20 Luglio 2020 | di Lorenzo Bagnoli
In Nigeria è scoppiato un caso politico-giudiziario di proporzioni gigantesche. Il 10 luglio, undici giorni prima della requisitoria finale del processo che Eni e Shell affrontano a Milano con l’accusa di aver pagato una maxi tangente da 1,1 miliardi di euro per aggiudicarsi la licenza petrolifera nigeriana Opl 245, il poliziotto Ibrahim Magu è stato sospeso dal suo ruolo. Era il numero uno della Economic and Financial Crimes Commission (Efcc), la branca della polizia nigeriana che si occupa di reati finanziari, e tra i protagonisti del filone nigeriano dell’inchiesta sulla licenza petrolifera. Magu è stato costretto a fare un passo indietro, dopo essere lui stesso stato accusato di corruzione, peculato e di insubordinazione nei confronti del ministero della Giustizia. Dopo di lui, trattenuto in stato di fermo per una decina di giorni, sono stati costretti a lasciare altri dodici alti funzionari dell’agenzia, che oggi è stata resa – di fatto – inoffensiva. A dare avvio alla resa dei conti, è stato il ministro della Giustizia Abubakar Malami, che nel 2018 scriveva al presidente della Nigeria Muhammadu Buhari che l’Efcc non aveva prove a sostegno dell’ipotesi di corruzione internazionale e riciclaggio nel caso Opl 245.
Le conseguenze per il caso Opl 245
La vicenda ha delle conseguenze su tutto lo scacchiere internazionale dei processi per la vicenda Opl 245: Magu dalla Nigeria ha cominciato dallo scorso anno a mettere sotto tiro beni e proprietà dei politici nigeriani che secondo le diverse procure che indagano sulla presunta maxitangente avrebbero favorito l’assegnazione di Opl 245. Ha collaborato, seppur con mille difficoltà, con le autorità straniere. Tra i risultati più importanti dell’Efcc ci sono le inchieste su Mohammed Adoke Bello, ex ministro della Giustizia, e Alison Diezani-Mandueke (per la quale si sono stati predisposti anche dei sequestri), ex ministro del Petrolio, entrambi accusati di aver incassato parte delle mazzette di Opl 245.
Su Magu si è giocata una partita prettamente politica. Si è consumata una resa dei conti interna all’elite del potere nigeriana. Secondo Premium Times, uno dei quotidiani più prestigiosi della Nigeria, almeno due delle accuse rivolte a Magu sono false. La figura di Magu è percepita in due modi opposti dalle frange più politicizzate dell’opinione pubblica nigeriana. Da un lato, è considerato quello che fu Antonio Di Pietro per l’Italia durante Tangentopoli, il paladino scelto dal presidente Muhammadu Buhari per portare fino in fondo la missione con cui è stato eletto nel 2015 e rieletto nel 2019: combattere la corruzione endemica che corrode la Nigeria dall’interno. Dall’altro, invece, è ritenuto un burattino nelle mani di altri politici che gli hanno fatto insabbiare i dossier a loro carico, indirizzandolo altrove. In mezzo, una maggioranza silenziosa che non si stupisce né della macchinazione politica per fermare Magu, né dell’ipotetico coinvolgimento dell’ex numero uno dell’Efcc in qualche caso di corruzione.
Lo scontro con il ministro della Giustizia Malami
In questo contesto tanto confuso, esistono alcuni fatti inconfutabili. Il primo è che Magu prima di essere sospeso aveva cominciato a indagare sull’attuale ministro della Giustizia, Abubakar Malami. Il secondo è che lo stesso Malami nel 2016 aveva inviato al Servizio di intelligence nazionale della Nigeria (Dss) una nota nella quale si chiedeva di rivedere la posizione di Magu e la nomina di altri funzionari dell’Efcc. Il terzo è che l’ex ministro della Giustizia Mohammed Adoke Bello, quando è stato arrestato dall’Interpol a Dubai una prima volta, a novembre 2019, aveva scritto proprio al suo successore affinché intercedesse per il suo rilascio, cosa effettivamente avvenuta. Dopo la liberazione, Adoke Bello è rientrato in Nigeria, evento che non accadeva dall’inizio dell’ “autoesilio” nel 2015 e in quel caso è stato nuovamente arrestato – per un breve periodo – su intervento dell’Efcc.
Tra Malami e Magu lo scontro è cominciato fin dall’inizio del mandato del capo dell’Efcc. Nel dossier confezionato dall’ufficio del ministero della Giustizia, Magu è indicato come vicino a un imprenditore e un banchiere, a loro volta accostati a casi di corruzione. Uno dei due sarebbe anche in ottimi rapporti con Diezani-Mandueke, l’ex ministro del Petrolio coinvolta nel caso Opl 245 su cui Magu indaga. Il poliziotto secondo il dossier avrebbe ottenuto beni, tra cui l’affitto della sua casa, in cambio di qualche favore. Avrebbe anche usato jet privati pagati con fondi pubblici. Secondo quanto risulta ai media locali, la lista di crimini commessi sarebbe di 22, incluso un episodio di distrazioni di fondi pubblici recuperati dall’amministrazione nigeriana. Tutte menzogne secondo l’avvocato di Magu.
Un arresto controverso
Resta da chiarire perché, dopo quattro anni in cui il presidente non ha ritenuto necessario intervenire su Magu, a luglio 2020, dopo che l’Efcc si è avvicinato al ministro della Giustizia Malami, le accuse nei confronti del capo dell’agenzia anticorruzione siano improvvisamente diventate credibili. Sahara Reporters, partner di IrpiMedia nella serie The Nigerian Cartel, riporta una nota del 15 luglio in cui il portavoce del presidente Buhari precisa che il poliziotto «non è sotto processo». Questo non spiega il suo stato di fermo in prigione, che si è concluso solo dopo il pagamento di una cauzione. La polizia nigeriana ha negato di averlo trattenuto in custodia: il suo fermo è stato fatto da agenti dell’intelligence e della polizia della villa presidenziale, dove si trovava inizialmente.
Sahara Reporters aveva cominciato a pubblicare notizie delle indagini su Malami. Proprio questa fuga di informazioni sarebbe, secondo lo stesso giornale, tra i motivi per cui c’è stata quest’offensiva contro Magu e il suo staff.
La posizione di Malami sul caso Opl 245 e sui soldi dell’ex dittatore Sani Abacha
Premium Times nel 2018 aveva pubblicato una lettera in cui Malami spiegava come pensasse fosse meglio per l’amministrazione Buhari abbandonare il caso Opl 245. «L’indagine dell’EFCC – scriveva il ministro – e l’accusa non sembrano aver rivelato chiaramente il caso di frode contro le parti che hanno affermato di aver agito in veste ufficiale con l’approvazione di tre presidenti consecutivi del governo federale della Nigeria. La questione doveva essere risolta nell’interesse nazionale, salvando in tal modo le aspre controversie che si traducono in elevate spese legali e nella dormienza del giacimento petrolifero durante la durata del contenzioso». La conclusione del ministro della giustizia era dunque quella di ritirare le accuse e chiudere il caso.
Nel dicembre 2017, lo stesso Malami era finito al centro di un altro scandalo, riguardante in questo caso il procedimento di recupero dei patrimoni che la Nigeria aveva appena concluso con la Svizzera. Da Ginevra, infatti, dovevano arrivare 321 milioni di dollari sottratti dall’ex dittatore Sani Abacha alle casse dello Stato e trasferiti per anni in conti personali in Lussemburgo, Liechtenstein e infine in Svizzera. Nonostante l’indagine fosse già stata condotta e portata a termine da due avvocati europei, il ministro Malami, ha svelato il giornale The Cable, ha ingaggiato nel 2016 altri due legali nigeriani, che si sono presi il 4% del totale della somma recuperata, per un lavoro che non è mai stati chiarito e che già era stato svolto. La richiesta di accesso agli atti fatta dal giornale nigeriano per sapere di più su questa assunzione non ha mai ottenuto risposta. «Un furto sulla refurtiva appena recuperata», era stato il commento di una fonte del giornale. I due avvocati, inoltre, erano parte dell’ufficio legale di un partito fondato nel 2010 dal presidente Buhari di cui faceva parte anche Malami e oggi confluito nell’Apc, il partito di governo.
Foto: Quartier generale dell’EFCC – EFCC/Facebook