Fabio Papetti
Il 25 giugno 2019 è una mattina soleggiata a Busan, il principale porto della Corea del Sud. È in corso l’inaugurazione della nave UMS (Union of Myanmar Ship, titolo che spetta alla nave di bandiera) Mottama, battezzata come una città birmana sulle rive del fiume Salween. L’imbarcazione, 122 metri di lunghezza e 22 di larghezza, è di costruzione coreana, ma è destinata a diventare la nave ammiraglia della marina militare del Myanmar. La marina militare birmana appartiene al Sit-tat, l’esercito conosciuto per i colpi di Stato e le atrocità commesse ai danni di alcune minoranze nel Paese. L’acquisizione della Mottama (scritto anche Moattama, in alcuni report) ha rappresentato il primo passo del Sit-tat per trasformarsi in una “blue-water navy”, una forza militare capace di raggiungere anche le acque più lontane dalle proprie coste.
Imbarcazioni simili alla Mottama sono in possesso di altri Stati, come Indonesia e Filippine, e per il Myanmar, impegnato in una “guerra di potenza” con il vicino Bangladesh, era importante disporne di una propria per ambire al dominio sul tratto settentrionale del Golfo del Bengala.
L'inchiesta in breve
- La Corea del Sud ha venduto nel 2019 una nave da guerra al Myanmar, in contravvenzione delle leggi nazionali sull’export e sulla trasparenza nel commercio d’armi. È un anfibio d’assalto, che ha ottenuto il via libera all’export come «nave a uso civile» e non militare. Eppure monta a bordo dei cannoni.
- La nave Mottama è in queste ore impegnata in un’operazione umanitaria a sostegno delle popolazioni colpite da un ciclone Mocha, nello Stato del Rakhine. Negli anni scorsi, in questa stessa regione, è stata però impegnata sia nel respingimento di migranti Rohingya, sia a supporto di operazioni militari.
- Sulla nave sono presenti sistemi di comunicazione dell’italiana Elman srl, azienda che produce sistemi simili anche per marine militari di altri Paesi. È un sistema fondamentale, ma chi ne usufruisce commette degli abusi nei confronti di una minoranza.
- Le agenzie delle Nazioni Unite da diversi anni denunciano, al di là del caso Mottama, tanti episodi di evasione delle sanzioni.
La Mottama è un mezzo anfibio, definito con la sigla inglese LPD (landing platform dock): è capace di trasportare fino a cinque elicotteri e, laddove non ci sono infrastrutture portuali, di sbarcare a terra fino a 40 veicoli corazzati e fino a 500 uomini. Imbarcazioni del genere possono servire a vari scopi: dal punto di vista militare, possono essere impiegate come supporto logistico; dal punto di vista civile, possono fornire assistenza in missioni umanitarie.
Dalla seconda metà di maggio, la Mottama è impegnata in una missione umanitaria per fornire beni di prima necessità alle popolazioni dello Stato del Rakhine, nel Myanmar occidentale, un’area colpita da Mocha, un ciclone di categoria quattro che ha provocato allagamenti e devastazioni lungo tutta la fascia costiera. Le organizzazioni umanitarie parlano di 3,2 milioni di persone in difficoltà per quello che è il fenomeno naturale più violento degli ultimi dieci anni nel Golfo del Bengala. Situazioni come questa sono il motivo ufficiale per cui il Myanmar ha acquistato la Mottama dalla Corea del Sud.
La definizione: Tatmadaw
L’esercito del Myanmar viene chiamato Tatmadaw che si traduce dal birmano come “forze armate reali”. Il termine “reale” si riferisce al periodo pre coloniale, quando il Paese era governato da una monarchia, e oggi sottintende un’accezione di rispetto verso questo corpo, sentimento che non è più condiviso dalla maggior parte della popolazione birmana, vittima delle continue violenze dell’esercito. In questo caso chi si schiera in opposizione al governo dittatoriale usa il termine Sit-tat per indicare semplicemente i militari della Giunta.
Al di fuori di questa emergenza, però, la nave in questi anni ha svolto compiti di tutt’altro tenore. È stata impiegata sia in missioni diplomatiche per promuovere i rapporti bilaterali del Myanmar, prima e dopo il colpo di Stato dei militari avvenuto nel febbraio 2021, sia, soprattutto, in respingimenti di migranti e azioni repressive nella stessa area del Paese oggi colpita dal disastro naturale, dove abitano alcune minoranze etniche bersaglio delle politiche del governo centrale.
Per la continue violazioni dei diritti umani, il Myanmar è finito a più riprese, a partire dagli anni Novanta, tra i Paesi sotto embargo per la vendita di armi. Nonostante le denunce di abusi sui diritti dei civili rese note dalle Nazioni Unite, grazie soprattutto alla collaborazione di altre potenze regionali come Corea del Sud, India e Cina, nell’arco del 2019 il Myanmar è diventato una forza militare marittima, dotata anche di tecnologie italiane.
Le fasi dell’embargo in Myanmar
Il primo embargo emanato dall’Europa verso il Myanmar fu nel 1996, all’apice delle violenze che l’allora comandante generale Than Shwe stava perpetrando sulla popolazione durante la sua dittatura iniziata con il colpo di Stato nel 1988. L’embargo prevedeva l’espulsione dagli Stati membri di tutti i rappresentati dello Stato birmano e il personale militare annesso, il divieto a esportare armi, munizioni ed equipaggiamento militare, oltre una sospensione di tutti i programmi di sviluppo delle relazioni internazionali tra gli Stati membri e il Myanmar, eccezion fatta per i programmi di aiuti umanitari. Compresi nell’embargo erano anche i materiali per la riparazione e la manutenzione di equipaggiamenti militari e il trasferimento di tecnologia militare.
La decisione dell’Europa è rimasta attiva durante gli anni e si è cercato di adattare le risoluzioni a seconda delle attività del Sit-tat e delle azioni più o meno repressive che venivano svolte dal regime. Nel 2000 l’embargo è stato di fatto espanso per includere ogni tipo di equipaggiamento che possa essere usato per la repressione interna o per forme di terrorismo. Due anni dopo la liberazione di Aung San Suu Kyi, leader storica della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), avvenuta nel 2010, l’Unione europea decide di ritirare le sanzioni fino ad allora messe in atto, pur mantenendo attivo l’embargo sulle armi. Ma le speranze per un ritorno alla pace durano poco.
Nel 2016 inizia quello che è stato definito il genocidio della popolazione Rohingya a opera dell’esercito birmano. Si stima che solo nel periodo 2016-2017 un totale di oltre 750 mila persone siano fuggite dal Myanmar verso il Bangladesh, Stato considerato sicuro dai migranti in quanto a maggioranza musulmana. Così nel 2018 il Consiglio europeo ha deciso di ripristinare le sanzioni passate e ha aggiunto il bando all’esportazione di strumenti dual-use ed equipaggiamenti, con relativa assistenza tecnica e sistemi per il monitoraggio delle comunicazioni che potrebbero essere usati per la repressione interna.
Le indagini in Corea del Sud
La nave Mottama oggi impegnata in una missione umanitaria è un mezzo anfibio d’assalto che dispone di dotazioni militari: dopo il suo primo approdo in Myanmar, infatti, sono stati montati cinque cannoni su altrettante postazioni che erano state predisposte dal cantiere dove è stata costruita, l’azienda sudcoreana Dae Sun Shipbuilding & Engineering, all’epoca controllata da una banca a maggioranza statale. L’installazione era prevista già dal capitolato tecnico del 2018, reso poi pubblico dalla Justice for Myanmar (JFM), organizzazione non governativa che indaga le connessioni tra i militari della Giunta e aziende private o governi che in maniera più o meno diretta con le loro azioni finanziano e sostengono il regime. Il whistleblower, la fonte interna che ha permesso di venire in possesso del documento, si chiama Myat Min Thu, ex sottufficiale capo della marina del Myanmar, fuggito in un Paese non specificato per proteggere la sua incolumità.
I documenti resi noti da JFM, condivisi anche con IrpiMedia, fanno ipotizzare che fin dall’inizio la nave sia stata concepita anche per uso militare e che le sue caratteristiche tecniche siano state poi aggiustate, almeno su carta, allo scopo di ottenere il via libera per l’esportazione in Myanmar. Il Dae Sun Shipbuilding & Engineering nel febbraio 2017 aveva infatti ricevuto un diniego a una richiesta di licenza per l’export. La Corea del Sud è tra i Paesi firmatari del Trattato internazionale sugli armamenti, un documento rinnovato nel 2014 dalle Nazioni Unite che prevede il divieto di esportare armi in un Paese dove potrebbero essere impiegate dall’esercito per commettere violazioni dei diritti umani. Ha anche varato un nuovo embargo a seguito del colpo di Stato del febbraio 2021, con il quale è stata messa in carcere la leader del movimento democratico Aung San Suu Kyi.
La luce verde all’affare è arrivata dopo l’intermediazione della Posco International, la più grande società per la vendita di prodotti attiva in Corea del Sud controllata dal colosso Posco, acronimo che sta per Pohang Iron and Steel Company, ovvero la principale società metallurgica del Paese. Però la nave autorizzata alla Posco International nel luglio 2017, cinque mesi dopo il primo rifiuto, era diversa: un’imbarcazione multiuso di supporto (Multi Purpose Support Vessel, MPSV nell’acronimo inglese) destinata a operazioni civili. Non erano previsti armamenti a bordo, che verranno introdotti solo nel 2018, senza che le autorità di controllo della Corea del Sud vengano notificate. Eppure quella stessa autorizzazione permetterà al Myanmar di acquistare la UMS Mottama.
La Posco International, la Dae Sun Shipbuilding & Engineering e il ministro della Difesa coreano sono sotto indagine a Seul per violazione sia delle leggi internazionali sul trasferimento di armamenti militari in situazioni di grave pericolo per la popolazione civile, sia della legge coreana sulla trasparenza nel commercio verso l’estero.
I mille volti della Posco International
«La Posco è una delle società più colluse con il regime militare in Myanmar e ha partecipazioni o progetti attivi in diverse parti del Paese da cui la Giunta trae profitti – afferma un membro dell’ong Justice for Myanmar che per ragioni di sicurezza preferisce rimanere anonimo -. Soprattutto attraverso i progetti energetici, la società si è arricchita e allo stesso tempo ha arricchito i componenti della Giunta».
La Posco è una multinazionale basata in Corea del Sud che in Myanmar ha una storia di violazioni e collusione con gli apparati più alti dei vari regimi militari che si sono avvicendati negli ultimi venti anni. Già nel 2006 la compagnia coreana, allora chiamata Daewoo International, è stata accusata di aver esportato nel Paese tecnologia militare utile nella costruzione di armi pesanti per l’esercito, violando così la legge coreana sull’esportazione di beni strategici. Per questo motivo l’ex Ceo dell’azienda Lee Mo è stato condannato a pagare una multa di 500 milioni di won (oltre tre milioni di euro). In quegli anni la società è stata travolta da una crisi interna che ha portato alla condanna per frode a otto anni e mezzo in via definitiva del fondatore Kim Woo-choong nel 2007.
In Myanmar, dal 2009, Daewoo/Posco si è garantita accesso al giacimento di gas offshore di Shwe, al largo delle coste dello Stato del Rakhine dove detiene il 51% della joint venture, mentre il 15% è posseduto dal Myanmar Oil and Gas Enterprise (Moge), «una compagnia di proprietà statale con all’interno alcuni generali a capo della Giunta, così che il governo guadagni doppiamente sia dalle entrate del contratto con la Posco, sia dalle entrate della produzione e vendita del gas», dice il membro di JFM. Il contratto per lo sviluppo del progetto è fruttato al governo del Myanmar oltre 194 milioni di dollari e continua a generare profitti alla giunta vista la presenza di membri del governo all’interno del consorzio che gestisce i giacimenti.
La società coreana ha investito anche nel turismo in Myanmar: è socio di maggioranza con l’81,5% del Lotte Hotel Yangon, un hotel di lusso costruito su un terreno dato in concessione dall’Ufficio del quartiermastro generale, una componente fondamentale dell’esercito del Myanmar responsabile per l’acquisto di armi ed equipaggiamenti militari. Il partner locale nel progetto è l’International group of entrepreneurs (IGE) guidato da Ne Aung, fratello dell’ammiraglio Moe Aung, comandante in capo della marina militare del Sit-tat messo sotto sanzione dall’Unione europea.
La Mottama tra viaggi di rappresentanza e le persecuzioni contro i Rohingya
Due mesi dopo la consegna a settembre 2019, la UMS Mottama ha fatto rotta verso Vladivostok, nella Russia sud orientale. È così che ha cominciato a svolgere il suo primo compito: quello di “ammiraglia di rappresentanza”. La visita, infatti, aveva lo scopo di rafforzare la cooperazione tra i due Paesi. Sono seguiti simili viaggi di rappresentanza da alleati come Vietname Malesia, mentre a Yangon, la capitale birmana, la nave ha ricevuto la visita di una delegazione del ministero della Difesa indiano.
Nel 2021, la UMS Mottama ha poi iniziato a essere coinvolta in operazioni sul campo. A febbraio, ha riportato in Myanmar 1.200 migranti Rohingya fuggiti in Malesia, nonostante la Corte Suprema di Kuala Lumpur non avesse ancora autorizzato l’operazione per 1.086 di loro. I Rohingya, minoranza di fede musulmana che si trova nello Stato di Rakhine a maggioranza buddista, sono considerati dal governo birmano dei bengali, ossia appartenenti a un gruppo etnico che verrebbe dalle zone interne del musulmano Bangladesh, e quindi non meritevoli della cittadinanza, come stabilito da un’apposita legge del 1982. Vivono, di conseguenza, con lo status di migranti irregolari, condizione che impedisce loro anche di lasciare il Paese legalmente. Dal 2016, sono il bersaglio di un’escalation militare che ha provocato in questi anni la fuga di quasi un milione di persone, mentre oltre 600 mila sono tuttora nello Stato del Rakhine, di cui il 25% circa vive in campi profughi controllati dalla Giunta militare.
«L’esercito birmano usa la marina per commettere violazioni dei diritti umani e atrocità varie, come le costanti intercettazioni e i succesivi arresti dei Rohingya che cercano di fuggire dal genocidio», dice un rappresentante di JFM. Negli anni, diversi report delle Nazioni Unite hanno attestato le atrocità commesse dai militari: le navi della marina hanno bombardato villaggi, hanno risalito i fiumi dell’entroterra per colpire la popolazione locale che abitava sulle sponde, hanno affondato imbarcazioni cariche di migranti.
Secondo l’emittente locale Radio Free Asia (Rfa), tra il 2015 e l’inizio del 2020 2.200 rifugiati Rohingya sarebbero stati intercettati in mare dalla marina militare birmana mentre cercavano di lasciare il Paese. Solo nel 2022, stima Rfa, su 3.500 che hanno provato a raggiungere la Malesia, sono stati arrestati più di duemila Rohingya, mentre circa 340 sono morti in mare. Buona parte di chi è riuscito a scappare oggi vive in campi per rifugiati soprattutto in Bangladesh e Indonesia (altre mete possibili sono Malesia e Thailandia), mentre molti altri sono rimasti confinati nei campi dello Stato del Rakhine.
Da fine maggio 2022, per qualche mese, anche la Mottama è stata dispiegata nello Stato del Rakhine per operazioni militari a supporto della guerra contro i Rohingya. È salpata alla volta del porto di Kyaukpyu, nell’area centrale dello Stato, per poi avviarsi verso Rathedaung, più a nord, facendo poi sbarcare truppe e armamenti. In quei mesi, approfittando di un cessate il fuoco, il Sit-tat, l’esercito birmano, ha rafforzato la presenza sul campo del suo contingente in guerra fin dagli anni Quaranta con le forze indipendentiste dell’Esercito dell’Arakan (AA) e dell’ARSA (Arakan Rohingya Salvation Army).
Tecnologia italiana a bordo della Mottama
Nel documento tecnico sul sistema di comunicazione della nave Mottama – datato febbraio 2019 e firmato dalla società sudcoreana Daeyang Electric, la quale ha ricevuto la commessa dal cantiere Dae Sun Shipbuilding & Engineering – compaiono il nome e il logo di una società italiana: Elman srl. Di base a Pomezia, in provincia di Roma, Elman fornisce un ricevitore per la decodifica di messaggi Navtex, sistema per comunicazioni urgenti che permette di stampare direttamente tutti i messaggi importanti. Questi strumenti permettono la ricezione di segnali sia navali che terrestri, contribuiscono, tra le altre cose, alla ricezione di segnali e chiamate d’emergenza da parte di imbarcazioni in difficoltà e fungono da aiuto ai radar nel ricevere informazioni sul posizionamento delle navi circostanti.
Se la nave Mottama è in grado di comunicare con le altre e con un porto o una base militare a terra, che sia durante una missione umanitaria o un’intercettazione di un’imbarcazione di migranti Rohingya, è attraverso questo sistema.
Per approfondire
La Elman srl è specializzata in questo tipo di sistemi di comunicazione e fornisce equipaggiamenti e supporto tecnico sia alle forze marittime italiane che a diversi Paesi extra europei tra cui la Libia, a cui ha fornito nel 2021 sistemi di comunicazione marittimi per incrementare l’efficienza delle operazioni condotte dalla guardia costiera.
Contattata da IrpiMedia, Elman srl ha riferito di non avere mai fornito apparecchiature di nessun genere ad aziende della Corea del Sud, escludendo quindi la possibilità che la loro tecnologia sia stata acquistata direttamente dalla Daeyand Electric. Al contrario, è certa una lunga e proficua collaborazione dell’azienda di Pomezia con le autorità del Myanmar. Nel 2016 ha infatti fornito alla marina militare birmana il Global Maritime Distress and Safety System (GMDSS), un sistema di allerta e diffusione di messaggi che è obbligatorio per tutti i Paesi che ratificano le convenzioni internazionali dell’International Maritime Organization (IMO), l’agenzia Onu che si occupa di mare.
L’insieme GMDSS include sistemi di radiocomunicazione marittima per l’identificazione automatica delle imbarcazioni, comprese quelle che hanno bisogno di essere salvate da un naufragio. Stazioni radio costiere sono state sviluppate anche nel Rakhine, in zone particolarmente rilevanti per la persecuzione dei Rohingya. Committente della commessa è stato il ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni del Myanmar, il cui ministro Tin Aung San compare nella lista delle persone sotto sanzione dell’Unione europea. I piani per lo sviluppo di ulteriori stazioni radio sono continuati anche dopo il colpo di Stato del febbraio 2021.
«I sistemi di comunicazione forniti da Elman supportano i militari del Myanmar nella loro campagna di terrore contro la popolazione», sostiene Yadanar Maung, portavoce di JFM. La posizione dell’azienda di Pomezia è invece che la tecnologia fornita sia fondamentale per salvare la vita di coloro che si trovano in difficoltà in mare. È un fatto che gli equipaggiamenti di cui dispone la marina militare del Myanmar aiutino i salvataggi. Il problema, però, è quello che accade dopo: invece che ottenere il riconoscimento del loro diritto a migrare, chi fugge viene riportato nel Myanmar.
Questa situazione ricorda quella che si vive nei mari antistanti Libia e Tunisia, con la presenza della Guardie costiere locali: se nel Mediterraneo centrale avvocati immigrazionisti e organizzazioni internazionali si battono perché si tenga conto che in Libia e Tunisia non esistono porti sicuri dove far sbarcare i naufraghi, nel Sud-Est asiatico la situazione sembra ancora più complessa, visto che Paesi vicini come la Malesia accettano di far rimpatriare in Myanmar i migranti Rohingya che già si trovano sul suo territorio.
Le continue violazioni dell’embargo
Al di là del caso Mottama, diverse agenzie delle Nazioni Unite segnalano da anni numerosi episodi in cui il sistema delle sanzioni è stato completamente evaso. Lo scorso 17 maggio, lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, Tom Andrews, ha pubblicato il report Il commercio di morte da un miliardo di dollari: le reti internazionali di armi che permettono le violazioni dei diritti umani in Myanmar in cui denuncia che la Giunta, dalla sua presa del potere, ha acquistato materiale per produrre armamenti dal valore di almeno un miliardo di dollari. I principali esportatori sono, secondo il report, Russia, Cina, Singapore, Thailandia e India.
A settembre 2022, un altro rapporto dell’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani evidenzia l’inefficacia delle misure per contrastare l’esportazione di armi verso il Myanmar. E cita anche il caso della Mottama: nonostante il lavoro precedente di una commissione di verifica avesse tracciato vendite irregolari negli anni precedenti, Israele e Corea del Sud «hanno trasferito navi da guerra nel 2019»; l’Ucraina ha venduto armi «fino al 2020», mentre la Bielorussia «ha fornito anche elicotteri da combattimento nel 2019». «Questi Stati – specifica poi il report – non sembrano aver fornito armi a partire dal febbraio 2021».
Oltre le armi, ci sono altri modi per sostenere il regime militare birmano. Nello stesso rapporto del 2022, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite cita il modo in cui la Giunta militare continua a incassare dalla vendita di teak, segnalando in particolare l’Italia tra i Paesi acquirenti (si veda la nostra inchiesta Deforestazione Spa). Altro caso recente riguarda l’azienda metallurgica Danieli che, otto mesi dopo il golpe, ha deciso di aprire una filiale in Myanmar pur avendo già un’altra struttura presente sul territorio. La decisione è venuta dopo la dichiarazione del leader della giunta militare Min Aung Hlaing di riaprire un’acciaieria, facendo sorgere sospetti di un accordo tra la società italiana e la Giunta. Due anni fa, invece, è stato il caso della Cheddite Italy srl coinvolta nell’esportazione di proiettili che grazie ad una triangolazione con la Turchia sono finiti, a detta dell’azienda a sua insaputa, dentro le armi della polizia birmana che in quei giorni stava reprimendo nel sangue le proteste di strada. Nonostante i crimini della Giunta, in Myanmar si continua comunque a fare affari.
CREDITI
Autori
Fabio Papetti
Ha collaborato
Justice for Myanmar
Editing
Lorenzo Bagnoli