30 Giugno 2020 | di Lorenzo Bagnoli
Quando nel febbraio del 2017 l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti ha siglato un accordo di collaborazione con il Governo di accordo nazionale libico di Fayez al-Serraj, l’obiettivo dichiarato era ottenere la stabilizzazione della Libia e la gestione dei flussi migratori. Il patto prevedeva la fornitura di mezzi, armamenti e addestramento in cambio dell’impegno a intercettare i migranti. All’epoca in Libia si combatteva ancora per procura: l’Italia sperava di ottenere, con Serraj, il dominio sul Paese; la Francia pensava a finanziare Haftar (anche se non ci sono documenti che lo provino); il Qatar finanziava Serraj, mentre gli altri emirati del Golfo finanziavano il rivale. Era una guerra combattuta da altri, però. Gli attori esterni pagavano perché fossero altri a sporcarsi le mani e a commettere crimini che hanno per altro fatto aprire indagini della Corte penale internazionale.
Poi sono entrate nel conflitto Russia e Turchia. Per quanto continui a smentire per vie ufficiali, Mosca ha schierato dal 2019 gli uomini delle milizie private del Wagner Group per combattere insieme ad Haftar, racimolando altri mercenari dalla Siria. Nel 2020, Ankara ha risposto scavalcando l’Italia come interlocutore privilegiato di Serraj, diventando il primo fornitore di armamenti, droni compresi. In questo contesto c’è pure la minaccia dell’Egitto di schierare i propri uomini, sempre a sostegno di Haftar.
Il 24 giugno il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è stato a Tripoli per una visita istituzionale che come risultato, dice la Farnesina, ha ottenuto l’annuncio della ridiscussione del memorandum del 2017. Tuttavia il memorandum italiano ha legittimato le milizie libiche e ha riconosciuto quanto il governo di Tripoli ne sia dipendente. E questa è una macchia indelebile, che nessuna ridiscussione potrà mai cancellare. Da quando gli uomini della Brigata Shuhada al-Nasr sono nella lista delle persone sanzionate dall’Onu, in Libia si vocifera dell’allontanamento del capo dei guardiacoste di Zawiya Bija dal mare, che fino adesso non è chiaro se sia mai davvero avvenuto.
Quel che di certo non si è verificata è la chiusura della prigione dei migranti di Zawiya, gestita dalla Brigata, o la messa sotto accusa, oltre Bija, del leader Mohammed Koshlaf, colui il quale vanta appoggi anche tra i parlamentari che sostengono Serraj. Così, ora che si prepara la negoziazione degli accordi, anche Bija, come notato su Twitter dalla collega Nancy Porsia, ha detto la sua via Facebook. Ha ricordato a chi nel Gna promette di allontanarlo dal mare che conosce tutti i nomi di coloro che sono coinvolti quanto lui nei traffici.
Se Haftar è il generale dei bombardamenti sulle popolazioni civili, Serraj è il governo sostenuto dai trafficanti. Anche per colpa dell’Italia.