#GreenWashing
Daniela Sala
Eleonora Vio
Il cuore della centrale termoelettrica di Bobov Dol è una stanza buia, rumorosa e bollente. Quel che resta del carbone insudicia il pavimento assieme a pozze d’acqua e olio che gocciolano dai macchinari vecchi di decenni, relitti dell’era sovietica, quando migliaia di lavoratori furono chiamati per costruire quella che sarebbe diventata una delle strutture carbonifere più grandi della Bulgaria.
Quando IrpiMedia ha visitato l’impianto a luglio 2020, l’aria della centrale era così impregnata di polvere di carbone che le giornaliste ricordano di aver tossito ripetutamente, nonostante indossassero le mascherine per proteggersi dal Covid. Al contrario, gli operai che operavano nell’ampia fornace e i generatori della fabbrica, avvolti dal caldo feroce e dall’aria fuligginosa, non avevano nulla per coprirsi.
La centrale di Bobov Dol, situata in un importante distretto carbonifero a un’ora di macchina a sud-ovest di Sofia, è solo una tra i tanti impianti, miniere, e aziende di teleriscaldamento che si ritiene siano riconducibili a Hristo Kovachki. L’enigmatico magnate è emerso come uno degli attori principali del settore energetico bulgaro durante l’ondata di privatizzazioni avvenuta nei primi anni 2000, quando ha creato una rete di imprese incentrate sull’industria del carbone, di cui si pensa sia ancora a capo tramite compagnie intestate a prestanome con sede nel Regno Unito e a Cipro.
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Ma due delle centrali associate a Kovachki hanno trovato un modo per ovviare a questo problema. Alcuni dati pubblici, analizzati da IrpiMedia e Occrp, dimostrano infatti, che Bobov Dol e Brikel, un altro impianto a carbone legato al magnate e situato nella Bulgaria centrale, hanno sottostimato l’ammontare di emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte negli ultimi tre anni, risparmiando così almeno 30 milioni di euro.
Mentre l’Europa punta sempre di più su forme di energia pulita, alcune di queste strutture sono diventate obsolete, inefficienti e piene di debiti.
Questi dati sono stati approvati da un’azienda di proprietà della ventisettenne Gabriela Milena Ilieva, priva di qualunque precedente esperienza nel settore. Nonostante la presunta inesperienza, la compagnia appena nata è riuscita in pochi mesi ad affermarsi sul mercato, firmando contratti per la verifica delle emissioni con ben dodici impianti, tutti riconducibili al magnate. Per quanto riguarda l’impianto di Bobov Dol, che nel 2009 è stato classificato come uno degli impianti a carbone più inquinanti d’Europa, pochissimi sono stati gli investimenti in anni recenti per migliorarne l’efficienza.
Vasil Vasev, sindaco di Golemo Selo, un villaggio situato di fronte alla centrale, ha affermato che i dati relativi alla qualità dell’aria riportati dall’Agenzia per l’Ambiente bulgara (ExEA) mostrano come più volte le emissioni di diossido di zolfo prodotte dall’impianto abbiano superato i limiti europei di quasi il doppio. Uno studio di Greenpeace Bulgaria, pubblicato nel 2021, ha confermato come Bobov Dol abbia ripetutamente infranto i limiti stabiliti per le emissioni di diossido di zolfo e altri inquinanti, provocando un significativo peggioramento della qualità dell’aria e dell’acqua nell’area circostante.
I lavoratori affermano che le condizioni all’interno della centrale di Bobov Dol sono così precarie da farli temere per la loro sicurezza, mentre negli anni passati i minatori delle cave di carbone, che ancora alimentano l’impianto, hanno spesso dato vita a forti proteste contro i bassi standard lavorativi. Oggi la gente del posto si riferisce alla cittadina, cui la centrale deve il suo nome, chiamandola “Robov Dol”, o “la città degli sfruttati”.
Pernik, Bulgaria
Un altro operaio, sempre chiedendo di mantenere l’anonimato per timore di essere licenziato, ha affermato che «con zero investimenti e i lavori di rinnovamento dello stabilimento tenuti al minimo, l’impianto diventa sempre più pericoloso di giorno in giorno».
Il direttore dell’impianto, Lyubomir Spasov, pur riconoscendo che lo stanzone all’interno del quale viene processato il carbone è spesso sporco e polveroso, ha negato che le condizioni siano così drammatiche come quelle descritte, aggiungendo inoltre che, «Le condizioni di lavoro nell’impianto di Bobov Dol sono migliori che altrove».
Due portavoce di Kovachki si sono rifiutati di commentare a questo e a qualsiasi altro proposito.
Nel 2010, la Bulgaria è stata sospesa temporaneamente dal Sistema per lo scambio delle quote di emissione per aver fornito dati non attendibili riguardo alle emissioni prodotte
Le emissioni truccate
Nel 2007, con l’ingresso nell’Ue, la Bulgaria ha aderito anche al Sistema per lo scambio delle quote di emissione (ETS), un meccanismo che ha lo scopo di ridurre le emissioni di CO2 e che oggi costituisce uno dei pilastri delle politiche climatiche dell’Unione.
Tre anni più tardi, nel 2010, la Bulgaria è stata sospesa temporaneamente per aver fornito dati non attendibili riguardo alle emissioni prodotte. L’allora ministro dell’Ambiente, Nona Karadzhova, avrebbe addossato la colpa dell’avvenuta sospensione «all’inerzia criminale del governo precedente».
In base all’ETS, gli impianti energetici devono presentare un resoconto annuale in cui dichiarano la quantità di anidride carbonica emessa l’anno precedente. Le centrali termoelettriche, in particolare, calcolano la quantità di CO2 usando un “fattore di emissione”, che riflette quanto gas serra è rilasciato dal combustibile utilizzato. Le tonnellate di CO2 emesse si traducono, quindi, in quote da acquistare sul mercato ETS.
Mentre gli impianti più piccoli adottano un fattore di emissione standard calcolato a livello nazionale, le centrali più grandi, come Bobov Dol e Brikel, utilizzano dati calcolati da laboratori accreditati.
Dall’analisi dei dati ufficiali presentati dai due impianti all’ExEA, si può vedere come entrambe le strutture avrebbero utilizzato negli ultimi tre anni un fattore di emissione sensibilmente più basso rispetto alla media.
Tra il 2018 e il 2020, Bobov Dol ha bruciato un mix di carbone subbituminoso (che – secondo i dati della stessa ExEA – dovrebbe avere un fattore di emissione pari a 96.1), e di lignite, il cui fattore di emissione è 104.2. Dai dati contenuti nei resoconti pubblici emerge, però, che l’impianto ha riportato un fattore inferiore a 80 per tre anni di seguito. Per quanto riguarda Brikel, che utilizza lignite, il fattore di emissione riportato era 90.5 nel 2018, 79.5 nel 2019 e 76.2 nel 2020.
Peter Seizov, un esperto in sostenibilità ambientale che negli ultimi dieci anni ha lavorato come consulente, tra gli altri, anche per l’ExEA, ha affermato che i valori in questione sono così sfacciatamente scorretti che, per non inficiare il valore del fattore di emissione medio della lignite in Bulgaria negli ultimi tre anni, ha deciso di non prenderli in considerazione.
«Li ho esclusi dal calcolo», spiega Seizov. «perché rappresentano delle anomalie non solo rispetto ai valori di default e a quelli riportati dagli altri impianti nella stessa regione, ma anche rispetto ai valori dichiarati dalle due centrali negli anni precedenti».
Golemo Selo, Bulgaria
Sam Van den Plas, direttore della policy di Carbon Market Watch, un’organizzazione no-profit che monitora gli sforzi fatti per mitigare il cambiamento climatico, ha confermato che quei numeri sono «significativamente più bassi dei valori di default applicabili secondo le regole imposte dal mercato europeo delle quote di CO2».
Calcolare esattamente quanti soldi Bobov Dol e Brikel abbiano risparmiato dichiarando un totale di emissioni inferiore a quello reale, è una faccenda complessa, perché il prezzo della CO2 stabilito dall’ETS cambia di continuo. Attenendosi al valore medio, pari a 21 euro per tonnellata nel 2019 e a 27 euro nel 2020 – che, secondo un esperto, sarebbero comunque cifre al ribasso, e fortemente in crescita nel 2021 – IrpiMedia ha stimato che i due impianti avrebbero nel complesso evitato di pagare tra i 26,7 e i 32,1 milioni di euro.
Yanilin Pavlov, direttore di Brikel, ha affermato che l’impianto da lui gestito avrebbe riportato emissioni inferiori al normale, da quando ha iniziato a usare carbone arricchito. Ha anche aggiunto che le emissioni «sono state calcolate sulla base di dati calcolati da laboratori accreditati e confermati dalle autorità competenti».
Spasov, direttore di Bobov Dol, ha negato che la centrale abbia mai truccato le emissioni riportate, dicendo che, anche se fosse, la responsabilità dovrebbe ricadere sulla compagnia che verifica i dati.
Quando le reporter gli hanno fatto presente che il report contenente i dati sulle emissioni è stato firmato da uno dei suoi capo-ingegneri, Spasov ha ribadito che la centrale non c’entra nulla. «Questo report non è nostro. È di una compagnia di verifica approvata sia dalle istituzioni bulgare che da quelle europee», ha affermato.
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Le compagnie di verifica
Nel 2019, l’anno in cui Bobov Dol e Brikel sembrano aver cominciato a sotto-dichiarare le emissioni, i due impianti hanno cambiato verificatore, chiudendo un rapporto consolidato da dieci anni con Green and Fair, per passare a GMI Verify, un’azienda nata solo pochi mesi prima.
GMI Verify era una new entry al tempo. Quando Gabriela Milenova Ilieva, tutt’ora intestataria dell’azienda l’ha fondata nell’agosto del 2018 aveva appena 27 anni. IrpiMedia non ha trovato alcuna prova che Ilieva avesse alcun tipo di esperienza pregressa nel settore energetico o nella verifica dei dati sulle emissioni, e che avesse mai lavorato in altre compagnie prima di fondare GMI.
Ciò nonostante, in appena cinque mesi, GMI Verify si è accaparrata i contratti di verifica delle emissioni per 12 impianti energetici bulgari.
Tutti impianti che sarebbero riconducibili a Kovachi, che si si ritiene li abbia acquisiti durante l’ondata di privatizzazioni dei primi anni 2000. IrpiMedia ha trovato altri collegamenti tra GMI e Kovachki.
Ad esempio, il quartier generale di GMI si trova nello stesso palazzo che ospita anche la compagnia di assicurazioni OZK Zastrahovane, controllata da Kovachki tramite LM Impex, un’altra azienda di sua proprietà.
Quando un reporter ha visitato l’indirizzo riportato sul sito come quartier generale di GMI Verify, ha trovato solo un appartamento residenziale. I vicini hanno dichiarato di non aver mai sentito parlare della compagnia.
Inoltre, il legale rappresentante di GMI Verify, Elena Hristova Dobreva, ha lavorato come manager di Brikel e Maritza 3, un’altra centrale a carbone associata a Kovachki, le cui emissioni sono controllate ancora da GMI. Nel 2015 Dobreva è stata candidata come consigliera municipale nel distretto di Stara Zagora, dove si trova Brikel, nelle liste del Centro Democratico Bulgaro (BDC), un partito divenuto famoso con l’acronimo di LIDER e a cui si ritiene che il magnate sia strettamente legato.
IrpiMedia ha passato settimane a cercare di parlare con i responsabili e i dipendenti di GMI Verify, senza successo. Ilieva non ha risposto a nessuna delle richieste di commento.
Quando le reporter hanno domandato a Ludmil Vachkovski, uno degli impiegati che ha verificato più volte i report presentati dai due impianti, perché avesse certificato fattori di emissione così bassi ha rifiutato di fornire dettagli.
«Questi dati sono ufficiali. Sta tutto sul sito dell’ExEA, basta guardare», ha affermato.
Alla domanda sul perché Bobov Dol e Brikel si fossero rivolti a GMI Verify dal 2019 in poi, Evgeni Sokolovski, consulente di Green and Fair, cioè il verificatore precedente, ha tagliato corto dicendo che la Bulgaria è «un mercato libero».
Golemo Selo, Bulgaria
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L’impero energetico di Kovachki
Il settore energetico bulgaro è diventato sinonimo di corruzione a partire dai primi anni 2000, quando lo stato ha deciso di liberarsi di molte delle sue proprietà e a beneficiarne sono stati una manciata di individui, e tra questi Kovachki sarebbe uno dei personaggi chiave.
«L’attuale impero di Kovachki è vasto», riporta un dispaccio diplomatico statunitense del 2006, diffuso da Wikileaks. Al messaggio seguiva una lista di possedimenti, tra cui quattro miniere, cinque impianti di teleriscaldamento, cinque compagnie carbonifere e diverse centrali termoelettriche, appartenenti o controllate dal magnate energetico.
Nel 2018 in un comunicato stampa di accompagnamento ad un report sull’industria carbonifera bulgara, Greenpeace ha affermato che l’impero di Kovachki comprende oltre 150 compagnie, tra cui 8 miniere, 8 impianti di teleriscaldamento e 3 impianti termoelettrici. Tra questi, almeno una decina – tra cui Brikel, Bobov Dol e altri impianti le cui emissioni sono verificate da GMI – sono stati privatizzati tra il 2003 e il 2008, a prezzi decisamente bassi e grazie ad un processo di acquisizione piuttosto controverso, come afferma il report. Tramite i registri pubblici non è possibile provare che Kovachki controlli direttamente queste proprietà. Ci sono però diversi indizi che siano tuttora sotto la sua sfera di controllo.
Nel 2011, lo stesso anno in cui il magnate è stato condannato per evasione fiscale,ha anche trasferito la proprietà dei dodici impianti ad altrettante compagnie offshore. Mario Gavrilov, ex portavoce della Commissione per la protezione della concorrenza (CPC), ha confermato che, a suo tempo, il CPC ha acconsentito al trasferimento della proprietà di almeno sette impianti a compagnie con sede alle Seychelles.
IrpiMedia ha trovato i documenti che provano il trasferimento alle Seychelles tra il 2011 e il 2012 della proprietà di 4 impianti energetici di Kovachki, tra cui Brikel. Le vicende societarie di diversi altri impianti non sono invece ancora chiare.
Sulla carta, Bobov Dol appartiene ad una compagnia inglese controllata da una cittadina del Belize
«A Maggio 2011 il CPC ha permesso a cinque degli impianti di Kovachki di trasferirsi alle Seychelles» ha scritto in un messaggio alle reporter, «altre due aziende sono state trasferite pochi giorni dopo, sempre alle Seychelles»
Tre anni più tardi, dopo che il Presidente bulgaro è stato coinvolto in uno scandalo riguardante alcune compagnie offshore, il parlamento ha approvato una serie di norme per restringere la possibilità di trasferire offshore la proprietà di aziende relative a settori strategici tra cui quello energetico.
Nello stesso anno la proprietà di diversi assetti energetici legati a Kovachki sarebbero state trasferite a società con sede nel Regno Unito e a Cipro. I registri aziendali mostrano che 10 dei 12 impianti le cui emissioni sono verificate da GMI sono di proprietà di compagnie domiciliate in questi due paesi e tutte costituite nel 2014. «I nuovi proprietari sono tutte persone decisamente anziane – intorno agli 80 anni», afferma Gavrilov.
Sulla carta, Bobov Dol appartiene ad una compagnia inglese controllata da una cittadina del Belize, Erlene May Rodriguez, che lavora come ragioniera per una compagnia specializzata in servizi finanziari. Il suo nome compare in otto altre compagnie registrate nel Regno Unito.
Brikel è, invece, di proprietà di un’azienda il cui intestatario è l’ottantenne inglese David Fordham, che figura come dirigente di sette ditte nel Regno UnitoNè Rodriguez né Fordham hanno risposto alle ripetute richieste di commento. Stando ai registri economici, entrambe le compagnie sono state descritte come “dormienti” dal 2016.
IrpiMedia non ha trovato alcuna prova del legame tra Kovachki e i proprietari delle 11 compagnie, ma il suo ruolo in questo impero energetico è un “segreto pubblico” in Bulgaria.
Negli anni Kovachki è comparso su diversi media come consulente di un impianto o di un altro. L’Associazione bulgara delle organizzazioni dei datori di lavoro (AOBE), che comprende le maggiori aziende del Paese, ha affermato pubblicamente che Kovachki coordina l’intero settore energetico e si è persino rivolta alla CPC, preoccupata per la mancanza di concorrenza.
«Dal nostro punto di vista è assurdo che tutti in Bulgaria accettino il sistema di prestanomi dietro al quale, secondo diversi report e inchieste giornalistiche, ci sarebbe principalmente Hristo Kovachki» ha dichiarato l’AOBE. Lo stesso Kovachki non ha mai chiaramente negato il contenuto dei vari report che lo indicano come proprietario occulto degli impianti in questione.
Un ulteriore collegamento tra Kovachki e i vari impianti energetici è la First Investment Bank (FIB), di proprietà, in parte, del suo testimone di nozze, Ivaylo Mutafchiev.
Quando Kovachki ha assunto un ruolo di primo piano nelle acquisizioni dei primi anni 2000, in molti si domandavano dove avesse trovato tutti quei soldi. Il dispaccio statunitense del 2006 speculava che potessero venire da gruppi legati alla criminalità organizzata, che dalla caduta del blocco sovietico si erano moltiplicati in est Europa.
«Dal nostro punto di vista è assurdo che tutti in Bulgaria accettino il sistema di prestanomi dietro al quale, secondo diversi report e inchieste giornalistiche, ci sarebbe principalmente Hristo Kovachki»
Molti di questi fondi provengono in realtà dalla FIB. Il portale investigativo bulgaro Bivol, ha calcolato che, fino al 2014, le compagnie di Kovachki hanno accumulato all’incirca 153,4 milioni di euro in obbligazioni verso questa banca. Greenpeace ha identificato 14 assetti energetici connessi a Kovachki con debiti verso la FIB. Tra questi, otto rientrano nella lista delle 12 le cui emissioni sono controllate da GMI Verify.
Un portavoce di Fibank ha negato che la banca abbia concesso prestiti ad alcuna «azienda il cui ultimate beneficial owner (proprietario effettivo n.d.r.) sia identificabile in Hristo Kovachki» anche se ha riconosciuto che alcuni del beni a lui riconducibili possano essere stata usati come garanzia per prestiti fatti a terzi.
«Fibank agisce secondo i principi di responsabilità sociale, e rigetta qualsiasi insinuazione che possa essere anche lontanamente responsabile per le carenze del settore energetico in Bulgaria» ha dichiarato a Irpimedia il portavoce Hristo Hristov.
Le accuse sul voto di scambio
Un dispaccio diplomatico statunitense del 2009, il primo anno in cui LIDER (ora noto come Centro Democratico Bulgaro, BDC) ha partecipato alle elezioni parlamentari, sostiene che, il partito avesse già «guadagnato una certa notorietà per la compravendita di voti».
«Si pensa che stanco di pagare bustarelle ai membri del Parlamento, Kovachki abbia deciso di fondare un suo partito, ritenendolo un modo più diretto e conveniente per espandere la sua influenza politica», dice il dispaccio pubblicato da Wikileaks.
Un ex dipendente della centrale di Bobov Dol ha detto a IrpiMedia di essere stato pagato per votare il candidato indicato dalla dirigenza.
«Quando ci sono le elezioni vengono da te e ti dicono per chi votare. Ti pagano pure, se voti per il partito o candidato che vogliono loro», ci racconta.
Kovachki ha sempre negato le accuse legate al voto di scambio e alle pressioni sui lavoratori. Due suoi portavoce non ha risposto alle richieste di un commento.
Impatto ambientale
Diverse autorità competenti bulgare hanno negato la loro responsabilità nell’aver permesso a Bobov Dol e Brikel di sottostimare le proprie emissioni.
Secondo Sokolovski, consulente e verificatore di Green and Fair, la responsabilità ultima dovrebbe ricadere o sull’ExEA o sull’Agenzia per i servizi di accreditamento (EA-BAS), ma, aggiunge, «si rimbalzeranno la palla a vicenda, come sto facendo io ora con voi».
Irena Borislavova, CEO dell’EA-BAS, ha provato inizialmente a incolpare l’ExEA, ma poi ha promesso che l’Agenzia avrebbe approfondito la questione e preso provvedimenti al riguardo.
La CEO dell’ExEA, Rositsa Karamfilova-Blagova, ha affermato che l’ente non controlla direttamente l’accuratezza dei dati sulle emissioni ma li accetta così come sono, dal momento che «i calcoli sono fatti da un laboratorio accreditato e approvati da un verificatore altrettanto certificato». In ultimo, ha aggiunto che EA-BAS è il vero responsabile.
Mihail Bachvarov, vice Direttore di ExEA tra maggio e ottobre del 2020, sostiene che il governo stia cercando di liberarsi delle voci indipendenti.
Diverse autorità competenti bulgare hanno negato la loro responsabilità nell’aver permesso a Bobov Dol e Brikel di sottostimare le proprie emissioni.
«Diciamo che ultimamente la direzione dell’ExEA è diventata una sorta di posizione ad interim. I direttori ormai cambiano ogni sei mesi», spiega.
Bachvarov ha raccontato di essere stato licenziato subito dopo che la stessa sorte era toccata al suo direttore, Manuela Georgieva, che l’aveva chiamato a ricoprire quel ruolo, dopo che avevano già lavorato assieme al Ministero dell’Ambiente. «Credo si sia trattato di una decisione politica (…). Al governo non interessa avere degli esperti in certe posizioni».
Nè il Ministero nè Georgieva hanno risposto ai ripetuti tentativi di ottenere un loro commento.
Sotto-dichiarare le emissioni compromette il meccanismo europeo dell’ETS, un pilastro fondamentale nella strategia europea sul clima, che ha come obiettivo l’azzeramento delle emissioni di CO2 entro il 2050. Il sistema è pensato come un disincentivo economico per gli impianti più inquinanti, spingendoli ad investire in forme di energia più pulita. In passato, però, non sono mancate le frodi, costate miliardi ai contribuenti.
Per quanto riguarda direttamente la Bulgaria, sottostimare le emissioni significa privare il budget statale di entrate che dovrebbero essere investite in tecnologie a più basso impatto ambientale. Nel 2019 il Paese ha potuto contare su 439 milioni di euro in concessioni derivate dalle quote di CO2, scese a 206 milioni di euro l’anno successivo.
Truccare i dati «rappresenta una perdita per il governo, perché si trova a incassare di meno del previsto dalla vendita delle quote di CO2 scambiate sul mercato europeo », sintetizza Van den Plas di Carbon Market Watch, aggiungendo anche che la Commissione Europea avrebbe tutta la facoltà di investigare, qualora si dimostrasse che le autorità bulgare stanno effettivamente infrangendo le leggi europee.
CREDITI
Autori
Daniela Sala
Eleonora Vio
Foto
Editing
Ha collaborato
Demetra Andonova
Dimitar Stoyanov
Con il sostegno di
Foto di copertina
Turbine e generatori della centrale di Bobov Dol durante una visita con il capo ingegnere Venelin Ivanov