09 Novembre 2022 | di Paolo Riva
Negli anni Novanta, al momento della sua nascita, il termine “sovranità alimentare” significava costruire un sistema di sviluppo agricolo ed economico diverso da quello fondato sul mercato libero e l’assenza di dazi doganali. Secondo la definizione del 1996 de La Via Campesina, movimento internazionale di lavoratori della terra e contadini piccoli e medi, “sovranità alimentare” è «il diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra che siano appropriate sul piano ecologico, sociale, economico e culturale alla loro realtà unica». A portarlo alla ribalta, molti anni dopo, sono stati però i partiti politici di destra insieme all’invasione russa in Ucraina. Con un significato molto diverso da quello originale.
Il nuovo governo di Giorgia Meloni ha cambiato il nome del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in Ministero dell’agricoltura e della sovranità alimentare. «La sovranità alimentare non è un concetto di destra», ha spiegato in un’intervista il neoministro Francesco Lollobrigida, che già aveva precisato come anche nella Francia di Emmanuel Macron, molto lontana dalle posizioni politiche di Fratelli d’Italia, si utilizzasse lo stesso concetto. Secondo l’esperto di sistemi alimentari Nicolas Bricas, in realtà, «il termine sovranità alimentare è molto caro all’estrema destra francese». «Il Rassemblement national è molto radicato negli ambienti rurali – prosegue Bricas che fa parte di IPES Food, un panel di esperti indipendenti in sistemi alimentari sostenibili -. Macron aveva bisogno di sedurre quell’elettorato e quindi ha cercato di accontentarlo».
Pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina di fine febbraio, “sovranità alimentare” ha fatto la sua comparsa anche in un documento del Consiglio dell’Unione europea (in quel momento guidata dalla presidenza a rotazione della Francia): i ministri dell’agricoltura dei 27 hanno detto di voler «migliorare la resilienza e la sovranità alimentare dell’Ue» e di «incorporare la sovranità alimentare nella politica agricola Ue». Ne ha parlato poi Copa-Cogeca, la più importante organizzazione di agricoltori del continente: per fare fronte alla «questione essenziale di sovranità alimentare e di stabilità democratica» posta dal conflitto, ha chiesto alle istituzioni europee «di poter coltivare tutte le terre disponibili nel 2022 per compensare il blocco della produzione russa e ucraina», «per evitare interruzioni nelle catene di approvvigionamento, che inevitabilmente porteranno a carenze in alcune parti del mondo».
La pressione ha sortito gli effetti desiderati: nel giro di un mese, a fine marzo, la Commissione ha approvato «una gamma di interventi a breve e a medio termine» in ambito agroalimentare, tra i quali «una deroga eccezionale e temporanea» per consentire agli agricoltori, proprio come chiesto da Copa-Cogeca, di coltivare anche quei terreni che, solitamente, vengono lasciati a riposo o a prato permanente per ragioni ambientali. Il provvedimento riguardava solo il 2022, ma a luglio è stata decisa un’ulteriore deroga per tutto il 2023.
È così che la sovranità alimentare è entrata nel novero degli argomenti a sostegno dell’imperativo di produrre di più, molto lontano dall’obiettivo originale de La Via Campesina.
Il progetto I Signori del grano
I Signori del grano è una serie sul divario crescente tra Stati ricchi e poveri nella disponibilità di risorse agricole scatenato dalla guerra in Ucraina. La serie è realizzata in collaborazione con Scena9 e NOW, grazie al sostegno di JournalismFund.
Ambiente Vs produzione
La pandemia, prima, e il conflitto in Ucraina, poi, sono arrivati in un momento cruciale per l’agricoltura europea. Il settore è responsabile di circa il 12% delle emissioni di gas serra Ue e, di queste, quasi il 70% arriva dagli allevamenti. Per combattere il cambiamento climatico, quindi, l’agricoltura va resa più sostenibile. Per questo, nel maggio 2020, la Commissione Ue, nell’ambito del Green Deal europeo, ha presentato la strategia Farm to Fork – dal produttore al consumatore (F2F).
Agricoltura insostenibile
Il documento ha al suo interno diversi obiettivi, come per esempio la riduzione dell’uso dei pesticidi chimici e la crescita delle superfici coltivate a biologico. Alcuni principi sono stati parzialmente incorporati nella nuova programmazione della Politica Agricola Comune (PAC), in partenza a gennaio 2023, ma la maggior parte dovranno essere concretizzati in nuovi testi legislativi. Il mondo agricolo europeo è spaccato in merito all’attuazione della strategia F2F.
Secondo diverse organizzazioni di categoria degli agricoltori, le norme proposte potrebbero portare a un calo della produzione agricola europea, facendo aumentare i prezzi e rendendo l’Europa dipendente dalle importazioni. «C’è il rischio che le nuove normative siano un boomerang – sostiene Vincenzo Lenucci, direttore Politiche europee e internazionali di Confagricoltura, organizzazione italiana che fa parte di Copa-Cogeca -. Potrebbero rendere difficile avere una disponibilità di cibo sufficiente, salubre e accessibile», aggiunge riferendosi ad alcuni studi sull’impatto della Farm to Fork e del Green deal europeo pubblicati negli ultimi anni, come quelli di JRC e Wageningen University & Research. A causa del minor uso di pesticidi e fertilizzanti e del maggiore ricorso all’agricoltura biologica, il primo studio stima un calo medio della produzione agricola tra il 5 e il 15% mentre il secondo tra 10 e il 20%.
L’industria agricola e quella chimica europee, per l’ong che si occupa di lobbying e trasparenza Corporate European Observatory, stanno cercando di «far deragliare la Farm to Fork, utilizzando la crisi ucraina per rinvigorire le argomentazioni contro le pratiche agricole più ecologiche», già espresse anche prima del conflitto, ma senza esiti. «Copa-Cogeca – scrive ancora Corporate European Observatory – ha collaborato con il gruppo del Partito popolare puropeo (PPE) per indebolire e bloccare le regole vitali per l’attuazione degli obiettivi climatici». L’ong, inoltre, sostiene che il rapporto del JRC sia incompleto e tenda a privilegiare i fattori economici rispetto a quelli sociali e ambientali mentre ricorda che quello di Wageningen University & Research è stato commissionato dall’associazione di categoria delle imprese agrochimiche Croplife Europe e si basa su 25 casi studio relativi a «solo dieci colture in sette Stati membri».
Rilievi simili sono stati fatti da associazioni e parlamentari ambientalisti, convinti che l’attuale sistema agroindustriale vada superato, producendo in maniera più sostenibile e cambiando la destinazione dei prodotti.
Oggi il 52% dei cereali prodotti e importati in Ue viene usato per nutrire gli animali e solo il 19% per uomini e donne. «Ci troviamo di fronte a un problema di solidarietà e di organizzazione del mercato, non a un problema di volume», sostiene Benoît Biteau, agricoltore biologico francese, eurodeputato verde e vicepresidente della commissione agricoltura del Parlamento europeo. A suo giudizio, la scelta della Commissione di derogare temporaneamente ad alcune norme ambientali è una decisione politica «molto discutibile». In questa situazione, anziché produrre di più, secondo Biteau, bisognerebbe «controllare la speculazione», «tassare i superprofitti» dei grandi attori internazionali e «riorientare parte delle scorte destinate all’allevamento verso l’alimentazione umana», compensando economicamente gli allevatori penalizzati.
Per Bricas, le deroghe decise a marzo rivelano «uno scontro interno alla Commissione Ue»: «Da un lato – spiega l’esperto di IPES Food – c’è chi vuole aumentare la produzione di cereali per recuperare quote di mercato ed evitare una crisi globale. Dall’altro, chi vuole difendere la strategia Farm to Fork», proponendo di sprecare meno cibo e cambiare alcune abitudini alimentari. Ad impersonificare le due posizioni all’interno dell’esecutivo comunitario ci sono Frans Timmermans, il socialista olandese vicepresidente della Commissione e responsabile del Green Deal, e Janusz Wojciechowski, il commissario polacco all’agricoltura, del partito di governo PiS. Il primo sostiene con forza la F2F, mentre il secondo vuole incrementare la produzione.
Ma lo scontro non si esaurisce nelle stanze dei palazzi di Bruxelles e nei prossimi mesi è destinato a intensificarsi per diversi motivi. Uno di questi è l’estate appena trascorsa. La siccità che ha investito l’Europa quest’anno è stata talmente acuta che, secondo i ricercatori del Joint Research Centre, potrebbe rivelarsi la peggiore degli ultimi cinquecento anni. Ovvio che ne abbia risentito fortemente anche l’agricoltura.
Siccità e deroghe
Stando alle ultime previsioni della Commissione europea, principalmente a causa della siccità la produzione cerealicola Ue 2022 dovrebbe essere inferiore sia a quella dello scorso anno sia alla media degli ultimi cinque, rispettivamente del 7,8 e del 5,1%. Tra i Paesi con le prestazioni peggiori, se comparate con il quinquennio precedente, ci sono Ungheria, Romania, Spagna, Francia e anche l’Italia, con un calo superiore alla media europea. Oltre alla mancanza d’acqua, hanno influito sicuramente anche il caro energia, il conseguente aumento dei costi di produzione e il fatto che le deroghe stesse siano state decise a marzo e inizialmente durassero solo fino a dicembre.
Sta di fatto che, per ora, le deroghe alle norme ambientali non hanno ottenuto i risultati sperati. «La disponibilità di cibo – continua la Commissione – non è a rischio nell’Ue» che, anzi, grazie alle scorte degli anni precedenti, dovrebbe esportare cereali per «51 milioni di tonnellate, con un aumento del 6,5% rispetto alla scorsa stagione e del 20,9% rispetto alla media quinquennale».
La crisi Ucraina, che ha spinto alcuni stati sull’orlo della carestia perché non potevano permettersi di importare cibo, in Europa non ha causato un problema di disponibilità degli alimenti, quanto piuttosto di accessibilità, soprattutto per i cittadini meno abbienti. «Le importazioni totali dell’Ue hanno subito un impatto minimo» dal conflitto, ha spiegato Rico Ihle, professore della Wageningen University nel corso di un’audizione al parlamento europeo a fine ottobre. «Le importazioni dall’Ucraina – ha aggiunto – non sono crollate, alcune sono addirittura aumentate. Il crollo delle importazioni dalla Russia è stato sostituito. Nessun problema di scarsità nell’Ue, in quanto il modello commerciale è cambiato a malapena». Per contro, solo per fare un esempio, in agosto, il prezzo del pane in Unione europea è stato più alto del 18% rispetto all’anno precedente, con punte del 33% in Lituania e del 66% in Ungheria.
Caro pane
Variazione percentuale del prezzo del pane ad agosto 2022 rispetto all’anno precedente. La media in Unione europea segna un +18%, con punte del +33% in Lituania e del +66% in Ungheria
La sicurezza alimentare non è mai venuta meno. I dati oggi lo dicono, ma alcune scelte politiche, come l’estensione al 2023 delle deroghe ambientali, nel frattempo sono state prese. E altre dovranno esserlo presto. Da un lato, molti agricoltori sostengono che le oggettive difficoltà create dalla siccità e il perdurare della guerra siano ulteriori motivi per non approvare ora misure ambientali che potrebbero rendere la loro vita ancora più complessa, limitare la produzione e far alzare ulteriormente i prezzi. Dall’altro, i sostenitori della Farm to Fork rispondono che un’agricoltura più sostenibile serve proprio a essere meno dipendenti dai fattori di produzione chimici e a non esacerbare la crisi climatica, che causa eventi estremi inediti come quello di quest’estate. Come Timmermans aveva dichiarato a fine aprile, ancora prima che la siccità si manifestasse in tutta la sua gravità, questa strategia «è un tentativo di salvare l’agricoltura, non di punirla, alla luce degli effetti devastanti della perdita di biodiversità e dei cambiamenti climatici sulla produzione alimentare a livello globale».
Nonostante gli appelli del vicepresidente, però, il percorso della Farm to Fork procede difficoltoso, tra ritardi e spinte in direzione contraria.
Uno degli esempi più significativi riguarda la proposta di riforma del regolamento per i pesticidi. Il testo legislativo per dimezzare l’uso dei pesticidi chimici entro il 2030 era programmato per il primo trimestre 2022, era stato annunciato per marzo e poi è stato rimandato fino a fine giugno. Presentandolo, Timmermans ha dichiarato che «utilizzare la guerra in Ucraina per annacquare le proposte e spaventare gli europei facendogli credere che la sostenibilità significhi meno cibo è francamente irresponsabile». Tuttavia, quando a settembre la proposta è arrivata al Parlamento europeo, è stata duramente criticata da popolari e liberali proprio per il suo effetto sulla sicurezza alimentare europea e per la mancanza di una valutazione di impatto su questo tema specifico. L’iter di approvazione si annuncia lungo e complesso. E il tempo a disposizione è ormai limitato.
«La proposta sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari è arrivata in ritardo. Non sappiamo se riuscirà ad essere approvata prima della fine della legislatura», ragiona Ellen Hof, direttrice operativa ed esperta di agroalimentare per la società di consulenza con sede a Bruxelles #SustainablePublicAffairs. La scadenza può sembrare ancora lontana, ma i negoziati per le norme europee richiedono tempo, perché vanno trovati dei compromessi sia tra le diverse forze politiche sia tra le diverse istituzioni Ue, con Parlamento e Consiglio cui spetta il voto finale. Per fare un paragone, la discussa normativa che prevede la fine delle vendite delle auto a combustione è stata presentata nel luglio 2021 e solo nelle prossime settimane la plenaria del Parlamento Ue dovrebbe votare per l’ultima e definitiva volta la sua entrata in vigore. In tutto, fa quasi un anno e mezzo. Che è all’incirca quanto manca al prossimo voto continentale.
Transizione a rischio
«Ci stiamo ormai dirigendo verso le elezioni europee della primavera 2024. È improbabile – riprende Hof – che sulle iniziative legislative in arrivo nei prossimi mesi Consiglio e Parlamento europeo trovino un compromesso, portando quindi alla loro approvazione». Chi è contrario alla strategia Farm to Fork o, più in generale, al Green deal europeo, quindi, può anche non battersi nelle trattative per cambiare i testi legislativi, ma può semplicemente cercare di allungare i tempi il più possibile per non arrivare ad alcuna decisione.
«Onestamente, la situazione non è buona», commenta Thomas Waitz, europarlamentare austriaco copresidente del Partito verde europeo. «I prossimi anni saranno fondamentali per raggiungere gli obiettivi climatici. Ciò significa che molte industrie e conservatori dovranno cambiare il loro modello di business, potrebbero non guadagnare più come prima e faranno di tutto per impedirlo», attacca.
In una delle prime interviste da quando è stato nominato, il ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare Lollobrigida ha dichiarato che serve «una riforma della PAC che si liberi dall’ ideologia intrinseca del Farm to Fork» e che bisogne togliere il limite ai terreni incolti perché «non basta quello che ci mette a disposizione l’Europa». Per quanto ancora un po’ vaga, quest’ultima proposta rimanda alle richieste fatte anche da altri attori europei di estendere ulteriormente le deroghe alle norme ambientali già prese per questo e il prossimo anno fino alla fine dell’attuale programmazione PAC, nel 2027.
Un’eventuale decisione di questo tipo sarebbe un’ulteriore battuta d’arresto per la transizione verde dell’agricoltura europea. Al tempo stesso, potrebbe essere un’astuta mossa elettorale dei Conservatori e riformisti europei, il partito ECR di cui fanno parte Lollobrigida e Fratelli d’Italia, il Commissario polacco all’agricoltura Janusz Wojciechowski e anche la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea, fino a fine anno nelle mani del governo conservatore ceco. Il gruppo ECR, oggi, non fa parte della maggioranza popolari-liberali-socialisti che al Parlamento europeo sostiene la Commissione Von der Leyen, ma le cose potrebbero cambiare dopo le elezioni del 2024. Alcuni osservatori pensano che si potrebbero creare nuove alleanze nella parte destra dell’emiciclo continentale. Dei segnali, in tal senso, sembrano esserci stati, come la nomina di un membro ECR, il lettone Roberts Zīle, tra i vicepresidenti dell’eurocamera lo scorso gennaio.
Per ora si tratta solo di ipotesi, ma a Bruxelles, riprende Hof, ci si inizia a chiedere «cosa ne sarà del Green Deal europeo e di tutte le misure ad esso collegate, anche in campo agricolo». «Cosa succederà dopo il voto?», si domanda con una certa preoccupazione la direttrice operativa di #SustainablePublicAffairs.
In attesa del 2024, quello agricolo potrebbe diventare un terreno fertile per coltivare intese politiche inedite. E la sovranità alimentare potrebbe diventare un concetto intorno al quale testarle, trasformandosi da critica del sistema a tattica per mantenere lo status quo: produrre di più, come si è sempre fatto.
Foto: Una mietitrebbia al lavoro in un campo di grano in Germania – Picture Alliance/Getty
Editing: Lorenzo Bagnoli
Infografiche: Lorenzo Bodrero
In partnership con: Scena9, NOW
Con il supporto di: JournalismFund