17 Marzo 2023 | di Giacomo Zandonini
Èil 18 luglio 2022 e in una Venezia assolata e affollata di turisti, il deputato del Partito Democratico Nicola Pellicani si rivolge a sostenitori e curiosi. L’occasione è il festeggiamento per la conversione in legge del cosiddetto Decreto Aiuti, il primo di una serie di interventi straordinari da parte del governo guidato da Mario Draghi, «in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina».
Più che il decreto-legge, sul cui voto di fiducia si era appena aperta un’irreversibile crepa nella maggioranza parlamentare, a interessare i militanti del Partito Democratico e altri cittadini veneziani accorsi in Campo Santa Maria Formosa è un singolo emendamento, il 37 bis, nascosto tra norme sul rinnovo del parco autobus a scopi turistici e altre sulla cittadinanza digitale nei comuni medio-piccoli. L’articolo, che in città è già noto come emendamento Pellicani, permette al solo Comune di Venezia di introdurre nuove «misure per favorire l’incremento dell’offerta di alloggi in locazione per uso residenziale di lunga durata nella città storica di Venezia».
Le autorità cittadine, in sostanza, potranno decidere «limiti» e «presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve», rendendo quindi disponibili, secondo l’assunto della norma, più alloggi per i residenti della Venezia insulare.
Sono due le indicazioni ulteriori: si può adottare un limite massimo di 120 giorni all’anno oltre il quale il privato cittadino che affitta sul mercato turistico è obbligato a chiedere un cambio di destinazione d’uso dell’immobile; e va tenuto conto della «funzione di integrazione del reddito esercitata dalle locazioni brevi» per chi gestisce o mette a rendita un solo alloggio. Insomma non si vorrebbe colpire chi per esempio, affittando una seconda casa di famiglia tramite AirBnb, paga il mutuo della prima abitazione.
Ai profani, il testo della norma può apparire blando, tanto più che le disposizioni non sono vincolanti: il Comune può adottarle, ma non è tenuto a farlo. Per i veneziani della città storica e della laguna, distribuiti tra le 112 isole collegate e pedonalizzate del centro e decine di isole minori, il tema è però di attualità strettissima. Tanto che mentre il deputato Pellicani e una parte dell’elettorato cittadino festeggiano, nella piazza arrivano anche decine di cittadini sul piede di guerra, convocati dalle associazioni di rappresentanza dei gestori e dei proprietari che affittano appartamenti sul mercato turistico, come AGATA, ABBAV e Bre-Ve.
Proprietari, host e check-in manager, figure di intermediazione tra proprietari e clienti, che lavorano grazie a piattaforme come AirBnb, Expedia e la controllata Vrbo, Booking.com o HomeToGo, temono che l’articolo 37-bis possa mettere in ginocchio un settore cresciuto esponenzialmente nell’ultimo decennio e in rapida ripresa dopo la pandemia di Covid-19.
Gli scambi tra i due fronti sono accesi e proseguono nei mesi successivi, segnando una spaccatura profonda in una città il cui centro insulare (i sei sestieri e l’isola della Giudecca), sempre a luglio 2022, scende per la prima volta sotto la soglia simbolica dei 50 mila residenti. Al cuore del dibattito c’è un esodo che sembra difficile da arrestare e che ha portato i residenti a un minimo storico: appena il 30% dei 171 mila residenti del 1951 è rimasto a vivere tra calli e campi.
Per una parte di città, quella che festeggiava insieme all’ex deputato del PD, il calo demografico dell’ultimo decennio è innegabilmente legato all’affitto turistico breve, che ha sottratto alloggi al mercato residenziale per trasformarli in investimenti redditizi. Per chi gestisce parte degli oltre 5.500 appartamenti ad uso turistico registrati dal Comune nella zona centro storico e isole di Murano e Burano – un totale di 21.100 posti letto, secondo i dati di gennaio 2023 – non ci sarebbe però legame tra il calo demografico e la locazione turistica breve.
La giunta comunale, guidata dal sindaco e imprenditore Luigi Brugnaro, che ha unito diverse anime del centrodestra cittadino, sembra trovarsi in mezzo al guado, alla ricerca di un difficile consenso. «Venezia perde popolazione da 50 anni e l’Italia pure, ma ora fa comodo dire che è colpa del turismo: siamo un capro espiatorio», sostiene Ondina Giacomin, presidente dell’Associazione B&B, Alloggi Turistici ed Appartamenti del Veneto (ABBAV).
Lo spopolamento delle isole
IrpiMedia è andato a Venezia, patrimonio dell’Unesco, per raccogliere dati e testimonianze degli abitanti di una città unica al mondo, che vive in un territorio fragile, segnato dal cambiamento climatico e dall’iperturismo. Il reportage è parte di una serie sullo spopolamento delle isole europee, realizzato con la testata irlandese Noteworthy e il media d’inchiesta scozzese The Ferret.
Una città in conflitto
La battaglia sul futuro della città lagunare è proseguita nell’ultimo anno a suon di comunicati stampa, manifestazioni pubbliche e interrogazioni al Consiglio comunale, intersecandosi con proposte e proteste nazionali ed europee per arginare lo svuotamento dei centri storici. Al centro della discussione c’è una visione di città che si incarna anche nei dati e nella loro correlazione. Con conclusioni radicalmente opposte.
Per Elena Fiorani, portavoce di Bre-Ve, associazione nata nel 2022 e che riunisce decine di host e property managers, ovvero gestori per conto terzi di appartamenti privati affittati tramite piattaforme digitali, «quando è arrivata AirBnb, la città era vuota, poi sono arrivati i nostri inquilini che hanno riempito quelle case e vanno al forno, dal parrucchiere». L’affermazione non è suffragata da dati, ma in tanti ne sono convinti. Le locazioni brevi, spiega l’imprenditrice, «hanno un indotto pazzesco e se l’emendamento Pellicani verrà adottato, ci sarà un danno economico e sociale enorme: migliaia di persone se ne andranno».
Un altro socio di Bre-Ve, il vicepresidente Mario Vidal, aggiunge che «Venezia non è democratica, non può essere per tutti». A dover essere ridotti, secondo Vidal, sono i daytrippers, i turisti giornalieri che alloggiano fuori città e raggiungono la laguna per visite lampo. Nel 2019, anno di picco per il turismo, si stimavano in 20 milioni di persone, a fronte di 3,5 milioni di turisti pernottanti.
Ocio, ovvero occhio in dialetto veneto, è l’acronimo che identifica l’Osservatorio civico sulla casa e la residenza, nato nel 2019 da un gruppo di attivisti e ricercatori veneziani. L’Osservatorio è di tutt’altro parere: attrarre più turisti, grazie alla disponibilità di alloggi sulle piattaforme online, significa inevitabilmente perdere residenti e consegnare Venezia a un destino di città-museo, in vendita sul mercato turistico globale. Giacomo Maria Salerno, ricercatore e animatore di Ocio, spiega che «con l’affitto turistico breve il ciclo di rendita degli investimenti immobiliari si è accorciato di molto, rendendo sconveniente affittare a residenti o a studenti». Allo stesso tempo, aggiunge, «gli sfratti per fine locazione qui sono altissimi e spesso aprono la strada all’affitto su piattaforme». Molti alloggi di edilizia popolare, come in altre città d’Italia, restano tuttavia vuoti per anni.
Esclusi dal mercato privato della casa come da quello pubblico, gli isolani di Venezia non hanno altra scelta che «legare il barchìn» e trasferirsi sulla terraferma: a Mestre, a Marghera o nelle frazioni e nei Comuni adiacenti, dove il costo degli affitti è finora più sostenibile e dove servizi pubblici e negozi sono più vicini e non sovraccaricati dal turismo, spiega Salerno. Nel 2022, Ocio ha stimato in 2.208 – 1.274 di proprietà dell’azienda regionale per l’edilizia residenziale Ater e 934 del Comune – gli alloggi popolari lasciati vuoti in città, un migliaio dei quali si trova nella Venezia insulare. Tra le ragioni di questo inutilizzo sembra esserci la mancata manutenzione, costosa ma essenziale in una città umida e battuta dalle onde.
Secondo le analisi di Ocio, i 20 milioni di euro stanziati tra il 2015 e il 2021 dal Comune per la società partecipata Insula Spa, che gestisce circa 5.500 alloggi di edilizia residenziale, non bastano nemmeno a coprire la manutenzione e la rimessa in circolo degli appartamenti riconsegnati ogni anno a causa del decesso o dello spostamento dei locatari. A luglio 2022, mentre il Comune apriva un nuovo bando per assegnare alloggi pubblici, centinaia di persone risultavano ancora in graduatoria e in attesa di entrare in appartamento dal 2020. Sono 30 gli alloggi dell’Ater, l’azienda regionale per l’edilizia abitativa, assegnati nel 2022 nella Venezia storica.
Il Comune di Venezia non ha risposto a nessuna delle richieste inviate da IrpiMedia, su questo aspetto come su altre politiche pubbliche legate alla residenza e alla gestione del flusso turistico. Un portavoce del Sindaco Luigi Brugnaro ha detto per telefono di non intendere rispondere a domande sul legame tra residenza e questione turistica.
Il miraggio dell’housing sociale alla Giudecca
Per gli attivisti dell’Assemblea Sociale per la Casa, che da trent’anni si occupa di diritto all’abitare a Venezia, l’unica soluzione per restare a vivere nella città isolana è stata quella di occupare. «Come Assemblea – spiega Pasquale Ambrogio, arrivato a Venezia per gli studi universitari e rimasto come insegnante precario – occupiamo case popolari non ristrutturate e quindi non assegnabili, le rendiamo abitabili a nostre spese e poi le assegniamo a chi ne ha bisogno».
Alla fine del 2022 gli appartamenti occupati dagli attivisti erano più di 70, «quasi tutti nella Venezia insulare». Sedici di questi solo nel complesso delle Case Minime o Casette, una serie di palazzine costruite sull’isola della Giudecca nei primi anni ‘40 e «subito occupate da centinaia di sfollati, che fuggivano qui sapendo che la Venezia storica non veniva bombardata», racconta Chiara Buratti, attivista e occupante di uno dei 40 appartamenti non assegnati del complesso residenziale, che conta 126 alloggi.
«Il paradosso – spiega Buratti, che a 34 anni lavora in uno sportello informativo del sindacato di base Adl Cobas – è che siamo sotto processo per le occupazioni, che facciamo sempre alla luce del sole, convocando la stampa, ma senza di noi in città ci sarebbero decine di residenti in meno». Buratti, che ha occupato e rinnovato un appartamento di 40 metri quadri e resiste all’inverno con un’unica stufa, mostra i tre appartamenti vuoti nella sua palazzina, uno dei quali sostiene sia inutilizzato da 25 anni.
A pochi metri dalle Case Minime si trova anche l’enorme edificio costruito e poi abbandonato dalla società Acqua Marcia Immobiliare, coinvolta nel crollo finanziario del gruppo Acqua Marcia, allora guidato da Francesco Bellavista Caltagirone: 50 alloggi, all’interno dell’area degli ex magazzini cinematografici della Scalera Film, 25 dei quali dovevano essere venduti ai residenti a prezzi calmierati. In altri termini, un progetto di housing sociale.
I lavori si sono però bloccati nel 2013 e da quel momento non si è saputo più nulla. Un’interrogazione, depositata nel luglio 2022 da alcuni consiglieri comunali alla Giunta, sulla sorte del complesso e sulla possibilità di recuperarne gli alloggi, ormai in stato di abbandono, per destinarli a nuovi residenti, non ha ricevuto risposta.
La Giunta comunale ha spesso presentato il social housing come soluzione per continuare a risiedere nella Venezia storica. Si tratta dell’accesso con affitto ridotto ad alloggi pubblici per chi ha un reddito superiore a quello richiesto per la casa popolare, ma insufficiente per affittare sul libero mercato. Gli affitti del social housing vanno dai 200 euro al mese per un mini appartamento ai 650 circa per un trilocale, per nuclei con reddito tra i 6.000-8.000 e i 25.000 euro di ISEE, l’Indicatore della situazione economica equivalente. Tra il 2018 e dicembre 2022, il Comune ha emesso 11 bandi, per un totale di 134 alloggi assegnati tra isole e terraferma. Per Giacomo Maria Salerno, che nel 2020 ha pubblicato il libro Per una critica dell’economia turistica. Venezia tra museificazione e mercificazione, le misure di housing sociale sono però insufficienti e rispecchiano lo scarso investimento dell’amministrazione nelle politiche per la casa.
Tra chi vorrebbe accedere al social housing c’è Patrizia Zaniol, che a quasi sessant’anni vive con una pensione di invalidità in uno degli alloggi occupati del complesso delle Case Minime. Zaniol, che riempie le giornate con piccoli lavori artigianali, vorrebbe tornare a vivere nell’isola del Lido, dove è nata e dove vive una parte di famiglia, lasciando così la Giudecca, dov’è approdata dopo aver dormito su divani di amici e parenti.
«I giudechini no me piase», scherza la donna, ricalcando un antico pregiudizio della Venezia benestante verso gli abitanti di un’isola più povera, popolare e fredda del resto della città insulare, tanto da essere soprannominata isola delle foche. Il suo reddito, spiega Zaniol, è però troppo basso per fare domanda di social housing e da anni attende l’assegnazione di un alloggio pubblico dell’Ater, l’azienda regionale per l’edilizia pubblica. «A causa degli impieghi precari nel mercato turistico, con salari bassi e pochi diritti, in molti sono tagliati fuori sia dal social housing sia dall’edilizia popolare, le cui graduatorie scorrono troppo lentamente», sostiene Chiara Buratti dell’Assemblea Sociale per la Casa.
Sestiere di Castello: il progetto per trasformare l’ex caserma in un coworking
A qualche fermata di vaporetto dalla Giudecca, il sestiere di Castello – il più occidentale del centro storico – è considerato come una delle poche zone che ancora sopravvivono allo spopolamento e a un’espansione turistica che ha cambiato il volto di Venezia. In fondo a via Garibaldi, l’unica via di tutta la città acquatica, e alla successiva Fondamenta di Sant’Anna, dove sopravvive una delle due barche di frutta e verdura rimaste in città, l’isola di San Pietro in Castello vive a ritmi più lenti, apparentementi lontani dalla frenesia del turismo.
Ferma sul ponte di Quintavalle, uno dei due collegamenti pedonali per accedere all’isola, Cinzia Dalboni scherza: «Se vogliono mandarci via da qui, faremo le barricate». Dalboni è tra i pochi abitanti, otto famiglie in tutto, dell’ex caserma Sanguinetti, un enorme complesso, semi-abbandonato, la cui storia si intreccia con le origini di Venezia. Per lei e per gli altri residenti della struttura, che hanno tra i 50 e gli 87 anni, il legame con questo lembo di terra, su cui gli archeologi situano le origini di Venezia – attorno al V secolo dopo Cristo – potrebbe però interrompersi presto. Nell’ottobre 2021 la giunta comunale ha infatti approvato una delibera che dava parere positivo a un progetto di valorizzazione dell’ex caserma, già convento e sede del Patriarcato veneziano, e dell’adiacente monastero di Sant’Anna, abbandonato da anni, per trasformarli in spazi di coworking, foresteria, centro benessere, ristorante e di servizi per la convegnistica.
A proporre il progetto è stato il gruppo Artea, holding francese dell’energia e dell’immobiliare, diretta e controllata dall’architetto Philippe Baudry, che ha crescenti interessi nella messa a valore di immobili di pregio in Italia, tramite il project financing: l’ente pubblico concede l’utilizzo di strutture di valore storico-artistico, in cambio di un intervento di recupero, manutenzione e gestione a carico del privato, che rientra dell’investimento nel corso degli anni.
Artea lo ha già fatto a Firenze, garantendo un investimento di 31,5 milioni di euro per riqualificare l’ex monastero di Sant’Orsola, progetto approvato dal Comune toscano nel 2021. Abbandonato da decenni, il centralissimo complesso trecentesco dovrà ospitare spazi di coworking, atelier d’artista, servizi di ristorazione e fitness, ludoteca e foresteria.
La società francese entra nelle cronache veneziane con una delibera comunale dell’ottobre 2021, con cui la Giunta dice di aver acquisito un primo parere favorevole anche da parte dell’Agenzia del Demanio, proprietaria dell’ex caserma, in vista di un trasferimento del bene al Comune, all’interno di una richiesta di federalismo demaniale culturale, ovvero la cessione gratuita di beni dello Stato agli enti locali, previa approvazione di un accordo di valorizzazione, con l’obiettivo di garantire la manutenzione e l’uso culturale delle strutture.
La delibera sul progetto che potrebbe sfrattare gli abitanti dell’ex caserma è un atto d’indirizzo, a cui dovrebbe seguire un dibattito in Consiglio comunale, che ancora non c’è stato. Per Dalboni e gli abitanti del complesso, che insieme a altri cittadini dell’isola hanno dato vita a un comitato, Salviamo San Pietro e Sant’Anna, è però un segnale chiaro di una volontà di espellere cittadini, cedendo la zona al mercato turistico. Secondo il ricercatore Giacomo Maria Salerno, «il caso di San Pietro riassume le follie della situazione veneziana di oggi: il Comune in precedenza ha fatto una delibera blocca-alberghi, ma poi apre a una speculazione alberghiera, chiamandola in altro modo, dentro un contesto di crisi abitativa».
Occupanti in casa propria, cronache dall’ex caserma Sanguinetti
Entrati nel chiostro rinascimentale, dove i panni stesi si stagliano sul rosso ocra dell’intonaco novecentesco, Cinzia Dalboni racconta che «tra queste mura sono passati religiosi, militari, esuli istriani e ora siamo rimasti noi, otto famiglie delle oltre trenta che ci abitavano quando sono arrivata nel 1978, al seguito di mia madre». L’ospite più celebre della ex caserma, ricorda Dalboni, sembra essere stato il cantautore Sergio Endrigo, nativo di Pola e qui sfollato da adolescente, appena finita la Seconda guerra mondiale.
Dalboni vive in un appartamento che si affaccia sul chiostro, restaurato a spese sue e del marito, «con 100 milioni di vecchie lire e l’autorizzazione del Comune e della Soprintendenza, dato che siamo in un’area sottoposta a vincolo storico-artistico», spiega.
La sua presenza, come quella degli altri abitanti, ha dei contorni giuridici difficili da definire: negli anni ‘50, il nonno di Dalboni si è visto assegnare un alloggio nel complesso in quanto lavoratore della Marina Militare presso il vicino Arsenale, e dal 1985 il Demanio ha dato concessioni pluriennali agli abitanti e ai loro familiari, in cambio del pagamento di un canone mensile. Concessioni temporanee che sono state sempre rinnovate, almeno fino al giugno 2022, quando i residenti hanno ricevuto una lettera del Demanio che li informava della necessità di «liberare il bene», per provvedere alla sua «riqualificazione», fissando al 2024 – ovvero a tre anni dopo un’autorizzazione interna da parte del Ministero della Cultura – il tempo limite per lasciare il compendio.
Nella comunicazione, Dalboni e gli altri residenti sono definiti occupanti. Una richiesta simile è arrivata ai titolari dello storico cantiere navale De Pellegrini, che separa l’ex caserma dall’acqua.
La lettera del Demanio e la delibera comunale hanno spinto i residenti a reagire, creando legami con quella parte di Venezia che vede nella “turistificazione” un attacco alla residenzialità. Una serie di richieste di accesso agli atti al Comune di Venezia e all’Agenzia del Demanio ha permesso di ricostruire la vicenda e ottenere più dettagli sul progetto presentato dal gruppo Artea. Nel testo della delibera e nei documenti ottenuti da IrpiMedia, emerge come Artea si fosse impegnata a investire 25,7 milioni di euro per ristrutturare i due complessi adiacenti della ex caserma e del convento di Sant’Anna, a fronte di una concessione d’uso di 70 anni e senza alcuna spesa a carico del Comune.
Nella proposta di Artea, l’ex caserma diventerebbe uno spazio di coworking e «ospitalità d’impresa», con orti urbani e servizio di ristorazione, destinati soprattutto al «turismo d’affari». Il documento segnala anche come «in particolari periodi dell’anno (estate, grandi ricorrenze ed eventi, etc.) la proposta di utilizzo a foresteria si possa rivolgere anche al mercato turistico, consentendo l’equilibrio economico».
Per Artea, che non ha risposto a una serie di domande inviate da IrpiMedia, il progetto risponde «alle esigenze dei veneziani, delle imprese, delle start-up, dei lavoratori indipendenti, delle associazioni culturali […] rafforzando l’appeal internazionale di Venezia e il dinamismo del quartiere». Per il comitato Salviamo San Pietro e Sant’Anna, al contrario, si tratta di un’ulteriore svendita di uno dei pochi territori cittadini non ceduti al turismo.
Giorgio Gatto, residente della ex caserma e infermiere in pensione, sostiene che se il progetto della società francese sarà portato avanti, «con i suoi 70 posti letto, stravolgerà la zona e noi, con pensioni da dipendenti o parastatali, saremo costretti a lasciare la laguna».
Secondo il comitato locale, come per alcuni esponenti politici veneziani, sono due gli aspetti discutibili: l’apertura al mercato turistico e la conseguente sottrazione di spazi ai residenti, e l’assenza dell’elemento culturale, requisito fondamentale per la cessione di beni dall’Agenzia del Demanio agli enti locali. Nel progetto presentato da Artea, appena il 6,8% della superficie edificata dell’ex caserma è considerato area comune e dunque accessibile a chi vive nel quartiere, mentre si ipotizza di aprire parzialmente al pubblico il giardino. Il consigliere comunale Giovanni Andrea Martini, del gruppo Tutta la Città Insieme, ricorda poi come l’assenza di riferimenti culturali avesse già portato il ministero dei Beni Culturali a bocciare un precedente programma di valorizzazione del complesso, presentato nel 2011.
«Qui ci sono vincoli archeologici che gli assessorati competenti hanno mostrato di disprezzare, almeno quanto lo spirito di comunità, la convivialità unica di questo lembo di città», aggiunge Martini.
I numeri dello spopolamento di Venezia
Se sul legame tra residenza e turismo l’opinione pubblica cittadina sembra spaccata in due, ci sono dati su cui nessuno ha dubbi: la Venezia insulare si sta spopolando molto più rapidamente del resto del Comune, con cifre molto più alte rispetto alla tendenza regionale e a quella nazionale. In vent’anni, dal 2003 ai primi mesi del 2023, i residenti sono scesi da 64 mila a circa 49.700. Nello stesso periodo Mestre e Marghera, i due poli abitativi maggiori del Comune di Venezia, entrambi sulla terraferma, hanno mantenuto una popolazione stabile, mentre l’area metropolitana veneziana è passata da 271 mila a 253 mila abitanti.
Secondo un articolo della rivista scientifica Nature, pubblicato nel 2020, a fine 2019 nella Venezia insulare c’erano oltre 49 mila letti in strutture ricettive – una crescita del 500% rispetto al 2008 – a fronte di una popolazione residente di poco più di 52 mila abitanti. «In una progressiva deviazione degli assetti immobiliari, quasi metà dei letti della città sono dedicati ai turisti», scrivono gli autori della ricerca.
Per il ricercatore Giacomo Maria Salerno, rappresentante di Ocio, dati come questi illustrano il nesso tra affitti turistici e spopolamento: «L’esodo degli ultimi anni è evidentemente legato all’economia di piattaforma, che rende non competitivo l’affitto di lungo termine ai residenti», spiega.
Per approfondire
Il dominio delle piattaforme
Le città di tutto il mondo sono in piena trasformazione a causa della presenza delle piattaforme, strumenti da cui si trova una casa in affitto, si ordina la cena oppure si guarda una serie. Stanno modificando il tessuto urbano e il sistema economico delle città. Ne parliamo sulla serie #LifeIsAGame
A fargli eco è Filippo Celata, ordinario di geografia all’università di Roma La Sapienza, che sottolinea come «a livello statistico il 90% del recente spopolamento di Venezia si può spiegare con la diffusione degli affitti brevi». I dati raccolti dall’Osservatorio, attingendo a fonti comunali e regionali, mostrano una crescita repentina dei posti letto nel settore extra-alberghiero, in prevalenza bed and breakfast e appartamenti privati, nella città insulare: dai 16 mila del 2016 agli oltre 40 mila del 2020.
Ocio incrocia i propri dati con quelli di Inside AirBnb, un progetto a cavallo tra attivismo e data journalism, che usa programmi open source per monitorare l’attività di AirBnb in decine di città del mondo, simulando delle richieste di ospitalità sulla piattaforma della società californiana. Secondo Inside AirBnb, a dicembre 2022 sul sito di AirBnb c’erano 7.275 annunci relativi al comune di Venezia. Il 77% si riferisce a appartamenti interi e il 99,6% riguarda affitti a breve termine, ovvero per meno di 30 giorni.
Il monopolio di Airbnb a Venezia
Dei 7.275 annunci su Airbnb a Venezia, quasi il 70% è riferibile a gestori che mettono a profitto più di una struttura. Società come City Apartments (111 annunci) e Views on Venice (84 annunci) sono host e check-in managers che offrono ai proprietari un pacchetto gestionale completo
Numeri simili a quelli di Inside AirBnb sono registrati dal portale di AirDNA, società statunitense che si presenta come leader nel fornire «dati e analisi per l’industria degli affitti brevi che vale 140 miliardi di dollari». Per AirDNA, che registra gli annunci attivi su AirBnb e su Vrbo, piattaforma di Expedia Group, a inizio 2023 erano 7.800 gli annunci attivi nel Comune di Venezia. In drastico calo rispetto ai numeri precedenti alla pandemia di Covid-19 – 11,380 annunci a fine 2019 – ma in crescita rispetto al 2021.
Le indecisioni della giunta
A fine 2021, Ocio e altre organizzazioni cittadine hanno dato vita ad Alta Tensione Abitativa, campagna di pressione e comunicazione imperniata attorno a una proposta di legge nazionale per regolamentare gli affitti turistici brevi, che anticipa alcune delle norme poi introdotte nel primo Decreto Aiuti tramite l’emendamento introdotto da Nicola Pellicani. La proposta di legge chiede di introdurre un sistema di autorizzazioni all’affitto turistico breve nei Comuni ad alta tensione abitativa, definizione nata da una legge del 1997. Si prevede una serie di restrizioni, da introdurre su base volontaria. Tra queste, un tetto del 20% di alloggi ad uso turistico sul totale per ogni zona del Comune.
A Venezia, organizzazioni locali come Bre-Ve, AGATA (Agenzie che Gestiscono Appartamenti Turistici Associate) e ABBAV hanno attaccato sia la proposta di legge nazionale sia l’emendamento di Pellicani. La presidente di ABBAV Ondina Giacomin ha spiegato a IrpiMedia che l’affitto breve risponde anche alla mancanza di tutele per i proprietari: «Non siamo incentivati ad affittare a un cittadino normale, perché se degli abusivi mi occupano casa poi non posso mandarli via», dice.
Per approfondire
Le mani sulla città
Chi sono i veri proprietari delle città? Chi possiede la maggior parte degli alloggi? #CitiesForRent è un progetto collaborativo che indaga su come cambiano le città d’Europa
Se ABBAV, nata nel 2003, rappresentata centinaia di gestori di strutture non alberghiere in tutto il Veneto, associazioni più giovani come AGATA e Bre-Ve sembrano dar voce a un numero limitato di agenzie e host manager, che gestiscono però centinaia di alloggi nella Venezia insulare. Tra i consiglieri di Bre-Ve ci sono per esempio i titolari di Red House Company, a cui fanno capo una cinquantina di “immobili di pregio” a Venezia, ma anche la community leader per Venezia di AirBnb, Ilaria Taffelli. La portavoce dell’associazione, Elena Fiorani, gestisce 28 appartamenti nella città insulare tramite la società Venice Actually. L’associazione AGATA ha tra i fondatori le agenzie VeniceAgency.com, tra i maggiori property manager cittadini, LuxRest Venice (29 alloggi elencati sul sito), Ca’ D’Oro Immobiliare (60 alloggi) e Mitwohnzentrale Venezia Alloggi Temporanei (29 alloggi). Secondo Giacomo Maria Salerno, «le piattaforme hanno creato un mercato e ora lavorano più o meno direttamente come lobby, per combattere norme regolatrici del mercato».
Il caso di Venezia non è evidentemente unico: buona parte dei centri storici delle città turistiche europee si sta spopolando. Nella laguna però, l’insularità, la concentrazione di beni culturali e di opportunità di mercato, sembrano accelerare un processo di esodo lungo e stratificato.
Il professor Celata, che ha studiato l’impatto della locazione turistica breve in tre città italiane, spiega che «mentre quasi tutte le città turistiche europee hanno introdotto restrizioni alla locazione turistica breve, l’Italia manca ancora all’appello». «Ci sono fior di studi, analisi ed esempi concreti su come cercare di ripopolare i centri storici limitando gli effetti del turismo di piattaforma – dice Celata – ma nessuno vuole ascoltare: né il sindaco di Venezia, né i vertici politici nazionali».
Nel corso degli ultimi anni, il sindaco Luigi Brugnaro ha rilasciato dichiarazioni contrastanti.
In un tweet del 2019, anno di presenze turistiche da record, il sindaco proponeva misure più stringenti di quelle poi introdotte con il Decreto Aiuti, parlando di un tetto di 100 giorni all’anno per la locazione turistica breve. Nello stesso anno, la Giunta comunale appoggiava un appello di dieci città turistiche europee per mettere un tetto alla locazione breve. D’altra parte già nel 2019, al termine del primo incarico di Brugnaro, il Consiglio comunale approva un regolamento per il “contributo d’accesso”, una sorta di tassa per chiunque entri nella Venezia lagunare, rilanciata ai primi di luglio del 2022 con lo scopo di regolare l’accesso di visitatori giornalieri. L’entrata in vigore del contributo, prevista per gennaio 2023, è rimandata per una serie di motivi, di carattere tecnico e politico. Non ultimo, un’istruttoria avviata dal Garante nazionale per la protezione dei dati personali, ancora aperta al momento della pubblicazione di questo articolo. Nel Documento unico di programmazione per il 2022, la Giunta comunale inseriva tra le attività previste la «promozione, nei confronti del Governo, di modifica alla legislazione volta a limitare la diffusione incontrollata degli affitti turistici, a favore della residenza.
Fino all’estate del 2022, insomma, Brugnaro e la sua giunta si dicevano favorevoli a misure restrittive.
Le possibilità offerte dall’emendamento Pellicani sembrano però diluirsi a partire dalle elezioni politiche del settembre 2022, a cui Brugnaro partecipa guidando, a livello nazionale, la lista Coraggio Italia. Prende solo il 3,6%, mentre vince Fratelli d’Italia, partito che si era opposto all’emendamento Pellicani. Il risultato impatta anche sull’orientamento della giunta veneziana: a inizio dicembre 2022, Brugnaro accenna infatti a un nuovo regolamento comunale che non prevederebbe alcuna limitazione temporale alle locazioni brevi ma l’obbligo, per i locatari, di «spiegare agli ospiti come vivere in città seguendo le regole».
Nel frattempo, tra l’annuncio prenatalizio del sindaco e la fine del febbraio 2023, le isole della Venezia storica perdono più di 120 residenti.
Foto di copertina: Gondole lungo il canale della Giudecca – Daniela Sala
Editing: Lorenzo Bagnoli
Infografiche: Lorenzo Bodrero
Con il sostegno di: Journalismfund