23 Luglio 2020 | di Lorenzo Bagnoli
Il 21 luglio scorso si è conclusa la requisitoria del pm Fabio De Pasquale nell’ambito del processo sulla presunta tangente da 1,1 miliardi per il blocco petrolifero Opl 245 in Nigeria. Le richieste di pena per Paolo Scaroni e Claudio Descalzi, i due manager al vertice di Eni, sono di otto anni di reclusione. Per Eni e Shell l’accusa chiede una confisca complessiva pari a 1,092 miliardi di dollari, il totale della presunta tangente.
Dieci anni, invece, sono stati richiesti per Dan Etete, l’ex ministro del Petrolio che in Nigeria rappresentava Malabu Oil&Gas, la società tenutaria della licenza esplorativa per il giacimento Opl 245. Per Luigi Bisignani, lobbista pluricondannato e amico-consigliere dell’allora numero uno della società di San Donato Paolo Scaroni, i pm hanno chiesto 6 anni e 8 mesi. Il suo ruolo nella vicenda sarebbe stato quello di sponsorizzare Emeka Obi, uno dei due intermediari che Eni – secondo l’accusa – voleva utilizzare per aggiudicarsi la licenza.
Sette anni e quattro mesi è stata la pena chiesta per Malcolm Brinded, all’epoca dei fatti (la presunta tangente è stata pagata nel maggio del 2011, ha ricoperto la carica fino al 2012) membro del consiglio di amministrazione di Shell. Sei anni e otto mesi anche per gli altri tre top manager dell’azienda petrolifera anglo-olandese: Peter Robinson, australiano che per Shell si occupava di Africa, che informava il resto dell’azienda sul dossier Opl 245; John Copleston, consulente per gli investimenti strategici, tra gli uomini Shell che ha incontrato direttamente Dan Etete e Guy Colegate, come Coplestone ex membro dell’MI6 britannico, il servizio di intelligence estera di Sua Maestà, che per Shell, con la carica di consulente, aveva il ruolo di capire con chi fosse la competizione per Opl 245 e capire quale aria politica ci fosse nel Paese.
«Bisignani ha un rapporto abbastanza problematico con Vincenzo Armanna e anche Claudio Descalzi lo subisce come un’imposizione»
L’asse delle spie
Durante la requisitoria, il pm De Pasquale ha parlato di «un asse delle spie», ossia di un gruppo di persone vicine ad ambienti dell’intelligence che conoscevano il dossier e che hanno fatto in modo che le compagnie petrolifere potessero ottenere la licenza che desideravano. Il fronte Shell è il più numeroso: ci sono Guy Colegate e John Coplestone, ma anche Ednan Agaev, quest’ultimo vicino all’Fsb, i servizi segreti russi. A dicembre 2018, diversi mesi prima della sua udienza il ministero degli Affari esteri russo, via Farnesina, ha recapitato una lettera alla Procura in cui chiedeva alle autorità italiane di mostrarsi «ragionevoli».
Lo schema Shell prevede che Coplestone e Colegate raccolgano informazioni, mentre Agaev interloquisca con Dan Etete, il venditore. Meno definito, invece, lo schema di Eni. A muoverlo sembra esserci Luigi Bisignani, la cui rete di relazioni ha sempre toccato anche personaggi legati ai servizi segreti. Forse anche Vincenzo Armanna, date le conoscenze che ha detto di avere nell’ambiente dei servizi e la sua amicizia con Bisignani. Quello che rende però meno chiaro il fronte Eni è la presenza di due intermediari competitor per contattare Etete: Emeka Obi e Femi Akinmade. Il primo è raccomandato da Luigi Bisignani all’amico Paolo Scaroni, ma come riporta De Pasquale in aula «ha un rapporto abbastanza problematico con Vincenzo Armanna e anche Claudio Descalzi lo subisce come un’imposizione». Femi Akinmade, ex manager di Naoc, altra controllata Eni in Nigeria, si era candidato nel ruolo ma appunto non godeva dei favori di Bisignani, il quale secondo la procura voleva ottenere parte delle “retrocessioni” attraverso Emeka Obi.
Per approfondire
Lo specchio olandese: Shell sapeva
Fabio De Pasquale fa riferimento durante l’udienza allo «specchio olandese»: con questa espressione il magistrato fa riferimento al modo in cui il ruolo di Eni si veda attraverso i documenti sequestrati dalla polizia olandese a Shell. La perquisizione del quartier generale della società petrolifera a L’Aja, avvenuta a febbraio del 2016, è stato un evento storico: non era mai accaduto in precedenza. In quella circostanza sono emersi degli elementi che secondo il pm rappresentano le tracce documentali della volontà di Eni e Shell di pagare dei membri del governo allo scopo di ottenere Opl 245.
C’è una profonda differenza nel modo di gestire questo flusso di informazioni tra Shell ed Eni: mentre nella società anglo-olandese ci sono tracce dei briefing con i quali i manager informavano il resto dell’azienda sull’andamento dei negoziati, per quanto riguarda Eni gli elementi di prova non vengono mai lasciati per iscritto. Per questo Eni si specchia in Shell, con il suo ruolo che viene poi confermato dagli interrogatori delle parti interessate. Mentre Shell tuttavia ha una macchina organizzativa che sembra muoversi compatta sull’approccio da tenere nei confronti dell’acquisizione di Opl 245, Eni sembra essere attraversata da “correnti”, da gruppi di interesse differenti, con obiettivi che passano sempre dall’ottenimento della licenza ma che non sempre collimano. Tanto è vero che la possibilità di ottenere retrocessioni, da quanto risulta alla procura, è perseguita solo dai manager Eni.
I documenti rilevanti
C’è un documento, tra quelli ritrovati nel corso delle perquisizioni all’ufficio di Shell, particolarmente significativo. Il pm Fabio De Pasquale lo chiama «la formula della corruzione». Si chiama Opl 245 brief ed è allegato a una mail del 23 settembre del 2010. La scrive Peter Robinson, manager di Shell, al collega Ian Craig. Nel documento si legge che «Eni si impegna a entrare nel blocco, rilevare Malabu e stipulare un accordo con Shell per condividere equamente (50/50) la licenza e i suo benefit economici (diritti concessionari + da contractor)». A questa premessa segue la formula «X+SB+Y=Z». X sta per quanto deve Eni, SB sta per “signature bonus”, ossia un pagamento che Shell doveva al governo alla sottoscrizione del contratto, già stabilito in precedenza, e Y è una somma extra ancora da stabilire affinché la licenza sia al sicuro. Z, dice il documento, è il pagamento che deve ricevere Etete, da girare successivamente ai politici nigeriani. «Soldi di Eni+soldi di Shell=tangente», è la versione semplificata proposta da De Pasquale. Inizialmente è previsto che Eni ci metta 800 milioni di dollari, poi, il 30 ottobre 2010, una nuova email sancisce l’accordo definitivo. La manda il numero tre di Shell, Malcolm Brinded, ai colleghi Peter Robinson e Ian Craig: «Eni mette $ 980 milioni. Shell – mette $ 210 milioni di bonus di firma – e $ 25 milioni di interessi dal bonus di firma – e $ 85 milioni in contanti. Shell mantiene il 100% del recupero dei costi Eni è l’operatore». Il totale è 1,3 miliardi di dollari, di cui 1,092 saranno versati da Eni, in qualità di «operatore» al conto della JP Morgan di Londra intestato al Governo nigeriano.
La posizione di Eni
Alle richieste di pena, Eni ha immediatamente replicato con un comunicato stampa: «Eni considera prive di qualsiasi fondamento le richieste di condanna avanzate dal Pubblico Ministero nell’ambito del processo Nigeria ai danni della società, dei suoi attuale ed ex Amministratori delegati, e dei manager coinvolti nel procedimento», dichiara. In particolare l’azienda ribadisce che la narrativa dell’accusa, sia in fase di indagini, sia in fase di requisitoria, è basata su «suggestioni e deduzioni» «in assenza di qualsivoglia prova o richiamo concreto ai contenuti della istruttoria dibattimentale». Aggiunge l’azienda che «non esistono quindi tangenti Eni in Nigeria e non esiste uno scandalo Eni».
Foto: Il tribunale di Milano – Paolobon140/Wikimedia