#FraudFactory
Lorenzo Bagnoli
Lorenzo Bodrero
Matteo Civillini
Gianluca Paolucci
C‘è il piccolo imprenditore che voleva di incrementare i suoi guadagni allettato da una pubblicità che spendeva il nome di un vip. E l’anziana pensionata, gravemente ammalata, che sperava di poter così comprare una carrozzina nuova. Tutti agganciati con pubblicità sui social network o con chiamate sul telefonino che propongono investimenti promettendo guadagni favolosi. Sono almeno 250 le vittime italiane della Fabbrica delle frodi, l’inchiesta internazionale sui call center di Milton Group.
In Italia, nella maggior parte dei casi, le perdite delle vittime sono state in media decisamente contenute: poche centinaia di euro, prima di accorgersi che i guadagni facili erano solo un miraggio. Per altri però il conto da pagare è stato salato.
La pubblicità con i vip
Come nel caso di Giovanni*, un piccolo imprenditore del Nord Italia. Ad attirarlo è stato una pubblicità su Facebook: l’annuncio porta a Cryptobase, un sito di trading in criptovalute con cui, ricorda Giovanni, secondo la pubblicità si sarebbero arricchiti anche vip.
Giovanni ha un piccolo capitale da investire e versa i primi 1500 euro. Quelli di Milton Group capiscono che non si tratta di un risparmiatore qualunque, c’è ciccia e soldi. Così fanno pensare a Giovanni che l’operazione sia andata benissimo: organizzano una finta conference call in cui si sprecano complimenti e commenti entusiastici. Un trionfo. Peccato che quei soldi in realtà non siano mai stati investiti. Sono stati trasformati in bitcoin e nascosti in qualche crypto-portafoglio aziendale.
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Le identità fittizia e reale di William/Valerian e una lavagna con i risultati del desk “italiano” /Dagens Nyheter. Scorri le immagini
«Diceva di abitare a Roma e che avrebbe anche organizzato un incontro con tutti i suoi clienti»
Una vittima italiana
Prima di capire che è tutta una truffa, Giovanni investe 10 mila euro. A farlo cadere nell’investimento-truffa è Riccardo Bernardi, un broker che parla italiano con un accento dell’Europa dell’est. «Aveva un atteggiamento amichevole e mi chiamava quasi tutti i giorni, sempre via Whatsapp – spiega Giovanni -. Diceva di abitare a Roma e che avrebbe anche organizzato un incontro con tutti i suoi clienti». Balle.
Riccardo Bernardi, in realtà, è un ragazzo ucraino di 19 anni, Valerian. Ha trascorso solo un breve periodo nel Nord Italia e vive a Kiev. Quando contatta Giovanni è entrato da meno di un anno in azienda, ma le sue incredibili capacità affabulatorie gli hanno permesso una carriera rapidissima.
È il migliore del dipartimento che ha come bersaglio delle truffe l’Italia. Obiettivo mensile d’incassi dalle vittime italiane: 250 mila dollari. Un bottino ricchissimo frutto anche dei trucchi sempre più fantasiosi escogitati da Riccardo/Valerian. Per ingannare un cliente avrebbe creato una carta d’identità italiana contraffatta, con tanto di timbro uf ciale dell’impiegato all’Anagrafe di Napoli.
A svelare il meccanismo un whistleblower che ha condiviso le sue informazioni con i giornalisti del quotidiano svedese Dagens Nyheter. Il centro di giornalismo Occrp ha poi coordinato l’inchiesta internazionale alla quale hanno partecipato oltre 40 giornalisti da 23 Paesi del mondo, per l’Italia La Stampa e Irpi.
Il copione della truffa
Quando contattano le potenziali vittime gli operatori devono seguire un copione. Nulla viene mai lasciato al caso. Per ogni giustificazione che l’interlocutore trova per sfuggire alla trappola, c’è pronta una risposta per controbattere.
La vittima dice di non avere un capitale iniziale da investire? Semplice, spiegagli che questo è il metodo per fare soldi senza doversi stressare, magari prendendo in prestito i fondi da un amico o un parente. Qualcuno chiede rassicurazioni sulla buona riuscita dell’investimento? Rispondigli che il futuro dell’azienda dipende dal guadagno dei propri clienti: «Possiamo esistere solo se il tuo investimento ha successo, questa è la garanzia».
Per ogni transazione completata agli operatori del call center viene assicurato dal 4 al 9 per cento della cifra, in base al metodo di pagamento. Meglio i bitcoin – non tracciabili – che bonifici o carte di credito. Il resto del bottino finisce nelle tasche del gruppo israelo-georgiano a capo di Milton Group.
Gli operatori vengono monitorati costantemente. I superiori li ascoltano in tempo reale mentre parlano con i clienti, spingendoli a toccare le corde giuste. Soprattutto quando trovano uno spiraglio nella fragilità delle vittime.
«Ti spiegano che bisogna vendere emozioni – racconta la fonte – e non importa se positive o negative: puoi vendere sogni oppure giocare sulla rabbia».
Anna*, pensionata ultraottantenne della provincia di Torino, sperava di racimolare qualche centinaia di euro per acquistare una carrozzina elettrica. È costretta in casa da quando ha perso quasi totalmente il controllo degli arti inferiori. Anche lei ha investito 100 euro su Cryptobase dopo essere stata contattata telefonicamente da una donna con l’accento straniero: sperava in un ritorno immediato. Invece alla fine quella carrozzina non se l’è mai potuta permettere.
Anna maneggia il computer e internet con una discreta dimestichezza, «sono sempre stata un’informatica – dice – ho lavorato in questo settore fin dall’avvento dei primi computer».
Ora non si dà pace per quello che dice essere un insulto ricevuto: da tre mesi invia una richiesta alla settimana per prelevare denaro reale dal suo conto di criptovalute. Nessuno risponde più alle sue email.
Indagini complicate
Oggi il sito di Cryptobase non è più accessibile dall’Italia. La Consob l’ha oscurato il 17 febbraio: i “servizi finanziari” che offriva sono abusivi. L’autorità finanziaria però non può fare nulla per recuperare i risparmi di chi è stato già fregato.
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Come spiega a La Stampa Nunzia Ciardi, direttore del Servizio di Polizia Postale e delle Comunicazioni, si tratta di un campo particolarmente difficile sul quale investigare. «I motivi sono diversi: la transnazionalità, la legislazione diversa tra paesi coinvolti, la difficoltà di circoscrivere le competenze, la capillarità delle condotte criminose». Il numero delle denunce è in rapida crescita ma ancora esiguo rispetto alla portata del fenomeno: 236 esposti nel 2018, 419 nel 2019 secondo i dati della Polizia postale.
«I numeri non rendono giustizia al fenomeno», spiega Ciardi, «molta gente non denuncia perché prova vergogna per la truffa subita e se lo fa avviene dopo un lasso di tempo in cui i truffatori hanno tempo di portare a termine i loro intenti criminosi».
I poteri di Consob
Un emendamento al Milleproroghe, proposto da Fratelli d’Italia, dà alla Consob più poteri e più risorse per contrastare questo tipo di frodi, sempre più diffuse.
Per chi c’è cascato però c’è poco da fare. Quasi tutte le vittime sentite da Irpi e La Stampa hanno ormai desistito dal cercare di recuperare quanto investito. Chi per la somma irrisoria, chi per vergogna, chi per rassegnazione. Ma c’è chi ha fatto il possibile per riappropriarsi dei suoi soldi.
Eugenio* è uno skipper nel sud Italia e la mancanza di lavoro durante il periodo invernale lo rende una preda ideale. «Volevo capire come funzionavano queste criptovalute e nel caso fosse andata bene avrei continuato», racconta.
L’inizio è incoraggiante e con un investimento dopo l’altro “investe” 1500 euro. Come gli altri, si fa ingolosire dalla crescita esponenziale del deposito originario. Nell’arco di quattro mesi il suo capitale, stando a quanto vede dal suo computer, triplica. L’impossibilità di passare all’incasso però lo insospettisce. Da lì a poco ha la certezza che ormai i suoi risparmi sono persi. Consulta quindi il suo avvocato, il quale dopo un paio di giorni lo informa che quella società risulta essere collegata a un’altra registrata alle Isole Vergini Britanniche. Fare luce su una società registrata in un paradiso fiscale è, secondo l’avvocato, inutile: «Lascia perdere – gli dice – sono inattaccabili, è una battaglia persa».
* nome di fantasia
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Lorenzo Bodrero
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