10 Settembre 2020 | di Lorenzo Bagnoli
Non capita spesso che un governo di un Paese africano partecipi come parte civile a un processo in Italia dove, alla sbarra, ci sono due compagnie petrolifere europee accusate di corruzione internazionale. È successo nel processo Opl-245 in corso a Milano, che entro fine anno dovrebbe arrivare alla conclusione del primo grado. La Nigeria, come parte civile, nell’udienza del 9 settembre ha chiesto il suo risarcimento danni: 1,092 miliardi di dollari, il prezzo della tangente, come provvisionale, ovvero un anticipo. Poi, in sede civile, si calcolerà l’entità del danno procurato alle casse dello Stato.
Le conclusioni dell’avvocato Lucio Lucia fanno perno su un elemento principale: il prezzo di favore strappato da Eni e Shell per uno dei giacimenti più ambiti dell’Africa occidentale, in virtù dell’accordo corruttivo con membri del governo nigeriano. Le prove documentali citate dalla parte civile riguardano le email interne a Shell che sono decorse dal 2009 con la presidenza della Nigeria, gli scambi tra il ministro del Petrolio dell’epoca Alison Diezani-Madueke e Mohammed Adoke Bello, l’ex attorney general. Questi accordi prendono forma in un resolution agreement, il documento di aprile 2011 con cui si dà il via alla cessione della licenza per il giacimento, che secondo la parte civile è nettamente contraria agli interessi economici della Nigeria.
Eni e Shell pagano in tutto al governo nigeriano 1,3 miliardi di dollari. Secondo l’avvocato Lucia, però, il reale prezzo della licenza sarebbe di oltre 3 miliardi di dollari, come detto da uno degli intermediari, Ednan Agaev, durante il processo. Questo sconto si sommerebbe a un signature bonus, ossia il denaro pagato al momento della firma di una concessione, basso per un giacimento del genere, tanto che il prezzo è rimasto invariato dal 2001.
La ricostruzione della parte civile è stata commentata da Eni. L’azienda esprime «grande sconcerto sul fatto che si continuino a portare come supporto dell’accusa di corruzione a suo carico flussi di denaro che si sono sviluppati soltanto dopo il pagamento della licenza da parte della società, che è stato eseguito direttamente al governo nigeriano, in maniera chiara, lineare e trasparente sul conto di una banca nota a livello internazionale». Eni sul proprio sito ha anche smentito la versione secondo cui il prezzo pagato sarebbe stato troppo basso. Infatti, secondo l’azienda, questa ricostruzione non tiene conto del valore dell’opzione di back-in, un meccanismo previsto per far rientrare il governo nigeriano nella proprietà di Opl-245 fino al 50% a fronte di un pagamento di massimo 870 milioni di dollari, che varia a seconda della quota.
Alla prossima udienza il Tribunale ascolterà le conclusioni della difesa di Vincenzo Armanna, imputato che ha un peso rilevante nella costruzione dell’impianto accusatorio della Procura.
Foto di archivio/IrpiMedia