―Le aziende controllate dai fondi di investimento dei Paesi del Golfo si stanno comprando quote di aziende della filiera agroalimentare in tutto il mondo: dalla coltivazione fino al commercio. Lo scopo è duplice: fare investimenti redditizi e garantire la sicurezza alimentare in patria. Questo fenomeno, negli ultimi anni, è visibile soprattutto in Europa, Italia compresa.
In seguito alla crisi finanziaria globale del 2008, le aziende dei Paesi petroliferi hanno puntato sui terreni agricoli all’estero per garantirsi le forniture alimentari. Negli anni Dieci del 2000, i primi anni del land-grabbing, questi investimenti si sono concentrati sull’Africa orientale, ma si sono poi diversificati nelle Americhe, in Ucraina e in Australia. Negli ultimi anni, invece, le aziende sostenute da fondi sovrani si sono espanse in Europa e in Asia, dove gli investimenti valgono miliardi di dollari. Questa iniezione di denaro in alcune delle più importanti aziende agricole e alimentari del mondo ha provocato una situazione in cui i 60 milioni di abitanti complessivi degli Stati del Golfo – Oman, Emirati Arabi Uniti (EAU), Kuwait, Bahrain, Arabia Saudita e Qatar – hanno garantito la propria sicurezza alimentare mentre i loro vicini più poveri – come Siria, Libano e Yemen – soffrono la carestia.
In termini di sovranità alimentare, il Medio Oriente sta diventando sempre più polarizzato: «Da un lato, c’è un Paese come lo Yemen, che si trova in uno stato di carestia, dall’altro, negli Emirati Arabi Uniti ci sono livelli molto alti di importazioni di cibo», afferma Christian Henderson, esperto di investimenti agricoli nel Golfo e docente presso l’Università di Leiden, Paesi Bassi.
La politica di investimenti miliardari in aziende agricole e alimentari è stata guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. «Si tratta di accesso al cibo e anche di profitto ― aggiunge Henderson. Si tratta di diversificare le loro economie, allontanandole dalla dipendenza dal petrolio e creando altri settori, come quello della trasformazione alimentare».
Il progetto Grainkeepers
Il progetto #Grainkeepers, finanziato dal JournalismFund, indaga sulle dinamiche innescate dalla guerra in Ucraina nel mercato agricolo europeo. Questo articolo è un adattamento in italiano del pezzo originale How Gulf investors are buying up agricultural firms across six continents, uscito sulla piattaforma The Grainkeepers.
Dall’oro nero alla “terra nera”
Di proprietà al 50% della famiglia reale emiratina e del fondo sovrano nazionale Abu Dhabi Developmental Holding Company PJSC (ADQ), Al Dahra è l’azienda del Golfo più attiva negli investimenti nell’agricoltura europea. L’azienda, già in un comunicato stampa del 2013, si definisce «il partner ufficiale del governo di Abu Dhabi per realizzare la visione di sicurezza alimentare a lungo termine del governo».
In un’intervista del 2013 con il centro di ricerche Oxford Business Group, l’amministratore delegato di Al Dahra Khadim Abdulla Al Darei ha affermato che, a causa della scarsità d’acqua negli Emirati Arabi Uniti, «l’esternalizzazione dell’agricoltura è il modo più efficiente in termini di costi per creare un’industria agricola sostenibile». L’azienda ha investito in Spagna e in Serbia, e nel 2019 ha acquistato Agricost, una delle maggiori aziende agricole in Romania, per mezzo miliardo di dollari.
Nell’Unione europea, i prodotti agricoli dispongono di condizioni favorevoli: sono scambiati in un mercato ricco, possono essere trasportati attraverso una buona rete di infrastrutture portuali e godono di sovvenzioni finanziate dai contribuenti. Soprattutto Agricost, che in Romania è il maggior beneficiario dei fondi europei – circa 10 milioni di euro all’anno – della Politica agricola comune (Pac).
In un’intervista del 2019, Khadim Abdulla Al Darei ha dichiarato che la sua azienda ha scelto la Romania per la terra fertile e le operazioni agricole su larga scala. Ha aggiunto che circa il 40-50% dei raccolti sarà destinato al mercato locale e il resto all’esportazione.
I fondi Pac non sono gli unici soldi pubblici europei sui quali ha messo mano il gruppo emiratino. Attraverso la sua controllata Al Dahra Serbia (Ads), ha beneficiato nel 2021 di un prestito da 34 milioni di dollari dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) per finanziare investimenti in nuove coltivazioni, un’azienda per la lavorazione dell’erba medica («allo scopo di valorizzare Ads e avviare la sua attività di esportazione, posizionando Ads e la Serbia come un Paese produttore chiave nel mercato globale dell’erba medica», si legge nella descrizione del progetto) e un’azienda per la produzione di mangimi per animali.
La Bers ha anche finanziato l’espansione di Al Dahra nella produzione di olio d’oliva in Marocco con cinque milioni di euro. «Al Dahra è uno dei migliori casi di intreccio tra la strategia del profitto e la sicurezza alimentare», afferma l’esperto di investimenti agricoli nel Golfo Henderson.
Paesi del Golfo: le mani sul cibo
Le società agricole controllate dai fondi sovrani di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti all’interno del comparto agroalimentare globale e le corrispondenti dimensioni dei terreni coltivati
Inoltre, la Saudi Agricultural and Livestock Investment Company (Salic) possiede il Gruppo Continental dell’Ucraina, che opera nella parte occidentale del Paese ed è specializzato nella produzione di colture, sementi e patate, e nello stoccaggio di cereali. Il Gruppo Continental ha accesso a circa 200 mila ettari, il che lo rende la sesta tenuta più grande dell’Ucraina. Salic è di proprietà di un fondo sovrano saudita con il mandato di garantire la sicurezza alimentare dell’Arabia Saudita. Pertanto, due compagnie strategiche del Golfo, sostenute dallo Stato, hanno il controllo su alcuni dei più grandi tratti di terra coltivabile nella regione europea della “terra nera”, il terreno fertile e ricco di humus che va dal sud della Romania attraverso la Moldavia e l’Ucraina fino alla Russia.
La campagna acquisti per accaparrarsi l’intera filiera produttiva
Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita si stanno trasformando in Paesi che hanno il pieno controllo della catena di produzione alimentare, dalle coltivazioni, alla lavorazione, all’esportazione del prodotto finale e alla sua vendita. Importano non solo per il consumo, ma anche per costruire una filiera di lavorazione degli alimenti. «Gli Emirati Arabi Uniti esportano circa sette miliardi di euro di prodotti alimentari all’anno ― afferma Christian Henderson. Importano materie prime come la barbabietola da zucchero, le trasformano e le esportano. Il Paese, quindi sta assumendo un ruolo da intermediario all’interno del sistema alimentare. L’Arabia Saudita è simile, anche se non è ancora così forte».
La conquista di questo ruolo è passata da una campagna di acquisti di multinazionali strategiche nel settore. Il fondo ADQ, socio al 50% di Al Dahra, nell’ottobre 2021 ha completato l’acquisto del 45% di Louis Dreyfus Company Holdings BV (LDC), multinazionale con una storia di oltre 170 anni di base nei Paesi Bassi. LDC, di proprietà della famiglia francese Dreyfus, è uno degli “ABCD”, quattro dei più potenti operatori che commerciano prodotti agricoli, insieme alle multinazionali statunitensi Cargill, Bunge e Archer Daniels Midland. Il dominio delle “ABCD” è stato tuttavia messo in discussione da aziende asiatiche come la cinese Cofco, «secondo solo a Cargill come il più grande commerciante di materie prime agricole al mondo», riporta Food Barons 2022, uno studio dell’organizzazione che si occupa dell’impatto socioeconomico delle tecnologie nei Paesi più vulnerabili ETC Group.
Ad aprile 2022 ADQ ha anche acquisito la maggioranza del produttore di frutta Unifrutti, con il duplice obiettivo sia di garantire la sicurezza alimentare, sia del profitto. Il gruppo Unifrutti – nato da una piccola società di import/export costituita nel 1948 ad Asmara, in Eritrea, dall’italiano Guido De Nadai – è oggi un campione globale nella produzione, commercio e distribuzione di oltre cento varietà di prodotti freschi, tra cui mele, banane, ciliegie, uva e agrumi. La sede principale è a Montecosaro, in provincia di Macerata, ma il gruppo possiede 14 mila ettari di aziende agricole in quattro continenti, vende ogni anno circa 560 mila tonnellate di frutta fresca e serve più di 500 clienti in 50 Paesi. «Stiamo sviluppando il nostro portafoglio di prodotti alimentari e agricoli con l’obiettivo di generare forti ritorni finanziari e allo stesso tempo di rafforzare la resilienza alimentare negli Emirati Arabi Uniti», ha dichiarato in un’intervista ad aprile 2022 Gil Adotevi, direttore esecutivo del settore alimentare e agricolo di ADQ.
Con un investimento di oltre un miliardo di dollari, la saudita Salic a marzo 2022 ha invece acquisito un terzo di Olam Agri, una delle dieci principali organizzazioni mondiali che commerciano prodotti alimentari e agroalimentari, specializzata in cereali, semi oleosi, riso e mangimi per animali.
Garantirsi la sicurezza alimentare
Con l’acquisizione di aziende sparse in tutto il mondo che operano lungo tutta la catena del valore alimentare, gli Stati del Golfo si difendono da tre minacce esterne: il cambiamento climatico, l’instabilità geopolitica e la volatilità dei prezzi. «Supponiamo che ci sia una grave siccità o un’ondata di calore in Romania e che i raccolti di proprietà degli Emirati Arabi Uniti vengano distrutti. Il Paese potrà comunque ripiegare su un’altra località, che potrebbe non essere stata soggetta alle stesse condizioni climatiche, per importare il proprio fabbisogno alimentare», spiega Henderson.
«Ci sono numerosi aspetti da tenere in considerazione per creare un sistema efficace di sostenibilità agricola e si inizia con il processo di diversificazione – spiegava all’Oxford Business Group nell’intervista del 2013 Khadim Abdulla Al Darei. Al Dahra ha investito in terreni agricoli sia nell’emisfero settentrionale, sia in quello meridionale. Questo per assicurarci di poter coltivare tutto l’anno ed evitare le carenze causate dai cambiamenti climatici di anno in anno».
Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, inoltre, grazie all’acquisizione di importanti quote nelle aziende che commerciano prodotti agricoli, come Louis Dreyfus di ADQ e Olam Agri di Salic, si proteggono dalla volatilità del mercato, come l’impennata dei prezzi del grano nel marzo 2022, in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Lo anticipava Khadim Abdulla Al Darei di Al Dahra sempre nell’intervista del 2013: «Non si tratta solo di avere le riserve disponibili. Si tratta anche di pianificare in anticipo e di risparmiare per quando l’inflazione farà salire i prezzi degli alimenti. È anche importante notare che i prezzi delle materie prime alimentari si basano sulla speculazione, non sull’offerta e sulla domanda. Pertanto, il clima politico porterà spesso a fluttuazioni dei prezzi, il che significa che la pianificazione a lungo termine per un’agricoltura e una determinazione dei prezzi sostenibili è uno strumento necessario per garantire una sicurezza alimentare continua».
Quando ADQ acquista un broker, ossia un soggetto che intermedia la vendita, lo fa perché implica «avere un certo controllo sulla destinazione degli alimenti in caso di crisi. Ma ne traggono anche profitto», spiega Henderson. Le aziende del Golfo stanno acquisendo risorse agricole strategiche in tutto il mondo e potrebbero passare da una posizione di garanzia del proprio approvvigionamento alimentare al controllo dell’approvvigionamento alimentare di altri Paesi.
―Gli esclusi: i vicini del Medio Oriente e del Nord Africa
Mentre gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita stanno espandendo la loro base di potere agricolo, molti Paesi del Medio Oriente e dell’Africa non hanno alcuna protezione contro il cambiamento climatico, devono affrontare la scarsità di cibo e stanno rapidamente esaurendo i propri soldi pubblici. Negli anni Ottanta, molti di questi Paesi hanno avuto una crisi del debito e hanno avuto bisogno di prestiti di salvataggio da parte delle istituzioni finanziarie globali, come il Fondo monetario internazionale (Fmi) e la Banca Mondiale. Per assicurarsi questi finanziamenti, hanno effettuato degli aggiustamenti strutturali alle loro economie.
Paesi come l’Egitto, la Tunisia e il Marocco, su spinta delle organizzazioni finanziarie internazionali, hanno riorganizzato il loro settore agricolo allo scopo di trovare prodotti da coltivare ed esportare. In questo modo avrebbero ottenuto una moneta che non si deprezza: «L’idea è che l’Egitto produca fragole ed esporti fragole, perché è lì che si trova il suo vantaggio», dice Henderson.
L’Egitto poteva spendere il ricavato di questa moneta forte per acquistare grano su altri mercati; nel caso egiziano, dall’Ucraina. Questo sistema in cui ogni Paese compete sul piano internazionale sfruttando i propri punti di forza funziona in tempo di pace, quando esistono relazioni diplomatiche che permettono il libero scambio. Quando un evento come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia innesca una crisi, però, l’Egitto si ritrova improvvisamente senza grano, la popolazione di conseguenza non ha pane e il sistema o crolla o deve costruire alternative lente e costose.
In termini di sicurezza alimentare, secondo Christian Henderson il programma di sviluppo imposto dagli istituti finanziari internazionali «è stato un fallimento e i prezzi degli alimenti – prosegue – sono aumentati e nella maggior parte di questi Paesi del Nord Africa, a partire dagli anni Novanta, l’insicurezza alimentare è aumentata. Se avessero cercato di porre l’accento sulla sovranità alimentare e di fornire un sistema di protezione dalla volatilità dei mercati internazionali, sarebbero stati in una posizione migliore per affrontare questo tipo di crisi».
Da trent’anni le aziende agricole del Golfo si espandono in Africa, spesso attraverso accordi con i governi – ad esempio in Sudan, Egitto ed Etiopia – per l’utilizzo dei loro terreni. Nella maggior parte dei casi, si tratta di garantire l’alimentazione del bestiame allevato in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti. Grazie alle loro disponibilità economiche, gli Stati del Golfo hanno approfittato della ristrutturazione finanziaria in molti Paesi africani per appropriarsi delle loro risorse. Le aziende hanno spesso utilizzato il discorso della sicurezza alimentare per «addolcire l’accordo e l’affare», afferma Henderson, in modo da poter investire in Egitto o in Sudan. «Si usa la sicurezza alimentare in modo vago per giustificare l’investimento, anche se le prove dell’esistenza di un beneficio reciproco in termini di sicurezza alimentare sono piuttosto discutibili», aggiunge l’esperto.
In Medio Oriente, nel frattempo, Paesi come Libano, Siria e Yemen sono rimasti indietro nel loro processo di sviluppo perché non hanno né petrolio, né denaro, né terra da coltivare. «Inoltre, non sono in buoni rapporti con l’Occidente e il Golfo, quindi sono in qualche modo esclusi da prestiti e aiuti», precisa l’esperto Christian Henderson.
La soluzione sarebbe invece sviluppare la produzione alimentare nazionale in Paesi come il Libano e lo Yemen, dove le aziende del Golfo hanno però evitato di fare grandi investimenti.
«Un Paese come lo Yemen ha bisogno di porre fine alla guerra ― afferma Henderson. Ha bisogno che le infrastrutture siano ricostruite e che i suoi agricoltori nazionali abbiano l’opportunità di coltivare la loro terra, senza essere intrappolati in un ciclo di debiti e altri problemi che accompagnano la vita dei piccoli agricoltori».
Questo vale anche per molti altri Paesi della regione: «In Libano vale lo stesso ― aggiunge. La sovranità alimentare e la piccola agricoltura esistono solo in pace e funzionano quando sono sostenute da agenzie statali, che non hanno interesse al profitto. Non funziona necessariamente quando arrivano i grandi investitori, perché la sovranità alimentare e l’industria alimentare non sono per forza compatibili e hanno obiettivi completamente diversi. Questo è probabilmente il motivo per cui il Golfo non ha mostrato alcun interesse per questi Paesi».
Foto di copertina: Campi di grano nella Valle della Beqa’, in Libano – Philippe Pernot
Adattamento: Paolo Riva
Infografiche: Razvan Zamfira, Lorenzo Bodrero