12 novembre 2021 | di Lorenzo Bagnoli
Adriano Cario resta un senatore della Repubblica italiana. La sua posizione è stata convalidata dal voto dei colleghi presenti alla seduta pubblica della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, l’organismo parlamentare che interviene sia quando ci sono elezioni contestate, sia quando una procura della Repubblica chiede l’arresto di un senatore. A votare per la convalida di Cario la sera del 10 novembre, secondo le prime indiscrezioni pubblicate dai giornali degli italiani all’estero, sono stati i senatori di Lega, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle. Contrari alla convalida invece Partito Democratico e Italia Viva.
Alberto Cario, indagato anche dalla Procura di Roma per brogli elettorali, è entrato in parlamento con l’Unione Sudamericana Emigrati Italiani (Usei), movimento politico fondato dal deputato italo-argentino Eugenio Sangregorio. In questi anni i candidati esclusi del Partito Democratico – Fabio Porta al Senato e Alberto Becchi alla Camera – hanno raccolto diverse prove di anomale concentrazioni di voti per l’Usei nel collegio elettorale che fa capo al consolato di Buenos Aires, uno dei più importanti per il voto degli italiani all’estero.
L’inchiesta
Elezioni italiane 2018, sotto indagine per presunti brogli il voto in Argentina
I parlamentari Adriano Cario e Eugenio Sangregorio sarebbero stati eletti alla Camera e al Senato grazie a voti contraffatti. Su Cario deciderà la Giunta delle elezioni. Intanto la procura di Roma indaga
Porta è riuscito a portare il caso di Cario di fronte alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, la quale ha istituito un Comitato, che ha svolto le sue indagini. Un elemento fondamentale è stato fornito dalle perizie calligrafiche svolte sia dalla magistratura, sia dal Comitato della Giunta grazie alle quali sono stati individuati, in particolare su due sezioni, gruppi di schede con preferenze per Cario espresse rispettivamente da dieci e cinque mani.
Un elemento fondamentale è stato fornito dalle perizie calligrafiche svolte sia dalla magistratura, sia dal Comitato della Giunta grazie alle quali sono stati individuati, in particolare su due sezioni, gruppi di schede con preferenze per Cario espresse rispettivamente da dieci e cinque mani
Secondo i conteggi di Porta, l’elezione di Cario è stata decisa da circa 10mila voti. In particolare si contesta il voto di otto delle trentadue sezioni della città di Buenos Aires dove le preferenze a favore di Cario sono state di oltre il 90%. A queste perizie si sono sommate quelle ordinate dai pm della Corte d’appello di Roma, che ha la competenza territoriale per le indagini che riguardano il voto degli italiani all’estero.
Le ragioni della difesa
Il senatore Alberto Cario in Giunta è stato difeso dall’avvocato ed ex parlamentare Maurizio Paniz. Nella seduta pubblica, Paniz ha contestato in pratica quattro punti: i tempi del ricorso contro l’elezione di Cario; il mancato contraddittorio sugli indizi di contraffazione delle schede che impedisce di considerarle delle prove per un procedimento penale; il numero esiguo di schede contestate e l’uso del criterio della probabilità come chiave per contestare l’esito delle elezioni.
In punto di diritto, Paniz sostiene che il candidato Porta aveva venti giorni di tempo, passate le elezioni del 4 marzo 2018, per contestare l’elezione di Cario. La contestazione invece è avvenuta solo il 16 aprile successivo. La replica è che i ritardi sono dovuti ai riconteggi delle schede effettuati dalla Corte d’appello di Roma, con la quale i ricorrenti hanno avuto un lungo contenzioso che poi si è risolto con il voto del Tar del Lazio. In merito al procedimento penale, Paniz sottolinea che l’assistito Cario non ha ancora ricevuto alcuna informazione di garanzia, l’atto con cui una procura notifica le indagini in corso, a riprova – ha sostenuto – della debolezza degli elementi indiziari. In più, ha detto Paniz, «il ricorrente (Porta, ndr) si basa su una serie di prove assunte nell’ambito del procedimento penale primo fra tutti le prove cosiddette grafiche, terreno di prova tra i più discutibili». Visto che gli indizi per diventare prove devono passare dal dibattimento, secondo Paniz non possono essere considerate valide ai fini della discussione in Giunta.
La storia dell’avvocato Maurizio Paniz, da Ruby alla fondazione Italiani nel mondo e i precedenti voti della Giunta
Maurizio Paniz è stato in Parlamento con il Popolo delle Libertà, vecchio prodotto politico dell’Italia berlusconiana, fino al 2013. Ha avuto un periodo di particolare notorietà come fedelissimo di Silvio Berlusconi all’inizio del “caso Ruby”, così battezzato dal nome della ragazza marocchina minorenne che ha frequentato le cene alla villa di Arcore. Il 3 febbraio 2011 a Montecitorio Paniz ha sostenuto che secondo il leader del suo partito Ruby era la nipote di Hosni Mubarak, allora presidente dell’Egitto. Era stata la scusa accampata inizialmente dall’ex presidente del Consiglio per allontanare i sospetti che la ragazza fosse una escort che partecipava alle «cene eleganti» di Villa San Martino, la residenza di Berlusconi. Tra le altre difese “politicamente esposte” di Paniz ci sono altri personaggi riconducibili al mondo politico berlusconiano tramontato dieci anni fa.
I nomi più rilevanti sono Emilio Fede, giornalista oggi 90enne condannato in via definitiva nel secondo procedimento riguardo le cene di Arcore per favoreggiamento della prostituzione, e Valter Lavitola, faccendiere condannato in via definitiva per tentata estorsione nei confronti di Berlusconi nel 2014. Tra i servizi offerti da Lavitola a Berlusconi per i quali l’ex direttore de L’Avanti! voleva farsi pagare c’era anche “l’acquisto” di Sergio De Gregorio, senatore pagato da Lavitola tra il 2006 e il 2008 affinché lasciasse il gruppo parlamentare con cui era stato eletto, Italia dei Valori (allora centrosinistra). Alla fine De Gregorio ha patteggiato 20 mesi di reclusioni per corruzione in atti d’ufficio. La Cassazione nel 2018 invece ha decretato la prescrizione per Silvio Berlusconi, coimputato nel processo.
Con il passaggio al gruppo di Berlusconi nel 2006, Sergio De Gregorio ha ricostituito anche Italiani nel Mondo, fondazione nata sei anni prima e in seguito diventata movimento politico alleato di Forza Italia. La coincidenza storica è che due membri della Fondazione sono stati indagati per brogli elettorali dopo il voto del 2008. Il primo è stato Nicola De Girolamo, delegato per l’Europa della Fondazione Italiani nel Mondo: la Giunta per le elezioni del Senato gli aveva contestato all’epoca il certificato di residenza all’estero. Più avanti la Direzione distrettuale antimafia gli aveva contestato l’associazione mafiosa e l’elezione con il voto procurato dalla ‘ndrangheta (cosca Arena) a Stoccarda. La Giunta aveva alla fine votato contro la rimozione di De Girolamo che nel 2015 ha però patteggiato una pena a cinque anni di reclusione per riciclaggio di denaro della cosca.
L’altro caso, invece, riguarda un eletto in Argentina, il delegato per l’America Meridionale di Italiani nel Mondo Esteban Juan Caselli, “Cacho” per gli amici, o detto “O Monije nigro” (il Monaco nero) per i suoi rapporti con il Vaticano. Secondo le accuse, la truffa sarebbe avvenuta direttamente dentro i locali dell’ambasciata d’Italia, con 22 mila schede compilate dalla stessa calligrafia. La Procura di Roma aveva aperto un fascicolo, di cui però si sono perse le tracce. Silvio Berlusconi, intercettato in uno dei processi a suo carico, lo ha definito «pericolosissimo». In effetti in Argentina è stato accusato di traffico d’armi insieme a Carlos Menem, ex presidente poi condannato nel 2013, sotto il quale Caselli è stato nominato ambasciatore presso la Santa Sede. Del procedimento aperto nei confronti di Caselli per i brogli del 2008 si sono ormai perse le tracce.
Nel merito, ha riferito Paniz, le schede che secondo la perizia dell’accusa sono state falsificate all’interno di otto sezioni sono troppo poche per poter mettere in discussione l’esito dell’intera votazione. «Il ricorrente – ha detto l’avvocato – dimentica che su questa vicenda c’è stato un originario accertamento della Corte d’appello che ha deciso di annullare solo sette schede elettorali. È un dato che non può essere dimenticato». Di fondo, l’avvocato ha contestato l’idea che l’esito dei controlli su un piccolo campione possa essere allargato «in modo probabilistico» all’intera votazione. Quindi, in sostanza, ha chiesto che le verifiche siano fatte su tutte le schede elettorali in modo che la prova dei brogli sia «offerta in maniera piena, univoca e sicura».
La difesa di Paniz però secondo i legali di Porta non tiene conto del tempo: per poter arrivare alla discussione di fronte alla Giunta in una seduta pubblica sono già passati oltre tre anni e la legislatura volge ormai al termine. I tempi della magistratura non sono nemmeno immaginabili e intanto i dubbi sulla legittimità del processo elettorale all’estero crescono, visti i precedenti storici.
L’iter decisionale sulla posizione di Cario, per altro, non è nemmeno finito: la decisione della Giunta infatti deve essere ratificata dal Senato in aula, che potrebbe teoricamente anche ribaltare l’esito. Finora, come insegnano i precedenti, non è una circostanza che si è verificata.
Il problema del voto all’estero
È evidente che il voto all’estero, in particolare nella circoscrizione dell’America Latina, non funziona. Un primo motivo sembra essere di natura storica: tra gli elettori delle ripartizioni in cui gli italiani sono emigrati in massa a metà del Novecento c’è una fetta importante che vota per ius sanguinis, quindi per una cittadinanza acquisita, senza che ci sia alcuna reale frequentazione dell’Italia. Secondo Federico Anghelé, analista e attivista che dirige The Good Lobby Italia, organizzazione non profit che studia e promuove la partecipazione ai processi democratici, ci sono alte probabilità che in questi casi, più che in altri, «il voto sia disinformato e probabilmente disinteressato dato che i legami sono spesso impalpabili con l’Italia».
Questa considerazione si inserisce in una più generale discussione «sul diritto di voto all’estero e su come lo si ottiene». Discussione di cui in Parlamento però non c’è traccia, nonostante dalla prossima legislatura il numero dei parlamentari si ridurrà, comportando delle inevitabili modifiche nel sistema della rappresentanza dei collegi elettorali. A questo si aggiunge il tema del voto per posta, meccanismo spesso contestato per quanto impiegato anche in altri Paesi del mondo. «Probabilmente è la combinazione di fattori storico-culturali con le modalità di voto per posta ad aver creato certe situazioni», commenta Anghelé.
Il tema più in generale, al di là delle ombre di brogli, riguarda la verifica e il controllo sul potere dei parlamentari, dai loro frequenti conflitti di interesse fino ai casi limite del seggio conquistato con presunti brogli elettorali. Una delle criticità sta nel fatto che gli organismi che sorvegliano i parlamentari sono composti da colleghi. Dal punto di vista di The Good Lobby, l’approccio da adottare in questa materia dovrebbe essere lo stesso seguito dal Parlamento europeo: a settembre Strasburgo ha proposto l’istituzione di un organismo composto da nove membri indipendenti (tre selezionati dalla Commissione, tre eletti dal Parlamento e tre nominati di diritto tra gli ex giudici della Corte dei conti) allo scopo di valutare almeno casi di corruzione e conflitto di interessi.
«L’organismo etico – scrive The Good Lobby sul suo sito – dovrebbe essere composto da nove membri indipendenti e sarà in grado di avviare proprie indagini, pubblicare raccomandazioni senza chiedere il permesso al presidente. In questo modo la supervisione sui casi di corruzione, conflitti d’interessi e porte girevoli sarà seria e indipendente». Almeno questa è la speranza, visto che ad oggi le sanzioni comminate dai parlamentari ai loro colleghi è pressoché zero, in Italia, in Europa e non solo.
Editing: Luca Rinaldi | Foto: Palazzo Madama – rarrarorro/Shutterstock