Giulio Rubino
David Rebouh
Quando, nel 2015, la Danimarca ha messo in palio centinaia di milioni di euro per la costruzione dello “Storstrømsbroen”- terzo ponte più lungo del Paese che unisce le isole della Zelanda e di Falster – Itinera Spa, con Condotte d’Acqua e Grandi Lavori Fincosit (GFL), ha dato vita alla Storstrøms Bridge Joint Venture (SBJV). L’associazione temporanea di imprese (Ati) italiana è riuscita ad aggiudicarsi il contratto da 2,1 miliardi di corone (oltre 280 milioni di euro) grazie a un ribasso di 400 milioni di corone (53 milioni di euro) rispetto al suo principale concorrente.
Ma, grazie al lavoro del giornale danese Fagbladet 3F in collaborazione con IrpiMedia, già in quei mesi cominciarono a emergere notizie inedite per il Paese scandinavo, e cioè che tutte e tre le aziende che componevano l’Ati erano coinvolte, direttamente o a causa delle indagini sui loro manager o ex manager, in importanti casi di corruzione in Italia. Il più famoso è certamente lo scandalo Mose, dove tanto Condotte quanto GFL avevano un ruolo importante.
Controlli solo dopo le denunce della stampa
Le aziende, a prescindere dalle effettive responsabilità legali nei casi in questione, avevano apparentemente tenuto questa informazione sotto traccia, tanto che l’Autorità danese per la gestione delle strade, corrispondente all’Italiana ANAS, è caduta dalle nuvole quando i giornalisti di Fagbladet 3F hanno presentato i dettagli. Il project manager che segue il progetto Storstrømsbroen, Niels Gottlieb, ha infatti dichiarato: «Le aziende non mi hanno detto nulla in merito, tutto quello che ne so è quello che mi state dicendo voi».
L’emergere di queste informazioni ha portato a una serie di interrogazioni parlamentari in Danimarca, che hanno chiesto di bloccare il contratto finché non si facesse chiarezza sulle vicende giudiziarie delle aziende in questione. La pressione di parlamento e stampa ha raggiunto un primo risultato: il manager del consorzio SBJV finito sotto i riflettori per le controversie con la giustizia italiana, l’ingegnere Pietro Paolo Marcheselli, «lascerà a breve il progetto» «per ragioni di opportunità e d’intesa con la joint venture», comunica l’ufficio stampa di Itinera, l’azienda che guida il gruppo.
Quello che soprattutto ha colpito il parlamento danese era che soldi pubblici venissero affidati ad aziende indagate per corruzione, e che l’informazione non fosse stata pesata al momento dell’assegnazione del contratto.
Infatti le aziende danesi che hanno partecipato alla stessa gara d’appalto, hanno dovuto dimostrare di non avere nessuna connessione ad attività criminali, mentre le italiane hanno potuto evitare i complessi controlli a cui le domestiche si erano invece dovute sottoporre.
Le autorità danesi apparentemente non hanno contattato quelle italiane per finalizzare la gara, probabilmente per mancanza di dimestichezza con la legge italiana, il ministero dei trasporti danese non ha richiesto nessuna documentazione particolare alle aziende italiane, neppure la certificazione antimafia, che pure l’Italia ha sempre esortato gli altri Paesi dell’Ue a esigere. Eppure già in passato contratti pubblici assegnati ad aziende italiane in Danimarca erano finiti nell’occhio del ciclone per violazioni del diritto del lavoro, ritardi nell’esecuzione dei lavori, costi lievitati enormemente.
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Poco dopo le interrogazioni parlamentari, l’avvocatura di Stato danese ha messo in pausa il contratto per fare ulteriori accertamenti. Il risultato? Se da un lato vince la presunzione di innocenza e, in attesa della fine dei processi, le aziende italiane ricevono un via libera, dall’altro gli accertamenti finanziari sulle stesse aziende rivelano una situazione tutt’altro che rassicurante. Infatti a luglio 2018, Condotte finisce in bancarotta e in amministrazione controllata, GLF in concordato per risanamento (ed è oggi estremamente rimpicciolita) e, da quel momento nel consorzio SBJV resta solo Itinera spa.
Le false promesse di dare «priorità» ai lavoratori danesi
I lavori possono proseguire, ma i problemi non si fermano, specialmente per gli operai. Le condizioni di lavoro restano infatti insicure e pericolose, tanto che il Danish Working Environment Authority – l’autorità ministeriale danese preposta alle ispezioni in azienda e alla tutela dei lavoratori – deve intervenire ben 140 volte.
Diversi lavoratori hanno denunciato violazioni dei regolamenti di sicurezza, mancanza di manutenzione sui mezzi e sugli equipaggiamenti, che hanno causato diversi incidenti anche gravi.
Alcuni degli operai che sono dovuti andare in ospedale dopo gli incidenti più gravi hanno scoperto, in almeno in sei casi secondo il rappresentante sindacale Finn Jensen, che SBJV non aveva denunciato gli incidenti, impedendo ai lavoratori di venire compensati adeguatamente.
Inoltre, nonostante SBJV avesse promesso a settembre 2018 di «dare priorità alla manodopera locale» in realtà circa il 75% dei lavoratori impegnati nel progetto vengono da fuori, principalmente da Romania, Portogallo e Italia, naturalmente a condizioni salariali molto più basse di quelle garantite ai danesi.
Gli operai stranieri delle subappaltate infatti non godono degli stessi diritti contrattuali dei lavoratori locali, e il salario è solo uno degli aspetti: un impiegato italiano di una subappaltata di SBJV, Tiziano La Gioia, racconta a Fagbladet lo scorso dicembre che, per un errore sul cantiere, una trave d’acciaio gli era caduta su una mano, fratturandogliela. «Uno dei miei colleghi mi voleva portare all’ospedale, ma un manager sul cantiere ha commentato che non era necessario e che me ne dovevo solo andare a casa».
La Gioia non gli ha dato ascolto, e all’ospedale verificano che ha diverse ossa rotte. «Al mio ritorno dopo quattro settimane, mi hanno rimandato a casa. Una settimana dopo, mi hanno licenziato e preso il biglietto aereo per rimandarmi in Italia».
Potrebbe essere proprio l’impiego di manodopera a basso costo ad aver permesso il ribasso di 53 milioni di euro che ha garantito a SBJV la vittoria dell’appalto, eppure sembra che neanche risparmiando sui salari e sulla sicurezza la joint venture riesca a mantenere gli impegni. Secondo il Road Directorate danese già un anno fa il progetto aveva accumulato cinque mesi di ritardo, e conti in rosso per 160 milioni di corone (circa 21 milioni di euro).
Marcheselli, l’operational manager con ha patteggiato in Italia
In questo contesto che già non giova particolarmente alla reputazione delle aziende italiane in Europa, si aggiunge un altro tassello piuttosto preoccupante.
Infatti, assunto con il titolo di operational manager all’interno di SBJV c’è l’italiano Pietro Paolo Marcheselli, un manager ben noto alla cronaca giudiziaria per almeno due vicende importanti e pertinenti al ruolo che ricopre ora: quella del traffico illecito di rifiuti legata alla vicenda del Tav nel Mugello, e quella del cosiddetto terzo valico, che ha rivelato la corruzione nei subappalti sulla costruzione della Tav Milano Genova.
Marcheselli, è importante specificarlo, al momento non ha nessuna condanna riguardo questi due casi. Nel caso di Firenze, dopo una condanna in primo grado e una in appello, che gli valsero anche l’interdizione da ruoli apicali negli altri progetti in cui era coinvolto, è stato assolto in Cassazione. Nel caso della vicenda del terzo valico invece, dove è stato accusato di aver favorito delle aziende specifiche nei subcontratti in cambio di tangenti, ad aprile 2018 è uscito dal processo con un patteggiamento.
Per le accuse di turbativa d’asta Marcheselli ha negoziato una pena di due anni di reclusione (con sospensione condizionale della reclusione) e una confisca di 5000 euro. I 5.000 euro corrispondono alla somma che, secondo le indagini, Marcheselli avrebbe ricevuto come bustarella per favorire l’assegnazione di un contratto di fornitura del valore di un milione e 600 mila euro alla ditta Giugliano costruzioni Metalliche srl.
La pena pattuita permette a Marcheselli di rimettersi subito al lavoro, e in un ruolo piuttosto prestigioso, nonostante fosse stato accusato di ben 7 capi d’imputazione e che le accuse riguardassero nel complesso l’assegnazione illecita di oltre 130 milioni di euro di subappalti.
Marcheselli in Danimarca è di casa in fondo, aveva infatti lavorato per Impregilo alla costruzione della Metropolitana di Copenhagen, un altro progetto che si era attirato le stesse identiche critiche che adesso assillano SBJV: condizioni di lavoro pericolose, incidenti e manodopera a basso costo, e una gara d’appalto vinta grazie a un forte ribasso che però si è tradotta in un progetto completato con nove mesi di ritardo, e costato oltre 130 milioni di euro più del previsto.
La policy anti-corruzione e le dimissioni annunciate
Nelle policy anti-corruzione di Itinera Spa si legge che per ogni posizione lavorativa con un rischio superiore al “basso”, deve essere fatta una «verifica circa l’insussistenza di eventuali preesistenti comportamenti non coerenti» attraverso «autocertificazioni in merito a carichi pendenti o sentenze attinenti illeciti corruttivi o condotte fraudolente» in modo da valutare l’affidabilità e la reputazione del potenziale dipendente.
Il caso di Marcheselli pone un ulteriore problema: il suo patteggiamento, infatti, non può certamente essere assimilato a una condanna, quindi diventa più difficile valutare se Itinera sia stata in linea o meno alle sue policy anti-corruzione. Il suo patteggiamento non sembra aver ricoperto un ruolo nemmeno nelle dimissioni annunciate dalla società a IrpiMedia, che si giustificano invece, spiega l’ufficio stampa, con «la campagna di stampa nei suoi confronti per fatti risalenti ad alcuni anni fa con una società diversa» e con «il fatto che comunque le attività per cui era stato preposto stanno ormai volgendo al termine».
Alle domande poste da IrpiMedia e Fagbladet, il consorzio SBJV ha anche precisato che, nonostante il titolo di operational manager Marcheselli non ha avuto un ruolo chiave dentro SBJV e che, non avendo nessuna procura per l’azienda, la sua partecipazione al progetto non deve essere soggetta a una valutazione speciale da parte delle autorità danesi, che comunque, ci assicura l’azienda, «sono state informate oralmente» delle sue vicende giudiziarie.
Ma Martin Juhl, dirigente dell’azienda danese Holbøll ed ex operations director della Barslung, una delle subappaltate di SBJV, dà una versione dei fatti che contrasta con le affermazioni della joint venture di Itinera. «Sembrava che avesse potere decisionale, – racconta – ha negoziato con noi su tutte le tematiche: le soluzioni tecniche, il calendario e il piano di produzione». «Era seduto a capotavola durante i nostri incontri – prosegue – e non c’è dubbio che fosse una figura rispettata dagli altri impiegati di SBJV, e con un “grado alto”, tanto che si rivolgevano a lui quando c’erano decisioni da prendere», conclude Juhl.
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Fagbladet ha condiviso con IrpiMedia una serie di email interne a SBJV, che dimostrano come Marcheselli sia sempre tenuto in copia nelle conversazioni importanti: è coinvolto nella corrispondenza con almeno una subappaltata, riceve i verbali dei meeting sulla sicurezza fra SBJV e l’Autorità danese di gestione delle strade dove si discutono temi di grande importanza come il calendario dei lavori e gli aspetti economici del progetto. In breve, Marcheselli appare parte di un “circolo interno” di quindici persone, che regolarmente vengono informate di tutti gli aspetti sensibili del progetto di costruzione.
Possibili conseguenze contrattuali per SBJV?
La valutazione dell’effettivo peso del ruolo di Marcheselli all’interno della struttura di SBJV è un nodo cruciale, anche secondo il codice appalti europeo. Del resto una delle accuse contenute nell’indagine di Genova, è proprio che Marcheselli, pur non avendo ufficialmente un ruolo apicale a causa della temporanea interdizione dovuta alla sua condanna a Firenze, abbia comunque nella pratica mantenuto il suo potere decisionale all’interno del consorzio COCIV, tanto che è a lui che le bustarelle venivano versate.
Ci sono innegabili similitudini con la situazione attuale, a confrontare le risposte di SBJV con le accuse di Martin Juhl. La preoccupazione è legittima anche secondo Steen Jensen, consulente di aziende che partecipano ad appalti pubblici che dichiara: «Ritengo che l’Autorità danese per la gestione delle strade dovrebbe investigare la faccenda e poi valutare se questa debba avere conseguenze contrattuali per SBJV».
Del resto, qualora Pietro Paolo Marcheselli fosse stato parte di SBJV al momento dell’assegnazione del contratto, prima cioè del suo patteggiamento di aprile 2018, la sua presenza sarebbe potuta essere sufficiente per escludere SBJV dalla gara d’appalto.
Però, per quanto dal punto di vista legale non sia possibile dimostrare alcuna violazione, restano da fare alcune considerazioni in tema di opportunità, e valutare anche il rischio reputazionale che il comportamento di SBJV comporta, e quanto questo si rifletta su tutte le altre aziende italiane che vogliano lavorare all’estero.
Nicoletta Parisi, professoressa di Diritto Internazionale alla Cattolica di Milano e membro dell’ANAC fino allo scorso ottobre, ci aiuta a fare chiarezza: «Per escludere un operatore economico da un appalto – spiega – occorre una sentenza di condanna definitiva. Anche se ci fosse una violazione delle policy interne anti corruzione questo non diventerebbe rilevante sotto il profilo legale fino all’apertura di un procedimento». Nessuna violazione formale delle leggi europee quindi, ma sicuramente una scelta discutibile da parte di SBJV «il patteggiamento non è una condanna ovviamente», continua la professoressa Parisi, «resta da valutare l’opportunità di questa scelta, che ovviamente è lasciata al libero apprezzamento del valutatore, le autorità danesi, che potrebbero, se volessero, valutare negativamente la sua presenza in questo progetto».
Considerando il corpo delle indagini e gli elementi di prova a suo carico, compreso un video girato da una telecamera nascosta della Guardia di Finanza in cui Marcheselli appare accettare e mettersi in tasca la “bustarella” di Giugliano, la sua scelta di patteggiare appare come un calcolo strategico, per trovarsi in questo limbo legale per cui non è né condannato né sotto indagine, quindi formalmente libero da interdizioni a ruoli manageriali secondo il codice appalti.
Potrebbe la sua, essere una mera scelta di opportunismo? «Marcheselli avrà fatto i suoi conti, anche se le sue ipotetiche intenzioni non hanno rilievo dal punto di vista giuridico – continua Parisi – del resto il codice italiano consente di patteggiare cose ben più gravi, e una sentenza di patteggiamento resta molto più leggera di una condanna». Conclude: «Ci si chiede come mai le autorità danesi non avvertano il bisogno di tenere lontana da un progetto così importante una persona di dubbia reputazione».
Purtroppo anche in Italia i tentativi di fare delle regole più stringenti che permettano di evitare queste situazioni di “impotenza” delle autorità di fronte alle aziende trovano una forte opposizione a essere applicati. Ci spiega Nicoletta Parisi: «Il nostro codice degli appalti all’articolo 84 contiene il concetto di reputazione. Prevede che si faccia in futuro (ma non si vuole fare per ovvi motivi) una serie di linee guida in termini di rating, che si valuti cioè il comportamento passato delle aziende per dargli un voto, e che questo voto possa essere valutato in sede di appalto». «Se l’impresa di Marcheselli chiedesse un rating di impresa, ne avrebbe uno molto basso, e la stazione appaltante potrebbe, se volesse considerarlo», conclude.
Alla fine quindi, la decisione resta alle autorità danesi. L’Autorità per la gestione delle strade però, ha dichiarato che non intende procedere oltre nelle indagini e SBJV conclude che è stato scelto di dare al manager un’altra opportunità.
Non è stato possibile ottenere un commento da parte di Marcheselli.
CREDITI
Autori
Giulio Rubino
David Rebouh