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DigitalBits, chi è il criptosponsor di Roma e Inter
Dietro l’aggressiva campagna di marketing per entrare nel calcio italiano, ci sono accuse di truffa e una doppia moneta costata milioni di dollari ai primi investitori
06 Aprile 2022

Lorenzo Bodrero
Matteo Civillini

Il 5 febbraio scorso a San Siro si giocava un derby potenzialmente decisivo per le sorti della stagione. Sul campo, l’Inter si è fatta rimontare dal Milan che, così facendo, ha riaperto la lotta per lo Scudetto. Una delusione per i tifosi nerazzurri, che però prima della partita avevano ricevuto un insolito regalo: alcuni “gettoni” di una criptovaluta. Si tratta di DigitalBits (DB), moneta coniata dall’omonima fondazione creata alle Isole Cayman che dall’estate scorsa punta forte sul calcio italiano. Già main sponsor della Roma per la stagione in corso, il logo campeggerà anche al centro della maglia nerazzurra a partire dalla prossima annata.

Le due partnership, per un valore totale di oltre 110 milioni di euro, stanno portando notevole visibilità a DB, che ambisce a diventare “la blockchain per i brand”, cioè, in pratica, vuole applicare il modello delle “catene di blocchi” anche in settori che non sono quello tecnologico o finanziario. L’obiettivo, stando ai claim pubblicitari di DigitalBits, è cambiare il modo con cui consumatori e marchi interagiscono.

Il glossario delle criptovalute

Blockchain: immaginate una sequenza potenzialmente infinita di “blocchi” ciascuno dei quali contiene una serie di informazioni. L’acquisto di criptomoneta costituisce un blocco di informazioni, così come la vendita, l’aggiunta di un nuovo utente o di un wallet, la stessa cosa vale per una transazione economica. Chiunque può aggiungere nuove informazioni e a ciascun blocco, di default, è assegnato un codice univoco il quale “memorizza” e quindi verifica anche l’identità del blocco che lo precede. In questo modo è praticamente impossibile manomettere l’intera catena, motivo per il quale la blockchain è considerata sicura. In estrema sintesi, la blockchain è un enorme database controllato dai blocchi che lo compongono, immutabile, decentralizzato e altamente sicuro dal punto di vista informatico.

Criptovaluta: moneta virtuale, ossia che non esiste in forma fisica. Si genera e si scambia criptomoneta esclusivamente per via telematica e in modalità peer-to-peer, ovvero tra due dispositivi senza l’ausilio né l’intermediazione di autorità centralizzate. Le entità che danno vita allo scambio sono i “nodi”, nient’altro che dei computer gestiti da utenti all’interno dei quali sono continuamente all’opera software che svolgono la funzione di portamonete.

Fan Token: è un asset digitale creato sulla blockchain e collegato a una specifica squadra di calcio che permette ai detentori l’accesso di beni e servizi. Nel caso di Socios, principale emittente di questi prodotti, i fan token si appoggiano su Chiliz, una criptovaluta gestita da Socios stessa.

Meme coin: sono quelle criptovalute che nascono a seguito di fenomeni sociali, scherzi o contenuti diventati virali in rete. Il contenuto virale stesso diventa il volto, e spesso il logo, con cui è individuata la moneta. Il caso più celebre è Dogecoin, creata per scherzo nel 2013 e che si ispira all’ormai celebre cane Shiba Inu, razza giapponese dal pelo folto e di colore ocra. Simile è la genesi di Floki. Il nome del celebre personaggio della serie televisiva Vikings è quello con cui è stato battezzato il cane di Elon Musk. Floki Inu ha quindi raccolto l’eredità mediatica di due fenomeni diventati virali.

Non Fungible Token (NFT): sono dei certificati di proprietà di opere digitali ma non nella loro interezza. Un singolo NFT, infatti, corrisponde ad una frazione del bene/oggetto in questione il quale ha un valore determinato in base al valore dell’oggetto stesso. In sostanza, è come possedere una o più azioni di una società quotata.

Wallet: un portafoglio virtuale, simile a quelli più comuni associati, per esempio, alle app per i pagamenti in forma digitale. Sono necessari per immagazzinare e trasferire criptovalute.

Dietro alla scintillante campagna pubblicitaria, non è chiaro quanto sia davvero stabile DigitalBits. Negli Stati Uniti è in corso una causa civile in cui i vertici dell’azienda sono accusati da vecchi investitori di truffa e appropriazione indebita. Almeno due ex dipendenti lamentano di non essere stati pagati e denunciano presunte lacune tecniche del progetto. Insomma, a detta dell’accusa, DigitalBits sarebbe “un castello di carte”.

Uno dei primi investitori in DigitalBits, che ha portato in tribunale la fondazione, sostiene che il suo iniziale investimento di circa 200 mila dollari abbia finanziato il successo di DigitalBits senza che lui ne abbia poi potuto godere i frutti. Secondo l’accusa, il fondatore della società, il canadese Al Burgio, e il socio in affari Michael Gord, non avrebbero mai corrisposto l’oggetto dell’investimento, ovvero la criptovaluta coniata dall’azienda, arricchendosi invece personalmente. A detta dell’investitore, infatti, i vertici di DigitalBits avrebbero tenuto per sé le monete, dalla cui vendita avrebbero in seguito ottenuto profitti per centinaia di milioni di dollari. Soldi che sarebbero poi stati dirottati, oltre che sulle sponsorizzazioni dei club, su viaggi di lusso e investimenti immobiliari da parte di Burgio e Gord.

L’investitore della cripto-azienda nata nel 2017 chiede il risarcimento del corrispondente in criptovalute per 160 milioni di dollari. Alla lista dei creditori appartengono altri investitori, tra cui ex dipendenti dell’azienda.

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Una brutta notizia per il mondo del calcio, gravato da pesanti debiti e alla ricerca di un settore ricco di liquidità per finanziare le sponsorizzazioni, dopo il divieto imposto nel 2018 alle società di scommesse per effetto dell’allora “Decreto Dignità”. Il calcio, con la sua endemica emorragia finanziaria in corso da anni, dovrà prima o poi fare i conti con il settore delle criptovalute, al momento completamente deregolamentato e sul quale ha puntato forte per far quadrare i bilanci, oltremodo in rosso per le restrizioni imposte dalla pandemia. Come già riportato da IrpiMedia sono almeno 16 i club di Serie A che hanno stretto accordi di sponsorship con società del settore delle criptomonete, a cui si aggiungono la Figc e la stessa Serie A Tim.

Ma i dubbi superano le certezze, come nel caso del Napoli e di Floki Inu, cripto-società gestita da un team pressoché anonimo e registrata in uno sperduto paesino della Georgia il cui azionista è una donna definita da un’operatore della società una «testa di legno». Il meme coin ha investito massicciamente in operazioni di marketing e sponsorizzazioni ma la sua operatività è ancora tutta da dimostrare.

Tra le società monitorate c’è anche lo sponsor della Lazio. La Consob, l’ente preposto alla tutela dei consumatori, lo scorso luglio ha segnalato con un warning la società Binance, sponsor del club biancoceleste da ottobre 2021, precisando che le società del gruppo «non sono autorizzate a prestare servizi e attività di investimento in Italia».

Come funzione una blockchain

Una blockchain è un registro contabile condiviso e distribuito che permette il tracciamento di transazioni. In questo sistema le informazioni vengono registrate in blocchi di dati che, una volta inseriti, si concatenano al blocco precedente. Da questo meccanismo deriva il nome blockchain, letteralmente catena di blocchi. La tecnologia blockchain viene impiegata in diversi campi, ma il suo utilizzo principale è legato al mondo delle criptovalute. Sulle blockchain (come Bitcoin o Ethereum) vengono infatti registrati gli scambi di moneta.

Una blockchain dovrebbe garantire trasparenza e sicurezza nell’esecuzione delle transazioni, poiché tutti i partecipanti hanno accesso al medesimo registro che non può essere modificato o manomesso. A fare da contraltare, tuttavia, c’è il significativo impiego di energia necessario per verificare le transazioni, creando un notevole impatto ambientale.

Fondata dal canadese Al Burgio nel 2017, DigitalBits propone di rivoluzionare in chiave crypto il mondo dei programmi fedeltà di hotel, ristoranti, compagnie aeree. In sintesi, marchi noti potrebbero utilizzare la blockchain gestita da DigitalBits per emettere dei propri gettoni (token, in gergo) da distribuire ai clienti più leali. Insomma, una versione digitale della vecchia raccolta punti a bollini. DigitalBits guadagnerebbe grazie alle commissioni che i marchi dovrebbero versare per l’utilizzo della blockchain. Un progetto che per ora però, a cinque anni dalla sua nascita, è rimasto soltanto sulla carta.

Nel variopinto mondo delle criptovalute Digitalbits ha avuto difficoltà a emergere, surclassata dalla popolarità di società ben più affermate. La notorietà arriva nell’estate 2021 quando, a fine luglio, l’azienda firma una partnership da 36 milioni di euro con la AS Roma diventandone il main sponsor e rimpiazzando così un colosso come Qatar Airways. Di questa cifra alla Roma è arrivata solo una prima tranche. La formula si ripete poche settimane dopo, a settembre. Questa volta è l’Inter ad annunciare DigitalBits quale “sleeve sponsor” (lo sponsor che compare sulle maniche delle squadre, ndr) per le successive quattro stagioni, intascando 85 milioni di euro dalla società cripto.

La doppia criptomoneta di DigitalBits

A gennaio Ephrat Livni insieme ad altri colleghi del New York Times ha intervistato l’avvocato Adam Ford, il quale rappresenta l’investitore che ha portato a processo DigitalBits negli Stati Uniti. Secondo quest’ultimo i grandi proclami di DigitalBits sarebbero solo fumo negli occhi: dopo anni di sviluppo, la blockchain non avrebbe ancora alcuna applicabilità concreta, né ci sarebbero grandi marchi che si sono affidati ad oggi ai servizi di DigitalBits. Tutto ciò mentre Al Burgio e il suo partner Michael Gord – i fondatori della società – vengono accusati di aver raccolto gli iniziali investimenti di soci della prima ora arricchendosi personalmente senza versare loro il corrispettivo in criptomonete.

Un momento dell'incontro di Coppa Italia tra Inter e Roma l'8 febbraio 2022 - Foto: Giuseppe Bellini/Getty

Un momento dell’incontro di Coppa Italia tra Inter e Roma l’8 febbraio 2022 – Foto: Giuseppe Bellini/Getty

Il contenzioso ruota attorna alle specifiche tecniche della criptomoneta XDB, coniata da DigitalBits.

A cavallo tra la fine del 2018 e i primi mesi del 2019, Mark Dorrell, imprenditore canadese e principale accusatore, ne aveva acquistati oltre 233 milioni per un controvalore di poco inferiore ai 200 mila dollari. Dorrell e gli altri investitori sostengono di aver accettato la proposta di investimento con la consapevolezza che sarebbe esistita una sola versione delle monete, chiamata, appunto, XDB.

Qualche mese dopo l’acquisto, tuttavia, Al Burgio avrebbe informato Dorrell dell’esistenza di una seconda variante della criptomoneta, cosiddetta XDB ERC-20, creata sulla blockchain di Ethereum (seconda piattaforma più rilevante nel mondo crypto, dopo Bitcoin), invece che su quella proprietaria di DigitalBits. Secondo Burgio, questa sarebbe stata una situazione temporanea, poiché in seguito i token XDB ERC-20 sarebbero stati tramutati in quelli ufficiali creati sulla blockchain di DigitalBits, i cosiddetti XDB MainNet.

La stessa informazione viene diffusa a partire dall’autunno 2019 sui social network di DigitalBits: l’azienda ha sempre avuto intenzione di lanciare due diversi asset (cioè le due versioni di XDB: ERC-20 e MainNet), dicono, e il Token Swap – l’evento attraverso cui una variante di criptomoneta è scambiata con un’altra – sarebbe stato annunciato a breve. Il problema è che «Dorrell mai prima era stato informato dell’esistenza di varianti differenti del token», si legge nella querela. L’esistenza di due token secondo l’investitore gli avrebbe causato un mancato guadagno potenziale di circa 160 milioni di dollari.

Ad aprile 2021, messo sotto pressione dalle insistenze dell’avvocato, Al Burgio dà il via libera per la consegna a Dorrell dei token dovuti: 200 milioni di XDB MainNet, la moneta “alternativa” a ERC-20. Questi token però non possono essere utilizzati né sulle piattaforme di scambio, né tantomeno possono essere integrati alle varie piattaforme di pagamento. In breve, non hanno alcuna funzionalità. Da anni – sostiene l’accusa – Burgio e i suoi soci annunciano che è ormai imminente il Token Swap ma, ad oggi, questo non è ancora avvenuto.

Al Burgio, creatore di blockchain

Cresciuto in una zona agricola dell’Ontario, in Canada, Al Burgio costruisce fin da giovanissimo una carriera imprenditoriale. Nel 1999, all’età di 22 anni, diventa presidente della Burgio Family Holding, cassaforte di famiglia che gestisce partecipazioni in diverse aziende. Tra di esse spicca la Loretta Foods, società che si occupa di produzione e vendita all’ingrosso di prodotti alimentari, di cui Burgio diventa amministratore delegato nel 2005. Successivamente, Burgio si tuffa nel settore tech fondando prima un fornitore di servizi di comunicazione VoIP e poi di un’azienda che facilita lo scambio di traffico internet. Dopo la cessione della società nel 2017, Burgio entra nel mondo di blockchain e criptovalute, lanciando poco dopo il progetto DigitalBits.

Il progetto DigitalBits è gestito attraverso una complessa rete di società dislocate tra paradisi offshore e giurisdizioni dalla scarsa trasparenza.

La capofila del gruppo è Fusechain XDB I Ltd, azienda con sede alle Isole Cayman, dove si trova anche la Digitalbits Foundation, suo braccio operativo. Scendendo di un livello, Fusechain XDB I risulta essere principale azionista di alcune filiali con sede nello stato americano del Wyoming, oggi uno dei principali paradisi fiscali al mondo. Tra di esse c’è Zytara, la società che ha stretto gli accordi di sponsorizzazione con Roma e Inter.

La struttura societaria del progetto DigitalBits

Quando il calcio affida le sponsorship a presunti truffatori

Secondo l’avvocato Adam Ford, la società avrebbe truffato i primissimi investitori – quando DB era ancora sconosciuta – raccogliendone gli investimenti senza corrispondere loro il controvalore in criptomoneta. I contratti stilati prevedevano che la criptovaluta da ricevere in cambio dovesse essere XDB, senza precisare di quale versione. Il capitale iniziale accumulato sarebbe poi servito, da un lato, per lanciare una diversa variante di XDB che sarebbe poi stata distribuita pubblicamente, e, dall’altro, creare altre società controllate così da dare all’azienda quella parvenza di legittimità con cui approcciare nuovi investitori.

«Ho personalmente tirato dentro alcune delle società più importanti al mondo, le quali erano pronte a firmare contratti di partnership con DB – ha spiegato un ex dipendente a IrpiMedia, – salvo poi venire bloccato da Al Burgio». Una sorte simile a quella toccata a Dorrell, laddove l’intenzione della società era «tenere per sé i token commerciabili e di più alto valore» – si legge nella denuncia. Con token commerciabili si intende la moneta ERC-20 scambiabile liberamente sul mercato, a differenza della MainNet. Secondo i querelanti, la società avrebbe venduto una parte dei token ERC-20 a una cerchia ristretta di clienti, tenendo l’altra per sé, allo scopo di condizionare l’andamento del valore della criptomoneta.

Mentre Dorrell altri investitori iniziali sono rimasti a mani vuote, il valore di quel token ha avuto una crescita vertiginosa, passando da circa 0,016 dollari nel settembre 2019 a un massimo di 0,81 dollari nel novembre 2021 (oggi vale 0,55 dollari). Gli investitori sostengono che se avessero ricevuto i propri token avrebbero potuto liberamente scambiarli sul mercato, realizzando un profitto potenzialmente enorme.

L’avvocato aggiunge che la conversione dei token XDB dalla variante ERC-20 a quella MainNet, nonostante i numerosi annunci pubblici, non è mai stata realizzata «intenzionalmente, così da impedire a Dorrell di convertire la criptomoneta e mantenere bassa la quota di moneta in circolazione e di conseguenza un prezzo più alto del token stesso».

IrpiMedia ha contattato più di una volta DigitalBits e il suo fondatore Al Burgio senza ricevere alcuna risposta.

Movimenti notevoli di moneta sono stati notati nelle settimane a cavallo degli accordi chiusi con Inter e Roma. In due occasioni, tra agosto e settembre 2021, (vedi grafico) gli scambi di XDB hanno registrato due salti improvvisi: rispettivamente per 85 e 110 milioni di token che hanno cambiato mano nel corso di una giornata. Difficile interpretare le ragioni dietro movimenti così massicci di criptomoneta. Successivamente, due mesi dopo gli accordi con le squadre italiane, il numero di monete in circolazione (circulating supply, in gergo) ha subito un’impennata improvvisa: da circa 770 milioni di unità a 880 milioni. Una circostanza su cui l’avvocato Adam Ford vuole vederci chiaro.

La AS Roma, interpellata da IrpiMedia, ha precisato che la sponsorship non prevede il pagamento in token: «Il corrispettivo del contratto è esclusivamente in euro […] ed è equivalente all’intero valore dell’accordo, come comunicato al mercato». Quel che è certo, continua l’avvocato, è che «nessuno degli investitori con cui sono entrato in contatto ha ricevuto un solo token».

Per società di questo tipo è comune organizzare eventi – online e dal vivo – attraverso cui non solo promuovere l’utilizzo della propria criptomoneta ma anche aumentarne la circolazione (supply, in gergo) e incentivarne, così, l’uso tra i propri utenti, in questo caso i fan. Nel gergo crypto, l’occasione prende il nome di airdrop.

Durante il derby di Milano dello scorso 5 febbraio, i tifosi nerazzurri presenti allo stadio Meazza hanno avuto la possibilità di ricevere dei DigitalBits gratuitamente. A questo tipo di iniziative si presta anche Francesco Totti, ex capitano e bandiera del club giallorosso, diventato ambasciatore di DigitalBits a dicembre 2021 con un compenso da – scrive Il Tempo – 5 milioni di euro. Alla prima della pellicola cinematografica Uncharted del 17 febbraio a Roma il pubblico ha potuto incontrare l’ex numero 10 del club capitolino, ma non prima di aver aperto un proprio account sulla piattaforma di DigitalBits.

Nella sua scia si è accodato David Beckham: l’ex capitano della nazionale inglese è infatti diventato global ambassador di DigitalBits lo scorso 24 marzo. Due mesi prima, a fine gennaio, l’Inter aveva ulteriormente rafforzato la sua partnership con l’azienda crypto. L’annuncio era arrivato in concomitanza con le dichiarazioni dell’amministratore delegato nerazzurro Giuseppe Marotta il quale, al Sole24Ore, dichiarava che «il calcio è un sistema sull’orlo del baratro»: dalla prossima stagione calcistica, il logo di DB passerà dalle maniche al petto, diventando così main shirt sponsor e scalzando l’altro colosso crypto, Socios.com.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bodrero
Matteo Civillini

Infografiche

Lorenzo Bodrero

Editing

Lorenzo Bagnoli

Foto di copertina

Lo sleev sponsor DigitalBits sulle maglie dell’Inter in occasione del match Inter – Bologna il 18 settembre 2021
(Jonathan Moscrop/Getty)