Football Leaks in tribunale
Hacker o whistleblower? Rui Pinto, che con Football Leaks aveva scoperchiato i segreti del calcio, è oggi a processo ma la collaborazione avviata con le autorità può aprire squarci giudiziari che vanno ben oltre il calcio

7 Settembre 2020 | di Lorenzo Bodrero

«Il miglior acquisto della stagione è quello di Rui Pinto da parte della Polizia Giudiziaria». Parole di Rui Santos, celebre giornalista sportivo portoghese che così commentava il drastico cambio di atteggiamento delle autorità lusitane nei confronti del whistleblower fondatore della piattaforma Football Leaks. Il riferimento del cronista è alla decisione presa agli inizi di agosto da parte di un giudice portoghese che ne ha revocato gli arresti domiciliari e che certifica la decisione del 31enne – presunto hacker, sostiene l’accusa – di collaborare con le autorità. Il processo dovrà chiarire le modalità con cui Pinto è entrato in possesso di centinaia di migliaia di documenti confidenziali, facendo luce su quella sottile linea che distingue un hacker da un whistleblower. Sul piatto, ha messo 17,5 terabyte di documenti in suo possesso che ora passeranno al vaglio degli investigatori lusitani. A tremare sono alcuni tra i principali club in Europa, stelle del calcio e agenzie di intermediazione. Ma non solo. I documenti resi pubblici da Football Leaks hanno già avuto ripercussioni ben oltre il gioco più seguito al mondo, come lo scandalo Luanda Leaks, e chissà quali altri segreti nascondono.

Venerdì 4 settembre a Lisbona si è celebrato l’inizio del processo che vede Rui Pinto accusato di tentata estorsione e di accesso illegale a informazioni confidenziali. «Denunciare i crimini è motivo d’orgoglio», ha dichiarato in aula, in cui si è presentato con un giubbotto antiproiettile per motivi di sicurezza.

Rui Pinto – Facebook

La sua odissea giudiziaria è cominciata nel gennaio 2019 quando la polizia ungherese lo ha tratto in arresto a Budapest, dove risiedeva con la sua fidanzata. Fino a quel giorno era conosciuto a tutti come “John”, nome di fantasia da lui stesso creato per proteggere la propria identità fin da quando, nel 2015, aveva messo in rete un sito web su cui pubblicava contratti e accordi multi-milionari tra club, calciatori, procuratori e agenzie di marketing. Ottenuti illegalmente, secondo i magistrati; frutto della collaborazione con fonti autorevoli, secondo il whistleblower portoghese. Estradato in Portogallo l’anno scorso, Pinto ha trascorso in carcere più di un anno mezzo, sei mesi dei quali in isolamento. I giudici portoghesi gli avevano concesso gli arresti domiciliari lo scorso aprile e da allora vive in una località segreta non lontano dalla capitale in attesa del processo.

Dalla Doyen all’evasione fiscale di CR7, fino ai raggiri finanziari di Manchester City e PSG

Ancora oggi Football Leaks rappresenta la più grande fuga di notizie nella storia del calcio professionistico. Contratti, accordi, fatture, clausole confidenziali ed email. Migliaia di documenti emergono sulla piattaforma web a partire dal 2015 e mettono in subbuglio lo sport più seguito al mondo. Il terremoto fu tale che club e fondi di investimento – quelle società che finanziano la compravendita dei contratti dei calciatori per conto dei club stessi – arruolarono degli investigatori privati pur di conoscere l’identità della fonte di quei documenti. Dopo pochi mesi però il sito va offline, riemerge qualche settimana più tardi quando il settimanale tedesco Der Spiegel riceve da Pinto 3,4 terabyte di dati e li condivide con la European Investigative Collaborations (EIC), un network di 60 giornalisti in 14 Paesi che faranno le pulci a quei migliaia di documenti.

A farne le spese sono stati in molti. Tra i più noti c’è Cristiano Ronaldo. Dagli articoli pubblicati, il Fisco spagnolo ricostruisce lo stratagemma creato dal suo staff per eludere le tasse dovute per lo sfruttamento dei suoi diritti di immagine. L’asso portoghese, durante la permanenza al Real Madrid, aveva eluso il fisco per 14,7 milioni di euro secondo uno schema che dalla Spagna passava dall’Irlanda e dalla Svizzera fino alle Isole Vergini Britanniche e per il quale il giocatore della Juventus è stato condannato a 23 mesi di carcere (non scontati) e al pagamento di quasi 20 milioni di euro nel 2018. La mente dietro lo stratagemma era il suo procuratore, l’onnipotente Jorge Mendes, già agente di numerose star internazionali, non solo nel calcio. Anche loro, da José Mourinho ad Angel Di Maria, da Ricardo Carvalho a James Rodriguez, hanno patteggiato con le rispettive autorità per evasione fiscale, venuta a galla grazie a Football Leaks.

La caccia all’uomo dietro la piattaforma è cominciata con una denuncia fatta dal fondo di investimenti Doyen Sports. La società, registrata a Malta, lamentava il furto online di informazioni riservate. Pinto avrebbe inoltre inviato una mail al management chiedendo “tra i 500mila e il milione di dollari” per non pubblicare i documenti. Da qui, l’accusa di tentata estorsione che il 31enne portoghese afferma essere stata, invece, un tentativo per testare fino a che punto la società fosse disposta ad arrivare per impedire la pubblicazione dei documenti.

Un estratto dell’indagine del Comitato per l’Intelligence del senato americano in cui viene citato Tevfik Arif.

La Doyen è da anni uno dei più importanti fondi di investimento in Europa, il cui ad è Nelio Lucas, anche lui portoghese. Secondo i documenti di Football Leaks, il capitale iniziale della Doyen arrivava dagli Arif, potente famiglia del Kazakistan arricchitasi nei settori chimico e metallurgico all’indomani del crollo dell’Urss. Tevfik Arif, il padre di uno dei fondatori di Doyen, è noto per aver fatto affari con Donald Trump ed è stato di recente citato all’interno del report stilato dal Comitato per l’Intelligence del senato Usa: «Le informazioni ottenute dal Comitato suggeriscono che [Tevfik Arif, ndr] abbia avuto legami con la criminalità organizzata russa e sia stato coinvolto in riciclaggio di denaro e traffico di essere umani fino almeno al 2000».

Da club di secondo livello a super potenze calcistiche, in dieci anni Manchester City e Paris Saint Germain hanno raggiunto l’olimpo del calcio europeo. Un risultato strabiliante, ottenuto però attraverso sponsorizzazioni gonfiate e trucchi contabili, in barba alle già fragili regole finanziarie imposte dalla Uefa, l’organismo che presiede il calcio europeo. Anche questo “doping finanziario” è stato rivelato grazie ai documenti ottenuti da Football Leaks. 

Si scoprì che il club inglese, di proprietà dello sceicco Mansour bin Zayed al-Nahyan, membro della famiglia reale di Abu Dhabi, falsificava i propri bilanci così da nascondere il deficit creato dalle spese stellari necessarie ad acquistare e a garantire gli stipendi di decine di calciatori di primo livello. Per farlo, la società inseriva a bilancio sponsorizzazioni di un valore tre volte superiore rispetto a quello di mercato. Un report interno alla Uefa del 2014 scoprì infatti che i contratti con Aabar, uno dei fondi sovrani dell’emirato, ed Etisalat, tra i leader della telefonia in Medio Oriente, valevano rispettivamente 5 e 18 milioni di euro, contro i 17 e i 19 milioni dichiarati dal club. Iper valutare i contratti permette alla società di nascondere le perdite che, a fronte dei reali valori dei contratti, sarebbero state di oltre 200 milioni di euro. «Possiamo fare quello che vogliamo», scriveva in una email pubblicata da Football Leaks uno dei direttori del club in risposta a un collega che gli chiedeva se fosse possibile alterare i contratti per poter rientrare nei parametri della Uefa. Inoltre, entrambi gli sponsor erano riconducibili alla famiglia reale, particolare che infrangeva le regole del Financial Fair Play (FFP) in vigore in Europa dal 2013. La Uefa inizialmente commina una multa di 60 milioni di euro al Manchester City, per poi revocarla un anno più tardi.

Una strada simile è stata percorsa dal Psg. Nel caso della squadra parigina, la sponsorizzazione arriva dal Qatar Tourism Authority, ente del turismo del Qatar che firma un accordo di cinque anni con il club per oltre un miliardo di euro laddove una successiva indagine della Uefa ne certifica il valore a 15 milioni di euro. Come per il Manchester City, viene fuori che la società turistica è direttamente legata agli sceicchi del piccolo Stato del golfo Persico. A quel punto, però, la Uefa si fa promotrice di un accordo con la squadra francese. Le carte di Football Leaks rivelano gli incontri avvenuti tra Michel Platini e Gianni Infantino (rispettivamente, allora, presidente e segretario generale della Uefa ) durante i quali viene concesso al club di Tamim bin Hamad Al Thani di iscrivere a bilancio il contratto con la Qatar Tourism Authority per cento milioni di euro. La metà di quanto auspicato dall’emiro ma ben al di sopra del reale valore.

La disponibilità dimostrata da Platini e Infantino verso il club francese ha raccolto molte critiche nell’ambiente sportivo, che imputava ai due dirigenti inflessibilità verso club più piccoli e indulgenza verso i più ricchi.

Dai Luanda Leaks all’indagine sul presidente della Fifa

Su Gianni Infantino, oggi alla guida del calcio mondiale in veste di presidente della Fifa, è stata aperta un’indagine «per segnali di condotta criminale» in cui si ipotizzano i reati di abuso d’ufficio, istigazione a delinquere e violazione di segreto d’ufficio. La vicenda, ancora una volta, ha preso spunto dalle rivelazioni fatte da Football Leaks un anno fa quando vennero a galla due incontri confidenziali del 2016 tra Infantino e l’allora procuratore generale svizzero, Michael Lauber. Un anno prima l’inchiesta a guida americana nota come Fifagate aveva fatto piazza pulita dei vertici della Fifa, portando alle dimissioni dell’allora numero uno, Sepp Blatter. Proprio Lauber aveva in mano il filone svizzero di quell’indagine che però, in cinque anni, non ha mai portato a risultati tangibili. Una tale carenza di risultati, gli incontri mai dichiarati e poi emersi con Infantino, nonché l’esistenza di un terzo incontro tenuto nascosto alle autorità ma rivelato dalla stampa e la condanna per corruzione di un suo stretto collaboratore per i rapporti con le autorità russe, hanno costretto Lauber alle dimissioni lo scorso 24 luglio.

Del potenziale esplosivo contenuto nei database in mano a Rui Pinto lo dimostra lo scandalo che ha travolto la “donna più ricca d’Africa”. Non solo calcio, dunque. Nel 2018, Pinto consegnò al suo avvocato un hard-disk contenente oltre 700mila documenti sugli affari di Isabel dos Santos, la figlia di José Eduardo, presidente dell’Angola dal 1979 al 2017. La donna aveva sempre sostenuto di essere l’artefice della propria ricchezza ma i documenti, consegnati al International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), raccontano l’altra faccia della “principessa”. Durante la presidenza del padre ha fondato società di diamanti, banche, compagnie telefoniche, catene di supermercati, imprese di costruzione. Ha avuto anche interessi nel settore petrolifero quando, per un anno, è stata presidente della Sonangol, la società petrolifera di Stato. All’indomani della pubblicazione dell’inchiesta le autorità angolane hanno accusato dos Santos di aver sottratto oltre un miliardo di dollari di fondi pubblici, compresi 38 milioni poche ore prima della fine del suo incarico nella Sonangol. In attesa del processo che si terrà nella ex colonia portoghese, le autorità hanno congelato i conti bancari della dos Santos in Angola, Portogallo e Germania.

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