Fifa e “super-agenti”, le nuove regole che scontentano tutti
Non piacciono ai super-agenti che vogliono preservare il proprio potere, né a chi chiede un calcio più trasparente. L’agenzia Sport 7: «Troppo blande, la Fifa è responsabile della collusione tra club e agenti»

26 Febbraio 2021 | di Lorenzo Bodrero

Si chiama “tripla rappresentanza” e nel calcio professionistico è il più classico esempio di conflitto di interessi, proibito dal codice etico della Fifa, l’organo di controllo del calcio mondiale. Eppure è la prassi. Lo dice il Cies, Centro studi internazionale sullo sport (Cies) – pensatoio sportivo di base in Svizzera in cui un dipartimento è interamente dedicato all’analisi dell’economia del pallone – in un report riservato destinato alla Uefa in cui due anni fa annotava che «il conflitto di interessi è al centro» del calciomercato: da una parte il calciatore, dall’altra le società interessate all’affare. Nel mezzo l’agente che oltre agli interessi del giocatore media anche quelli delle società acquirenti e venditrici da cui percepisce a sua volta delle commissioni.

La stessa Fifa in una nota di gennaio 2020 descrive l’attuale sistema di rappresentanza agente-calciatore come governato «dalla legge della giungla». Non a caso il ritorno a un modello, auspicato dalla Fifa, in cui i procuratori tornino a rappresentare al massimo due parti all’interno delle trattative, sta portando alla guerra la Federazione del calcio mondiale e gli agenti più influenti e ricchi del momento. Dall’altra parte si trova un’altra frangia di professionisti del settore pronta a tornare alle origini in un mondo in cui l’agente sia esclusivamente curatore degli interessi dello sportivo.

Evasione fiscale, riciclaggio di denaro, commissioni esorbitanti: nell’ultimo quarto di secolo i tentativi intrapresi, poi abbandonati e ora nuovamente richiamati da parte della Fifa di regolamentare la figura dell’agente sportivo sono falliti. La figura del super-agente, dati alla mano, è fuori controllo: nelle fasce più basse, «dove vige una situazione da far-west», e in quelle più ricche, «con un alto livello di concentrazione», scrive ancora Il Cies.

Bisogna tornare al 1995 per capire l’origine di una scalata inarrestabile che ha portato i super-agenti a ricoprire un ruolo imprescindibile per il funzionamento dell’intero settore quando, con la sentenza Bosman, il calcio ha intrapreso una profonda trasformazione. Da allora, con quello che doveva essere un procedimento giuridico sul diritto del lavoro, il ruolo dell’agente ha acquisito sempre maggiore importanza, gli stipendi e i “prezzi” dei calciatori sono cresciuti esponenzialmente e la forbice tra club di prima e seconda fascia si è fatta sempre più ampia, con serie implicazioni anche dal punto di vista penale.

La “sentenza Bosman”, quando il calcio ha cambiato pelle

Il 15 dicembre 1995 la Corte di giustizia europea si pronunciava a favore di Jean-Marc Bosman in tre procedimenti differenti che lo vedevamo opposto alla Uefa, alla federazione calcistica del Belgio e al club Liege.

La vicenda risale al 1990, anno in cui scadeva il contratto che legava il giocatore belga al Liege. La sua volontà di trasferirsi in Francia al Dunkerque fu vanificata poiché l’offerta economica del club francese fu respinta da quello belga, con la conseguenza che a Bosman fu impedito di cambiare squadra, come da prassi di allora, pur non essendo più vincolato da un contratto. La Corte di giustizia europea stabilì, cinque anni più tardi, che il divieto imposto dal Liege limitava la libertà di movimento del calciatore. Ne risultò che un giocatore era ora libero di trasferirsi da un club all’altro gratuitamente alla scadenza del contratto, prassi ormai comune oggigiorno. La sentenza scatenò una reazione a catena con conseguenze ad ampio raggio nel mondo del pallone.

La possibilità di trasferirsi gratuitamente consentì ai calciatori di pretendere stipendi più alti e contratti più lunghi da parte del nuovo club per compensare la mancanza delle cifra sborsata per acquistarli. Questi potevano inoltre chiedere salari più alti con l’avvicinarsi della scadenza del contratto minacciando, nel caso le richieste non fossero accolte, di lasciare il club gratuitamente. Nacque così il ruolo di “agente”, incaricato dal calciatore di curare i propri interessi in fase di contrattazione con i club.

Prima della sentenza Bosman, inoltre, la Uefa imponeva l’utilizzo di non più di tre stranieri in campo per ciascuna squadra. A seguito della sentenza, i club potevano invece ingaggiare un numero illimitato di giocatori provenienti dall’Unione europea e i calciatori ambire a contratti più ricchi e più lunghi. In periodi di stabilità economica ciò non rappresentava un problema per il singolo club, ma in caso di retrocessione o di minori introiti per diritti tv, le società si trovavano con pesanti contratti a gravare sulle proprie casse. I club più piccoli si trovavano dunque costretti a svendere i giocatori migliori alle squadre più ricche per aggiustare i conti. A lungo termine, in molti campionati europei, questa tendenza ha contribuito ad ampliare il gap tra club di prima fascia e quelli più piccoli.

Le regole del “mercato di rappresentanza”, quello che dovrebbe gestire i trasferimenti dei calciatori e i soggetti che li rendono possibili, sono cambiate più volte per poi tornare all’antico e cambiare ancora. L’ultima, anzi la penultima, novità è arrivata nel 2015 quando l’organo di controllo del calcio mondiale demandava a ciascuna associazione calcistica nazionale (in Italia la Figc) la regolamentazione del ruolo degli agenti, di fatto smarcandosi da un sistema fuori controllo che la Fifa non riusciva (o non voleva) governare. Da allora non è più necessario possedere il patentino di agente, che di fatto assumeva il ruolo di intermediario, e chiunque poteva diventarlo.

È quantomeno curioso come le stesse ragioni che portarono la Fifa a una deregulation sei anni fa (limitare il conflitto di interessi, prevenire evasione fiscale e riciclaggio) sono le stesse alla base di una nuova riforma, in corso di sviluppo in questi mesi, che dovrebbe entrare in vigore il prossimo anno. Segno che le misure fin qui implementate, e poi rimosse, hanno fallito.

Una battaglia tra ricchi

L’organizzazione del calcio mondiale a settembre 2019 ha infatti annunciato l’introduzione di nuove norme per regolamentare il ruolo degli agenti. Tra queste, l’obbligatorietà di superare un esame di abilitazione per esercitare il ruolo di intermediario, e ottenere così una licenza Fifa, e l’istituzione di una “camera di compensazione” attraverso cui far confluire tutti i pagamenti, in nome della trasparenza. In gioco ci sono le sorti di un mercato in costante crescita.

Considerando solo i trasferimenti internazionali (escludendo quindi quelli all’interno dei confini nazionali), nel 2019 il mercato valeva 7,4 miliardi di dollari, contro i 2,7 del 2012. Il record di spesa spetta alla Premier League inglese, con 304 milioni di euro spesi nel 2019 per i compensi versati agli agenti sportivi. Nello stesso anno, tra commissioni e premi, la Serie A ne ha invece spesi 188.

Non stupisce dunque che le nuove regole in arrivo abbiano raccolto la forte opposizione degli agenti, o almeno di quelli che controllano il segmento più ricco del mercato. Per dare maggiore impulso all’azione di lobbying, alcuni di loro si sono riuniti in un’associazione registrata in Svizzera. Si chiama The Football Forum e comprende i pezzi da novanta del settore.

Ideatore e presidente è Mino Raiola, il celebre procuratore italo-olandese di Zlatan Ibrahimovic e Paul Pogba. Tra i vicepresidenti figurano i proprietari della prima e della seconda agenzia sportiva al mondo: Jonathan Barnett (ICM Stellar Sports) e Jorge Mendes (Gestifute), oltre al tedesco Roger Wittmann. Lo scontro tra Fifa e The Football Forum è aperto, specie alla luce di vecchi attriti tra Mino Raiola e il presidente della Fifa, Gianni Infantino. E si consuma attorno ad altri due punti compresi nel nuovo regolamento, particolarmente indigesti ai super-agenti: il limite al compenso percepito dai procuratori e l’obbligarorietà di rappresentare un solo soggetto nella trattativa (il club che vende, il calciatore o il club acquirente) o al massimo due (calciatore e club acquirente) se entrambi le parti concordano.

«Questo è l’unico settore in cui gli attori principali – i calciatori – non sono rappresentati, non siamo considerati degli stakeholder in nessuna federazione calcistica», ha affermato Mino Raiola in una recente intervista. Il fondatore di The Football Forum sostiene di «vivere in un mondo capitalista in cui l’economia si autoregola: il più forte vince e il più debole soccombe», ha aggiunto. Anche Jonathan Barnett, fondatore della ICM Stellar Sports, ha promesso battaglia: «Se chiedete ai giocatori cosa vogliono, vi diranno che sono a favore degli agenti», ha affermato il fondatore dell’agenzia per calciatori più importante al mondo, «e se necessario busseremo alle porte di tutti i tribunali del mondo per risolvere questa questione».

La Fifa è avvertita. Ma considerato il peso specifico dei dirigenti, è difficile credere che The Football Forum sia portatrice degli interessi di tutti i rappresentanti della categoria. Gestire le carriere di top player e agevolare trasferimenti multimilionari è infatti un traguardo per pochi. Sono oltre seimila gli agenti a livello mondiale ma solo un numero assai ristretto ha accesso al segmento più ricco: dei 2.685 trasferimenti avvenuti nel 2019 soltanto 176 (il 6%) hanno superato i 10 milioni di euro (dati Fifa).

Un avvocato contro tutti

Quello dei procuratori è dunque un mercato dove i contratti più ricchi sono in mano a pochi, un “oligopolio”, adottando il termine utilizzato da Pippo Russo su Domani. E a queste persone hanno accesso solo i top club, un’esclusiva che pone molti interrogativi sugli slogan di “equità” e di “competizione leale” sbandierati dalla Fifa. Le società elite del calcio europeo e mondiale acconsentono a queste pratiche «per non perdere competitività nei confronti dei club rivali in un mercato feroce e altamente deregolamentato», scrive il Cies.

Il meccanismo della tripla rappresentanza

Immaginate di essere Cristiano Ronaldo. Immaginate, inoltre, di voler cambiare casacca. Se fossero gli anni Novanta, il club che vuole acquistarvi si metterebbe in contatto con voi per proporvi un contratto, di durata X e con stipendio Y. Valutereste l’offerta, ne vagliereste altre e poi prendereste la vostra decisione. Se, infine, il club che vende accetta l’offerta economica del club acquirente, allora l’affare è fatto e fareste le valigie. Oggi è invece molto più complesso e la trattativa non è più una linea retta che dal club che vende arriva all’acquirente passando per il calciatore. È al contrario un cerchio in cui è entrato in gioco un nuovo soggetto, l’agente sportivo, colui che cura gli interessi del giocatore. Ora i papabili vostri acquirenti non si metteranno in contatto con voi bensì col vostro procuratore. Persuadere lui è il primo passo per arrivare a voi.

A questo punto il club che compra vi offrirà un ricco contratto nonché, qualora l’affare andasse in porto, una corposa commissione al vostro agente per il servizio di intermediazione. Anche il club che vende ha però bisogno dei suoi servigi. Si rivolge a lui per identificare la squadra disposta a spendere di più per acquistarvi e a offrirvi il contratto più ricco. Più alto è il prezzo, più cospicua sarà la commissione che l’agente incassa. È un gioco al rialzo, in cui il vostro agente è l’interlocutore di tutti i soggetti in campo e ad ogni trattativa i costi lievitano sempre di più. Quando tutte le parti sono d’accordo, il trasferimento è concluso e il vostro procuratore incassa una commissione sia dal club che vende sia da quello che compra. Oltre, naturalmente, alla vostra in quanto suo cliente.

Ma c’è anche chi interpreta il nuovo regolamento in arrivo come un tentativo di legittimare, invece di limitare, l’attuale ruolo del procuratore. «La collusione tra agenti e club è la regola del calciomercato, nonché la prima causa della criminalità sistemica che permea questo settore». Parole di Philippe Renz, avvocato svizzero e fondatore di Sport 7, agenzia per la gestione delle carriere sportive che dal 2017 punta a eliminare il conflitto di interessi nel calcio professionistico, lo stesso che il Cies sostiene essere alla base della concorrenza sleale subita da chi intende operare legalmente.

«La Fifa è il primo soggetto responsabile dell’illegalità che intercorre tra club e agenti, un’organizzazione che continua a nascondere e perpetuare queste pratiche così da favorire una certa elite del calcio mondiale», dichiara Renz a IrpiMedia. «La prova di tutto ciò», sostiene l’avvocato svizzero, «è proprio quella proposta di riforma del ruolo degli agenti da parte della Fifa».

Anche l’agenzia sportiva svizzera, dunque, è contraria alle nuove regole, ma per motivi completamente opposti a quelli dei super-agenti. Le giudica troppo blande. Da un lato, lasciare aperta la possibilità della “doppia rappresentanza” (quando il procuratore rappresenta il giocatore e uno dei club venditore o acquirente) per Renz significa «legalizzare il conflitto di interessi, non contrastarlo», quando invece bisognerebbe attaccare «il rapporto incestuoso tra club e agenti e le remunerazioni illegali che intercorrono tra loro, che oggi costituiscono la fonte principale della criminalità nel calcio».

Sport 7 è convinta anche della relativa utilità dietro al principio della creazione di una futura “camera di compensazione” attraverso cui, in nome della trasparenza, secondo la riforma dovranno passare tutti i pagamenti da e verso club e agenti. «È in buona parte una sciocchezza», commenta Renz, «chi garantisce che altri pagamenti e commissioni extra non verranno inviate su altri canali? e chi controllerà? la Fifa?». Secondo l’avvocato, la riforma in arrivo «altro non è che una cortina di fumo alzata per dare l’impressione di essere in controllo quando invece non cambierà nulla, neanche le autorità potranno avere contezza di quanti soldi transitano e dove andranno a finire, proprio come adesso».

La soluzione, sostiene, è una sola: riportare gli agenti al loro ruolo originario di meri curatori degli interessi di un calciatore e proibire loro di fungere da intermediari per i club. È il caso per esempio del Belgio dove dal 1 luglio 2020 la Royal Belgian Football Association ha introdotto un nuovo regolamento che impone il divieto della “doppia rappresentanza”. Ci aveva provato anche la federazione inglese nel 2007 ma dopo un anno mezzo dovette cedere alle pressioni dei club più ricchi e fare un passo indietro: gli agenti non avevano più interesse a piazzare i loro giocatori nel campionato oltremanica, preferendo invece quelli che avrebbero pagato i loro servigi e offerto contratti più alti ai propri clienti.

Foto: Lo stadio José de Alvalade XXI a Lisbona – Elio Santos/Unsplash | Editing: Luca Rinaldi

IrpiMedia è gratuito

Ogni donazione è indispensabile per lo sviluppo di IrpiMedia

Share via
Copy link
Powered by Social Snap