima, come vuole la versione ufficiale, di un incidente aereo, ma di un attentato camuffato; la seconda sulla lunga esperienza di De Mauro in tema di rapporti mafia-droga.
«L’esigenza di una collaborazione non era minimamente avvertita dai due corpi di polizia giudiziaria– scriverà il direttore Nisticò in I mille e più giorni del caso De Mauro, un articolo-memoriale che pubblicò su L’Ora nel 1973 -. La mattina in cui ci giunse per posta il famoso nastro con la registrazione di una voce deformata che diceva vivo De Mauro, il primo ad arrivare in redazione fu un alto funzionario della polizia. Il primo pensiero che espresse fu che non ne venisse informato l’ufficiale dei carabinieri che era intanto sopraggiunto e attendeva nel piano di sotto […] Il Procuratore della Repubblica Scaglione, che per la sua funzione avrebbe dovuto coordinare le indagini e promuovere la collaborazione fra i due organi di polizia, finì invece per alimentare più di ogni altro le rivalità, parteggiando con ostentazione per la Questura e non nascondendo la sua scarsa considerazione per il lavoro investigativo dei carabinieri».
La vicenda assume sempre più i contorni di un romanzo giallo. A un certo punto Tullio De Mauro apprende da una telefonata dell’esistenza di un oscuro Signor X coinvolto sia nel caso Mattei sia nel sequestro di suo fratello. Su questo Signor X i quotidiani si scatenano dando sfogo alla fantasia, alimentando un castello di teorie, tesi e contro-tesi. Alla fine, il Signor X viene identificato in Vito Guarrasi, avvocato legato a molti ambienti della politica e della finanza dell’isola.
La sua biografia incrocia in più punti la sinistra siciliana e anche L’Ora: dal 1957 al 1963 siede infatti nel consiglio di amministrazione dell’Immobiliare L’Ora, società che gestisce lo stabile del giornale; durante il milazzismo (gli anni dell’ascesa del democristiano Silvio Milazzo di cui abbiamo parlato qui), di cui è uno dei registi, trasferisce alla Regione autonoma le zolfare isolane. Tra l’altro svolge consulenze per il presidente dell’Eni, Enrico Mattei; per l’Ente minerario siciliano (Ems), di cui dal 1967 al 1975 presieduto dal senatore Dc Graziano Verzotto; per l’imprenditore che per 36 anni ha gestito la manutenzione di fogne e strade del Comune di Palermo, il conte Arturo Cassina e persino per gli esattori Nino e Ignazio Salvo, i due cugini che devono le loro carriere all’amicizia con il politico Dc Salvo Lima. Il personaggio però è riservato, tiene un profilo basso, esponendosi il meno possibile.
Le altre vittime de L’Ora
De Mauro non è stato l’unico giornalista de L’Ora a essere assassinato. Il collega Cosimo Cristina oltre che per L’Ora lavorava per un giornale che aveva fondato, Prospettive siciliane, e collaborava con altre testate nazionali. Si occupava soprattutto di traffici e interessi criminali. È stato ritrovato cadavere lungo i binari della ferrovia nei pressi di Termini Imerese, città dove è nato, con in mano una lettera. La scena doveva simulare un suicidio. Per due volte i tribunali hanno dato credito, a distanza di anni, a questa versione dei fatti, non riuscendo a raccogliere prove sufficienti per confermare quello che è invece emerso da racconti giornalistici rispetto alle responsabilità di mafiosi della zona.
Giovanni Spampinato, invece, si è fatto notare tra la fine degli anni Sessanta e i primissimi degli anni Settanta per le sue inchieste sui gruppi neofascisti pubblicate su L’Ora e l’Unità. Per il quotidiano siciliano era corrispondente da Ragusa. Non aveva ancora compiuto 26 anni quando è stato ammazzato, il 27 ottobre 1972, da Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa, poi condannato. Spampinato in un’inchiesta precedente aveva indicato Campria come l’esecutore di un altro omicidio maturato nell’ambito di una serie di trraffici clandestini di gruppi neofascisti della Sicilia orientale.
Fango su L’Ora
Con l’ingresso di Guarrasi nel caso entrano nel vivo anche una serie di trame tese a delegittimare L’Ora, che a qualcuno dà fastidio. Un fatto si presta in modo particolare alla bisogna: prima della scomparsa, Nisticò ha trasferito De Mauro allo Sport, contando di risollevare un settore in crisi, ma il cronista non è d’accordo, si offende, addirittura pensa di andarsene al Giornale di Sicilia, il principale competitor. Gli investigatori indagano, ipotizzando che la decisione di Nistico sia ispirata da Guarrasi e che abbia lo scopo di togliere a De Mauro le investigazioni sulla mafia. «Un risultato – scriverà Nisticò – era stato in ogni caso raggiunto: isolare la famiglia di De Mauro da noi (da allora le visite di Tullio diventarono sempre più rade e guardinghe) e nello stesso tempo estrometterci dalle indagini».
Le provocazioni, infatti, si intensificano gettando ombre sui rapporti di De Mauro col giornale e sulla stessa linea democratica, d’opposizione e antimafia di quest’ultimo. Non è qualcosa di inedito. Ad esempio, già nel 1966 l’apparato di sicurezza della Guardia di finanza non esclude che il giornale percepisca finanziamenti mafiosi, come scrive nero su bianco in un’informativa riservata. Con l’affare De Mauro siamo però a un altro livello: la polizia collega la sua sparizione all’attentato contro un noto esponente del Movimento sociale, Angelo Nicosia, ferito a colpi di coltello, nel quadro di una pista che vede Nisticò, la cronista de L’Ora Kris Mancuso e un gruppo di esuli greci (rifugiatisi a Palermo a seguito del colpo di Stato dei colonnelli del 1967) come complici negli affari illeciti del Partito comunista.
Il «teorema», scrive la giornalista Mancuso, «in sintesi era questo: poiché l’onorevole Nicosia aveva “scoperto” che il partito comunista era coinvolto in appalti tutt’altro che limpidi e ne aveva parlato con De Mauro, il Pci aveva incaricato Nisticò di far sparire De Mauro e punire Nicosia. Nisticò aveva incaricato a sua volta la Mancuso di fornire ai suoi amici greci un coltello. Gli amici greci avevano approfittato del “passaggio da Palermo” del cipriota (tale Giorgio Tsekuris, rimasto ucciso il 3 settembre 1970 nell’esplosione della sua auto di fronte all’ambasciata americana di Atene) diretto ad Atene per incaricarlo a loro volta dell’attentato a Nicosia».
Logico che L’Ora replichi con decisione alle accuse. Il 30 dicembre 1970 il giornale titola: «Basta con i fumetti sul caso De Mauro». «Non stupitevi se a sequestrare De Mauro e a organizzare l’attentato a Nicosia siamo stati noi dell’Ora, a servizio della mafia edilizia di cui facciamo parte», scrive il direttore Nisticò. «A circa tre mesi e mezzo dalla scomparsa di Mauro De Mauro – riprende più avanti -, si passa con estrema disinvoltura da un fumetto poliziesco all’altro, contribuendo di fatto a rendere più buio il caso e a lasciare nel buio impuniti i criminali che hanno sequestrato e forse assassinato il nostro collega».
Veramente il giallo è soltanto all’inizio. Altri personaggi (magistrati, investigatori, collaboratori di giustizia, testimoni, giornalisti) e altre piste si aggiungeranno negli anni successivi. Di certo c’è che De Mauro viene eliminato perché nel corso delle sue indagini nei sotterranei del potere politico-mafioso-finanziario siciliano qualcosa scopre. Il mistero, però, rimarrà irrisolto. Le tante ipotesi affacciatesi nel tempo somiglieranno sempre più a sceneggiature dal finale incerto. Risulta però di grande interesse ripercorrerle brevemente.
Le piste sui possibili mandanti dell’omicidio
Pista Mattei. De Mauro scopre qualcosa sull’attentato al presidente dell’Eni, forse il mandante, che secondo molti sta nei circuiti dei grandi trust internazionali del petrolio (le cosiddette “sette sorelle”: Exxon, Mobil, Texaco, Standard oil of California (Socal), Gulf oil, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e la britannica British Petroleum), cui la concorrenza energetica di Mattei dà fastidio. Il cartello commissiona l’attentato a cosa nostra americana, la quale lo appalta alla consorella siciliana. Questo intrigo di scala planetaria prevede uno spin-off: De Mauro sparisce anche perché viene a sapere di una faida interna all’Eni, con protagonisti da un lato Graziano Verzotto, senatore democristiano e capo dell’Ente minerario siciliano, dall’altro due personaggi che per ragioni diverse hanno rotto con Mattei: il suo vecchio consulente Vito Guarrasi e il suo principale collaboratore nonché successore al vertice dell’Eni, Eugenio Cefis. Questa pista fa capo alla polizia di Stato.
Pista golpe Borghese. De Mauro apprende del colpo di Stato pianificato per la notte dell’Immacolata 1970 dal principe Junio Valerio Borghese, sua vecchia conoscenza, capo di quella X Mas di Salò in cui nella Seconda guerra mondiale anche lui ha militato, e adesso del gruppo eversivo di estrema destra Fronte nazionale. Viene quindi tolto di mezzo dalla mafia, la quale, stando ad alcuni collaboratori di giustizia, è implicata nel golpe (anche se non si capisce bene a che titolo). Le operazioni del colpo di Stato in effetti partono mobilitando gruppi neofascisti e servizi segreti, tuttavia un misterioso contrordine le arresta. De Mauro avrebbe discusso di tutto ciò con Guarrasi, annotando sul suo taccuino: «Colpo di Stato continuato – uomini anche mediocri ma di rottura – la guerra è un anacronismo».
Pista Salvo. Il cronista viene a sapere dal commissario Boris Giuliano di una maxioperazione finanziaria intesa a sovvenzionare illecitamente i partiti. Dietro questa sorta di Tangentopoli ante litteram vi sarebbero i cugini di Salemi Nino e Ignazio Salvo, tra i personaggi più potenti della Sicilia, legati alla mafia, alla Dc, alla grande finanza. Qui rientra in scena Buttafuoco, il quale nel luglio 1970 aiuta De Mauro a cercare nella cancelleria del Tribunale civile di Palermo le prove dell’operazione. Il cronista in effetti trova quel che cerca e ha intenzione di farne una grande inchiesta, ma prima di riuscirci viene rapito e ucciso. Buttafuoco è terrorizzato, ecco perché mette in piedi la sua sceneggiata e chiede insistentemente della busta gialla.
Pista droga. I carabinieri sostengono che De Mauro sia stato ucciso per qualche suo scoop sul narcotraffico Sicilia-Stati Uniti, tema a cui il cronista ha dedicato varie inchieste. L’ipotesi non trova riscontri, finché non emerge che l’affare alimenta un abnorme giro di riciclaggio, in cui sono coinvolti istituti di credito italiani e americani del massimo livello, tra cui quelli del banchiere di Patti Michele Sindona. Forse De Mauro scopre qualcosa di questo sistema a scatole cinesi e perciò viene fatto sparire.
C’è da dire che, tra le varie piste, la più accreditata resta quella Mattei. D’altra parte, la riapertura del caso nel 2001 a opera della procura di Palermo non ha portato a risultati concreti. Certezze, insomma, non ve ne sono, se non una, che Nisticò evidenzia sin dalla metà degli anni Novanta, quando viene interrogato dal pubblico ministero Vincenzo Calia nel corso della sua inchiesta su Mattei. «Da pista a pista, cambiano scenari, volti visibili o incappucciati di mandanti e di killer, ma un punto resta costantemente fermo, immutabile, ed è che l’eliminazione di De Mauro viene, in tutte le versioni, attribuita a un esercizio eroico del suo mestiere di giornalista: a caccia di segreti nei sotterranei della criminalità mafiosa (pista droga), o alla ricerca della verità sull’assassinio di un grande servitore della Repubblica (pista Mattei), o addirittura sulle orme di un complotto di golpisti contro i nostri ordinamenti democratici, come nel caso della pista Borghese, raccontata da Francesco Di Carlo ai magistrati palermitani», dichiara ai magistrati.
CREDITI
Autori
Ciro Dovizio
Editing
Lorenzo Bagnoli
Foto di copertina
L’automobile di Mauro De Mauro rinvenuta dopo la sparizione del giornalista
(Wikipedia)