Antonella Mautone
Fabio Papetti
Giovanni Soini
Un boato squarcia il silenzio notturno. Sono le prime ore del 25 aprile 2019, quattro anni fa, quando un ordigno esplode davanti alla serranda della Pecora Elettrica, una nota libreria di Centocelle, quartiere del quadrante Est della capitale. In via delle Palme, all’altezza del civico 158, gli abitanti del quartiere si radunano mentre la scientifica effettua i primi rilievi. L’episodio è di una violenza inspiegabile per Danilo e Alessandra, proprietari del locale, che dichiarano di non aver ricevuto nessuna richiesta di pizzo né di aver mai litigato con nessuno in zona.
In un primo momento, data la ricorrenza del giorno della Liberazione, gli investigatori non escludono la pista politica. Quella pista, però, non porta a niente: nessuno rivendica l’aggressione e nessuno compare nella lista dei sospetti. Le indagini continuano per alcuni mesi, senza produrre risultati concreti, fino a quando, in una notte di ottobre dello stesso anno e a meno di venti metri dalla ex-libreria, scoppia un altro incendio: va a fuoco la Pinseria Cento55, il bistrot che, come La Pecora Elettrica, affaccia sul parco Don Cadmo Biavati. Qualcuno ha versato del liquido infiammabile nel locale attraverso la serranda e ha dato fuoco.
Da subito, i residenti puntano il dito contro chi gestisce lo spaccio nel parco, che sarebbe interessato a tenere al buio quella strada, che già è piuttosto oscura, con i pochi lampioni rotti o non funzionanti. La teoria più diffusa fra gli abitanti è che qualcuno avrebbe voluto “spegnere” la Pinseria Cento55 e La Pecora Elettrica, unici locali della zona a restare aperti dopo le 20 in una via in cui, a quanto affermano i residenti, la sera vige una sorta di coprifuoco.
La scia degli incendi però, non si ferma. La notte tra il 5 e il 6 novembre, due giorni prima dell’attesa riapertura, La Pecora Elettrica va di nuovo a fuoco, sei mesi dopo il primo rogo. Il colpo, per la cittadinanza intera che si era stretta attorno ai proprietari del locale, e aveva partecipato a un crowdfunding di successo per ridare vita alla libreria, è forte e inatteso.
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Questa volta non sono solo i residenti a denunciare il fatto, ma anche il presidente del municipio Giovanni Boccuzzi e alcune testate nazionali. Gli abitanti del quartiere scendono in piazza e protestano contro l’abbandono delle istituzioni. Pochi giorni dopo, però, brucia anche il vicino pub Baraka Bistrot, aggredito nella notte con lo stesso modus operandi degli altri due locali. Il proprietario aveva espresso solidarietà ai gestori della Pecora Elettrica.
Se dopo i primi episodi le teorie sui responsabili erano rivolte soprattutto allo spaccio nel parco, ora la faccenda appare più grave. Alcuni cittadini della zona ipotizzano la pista del racket. Centocelle è infatti diventata un nuovo avamposto della movida capitolina: grazie alla realizzazione della nuova metro sono arrivati giovani e tanti locali, che potrebbero essere nel mirino della criminalità organizzata.
Le voci del quartiere
Francesca, nome di fantasia usato per proteggere l’identità della testimone, era una frequentatrice della Pecora Elettrica, ed era presente l’ultima sera prima del rogo: «La sera del 24 aprile è stata inquietante. Dopo la chiusura, era una situazione molto tranquilla, eravamo all’esterno. Bruciarono la Pecora Elettrica mezz’ora dopo che avevano chiuso, quindi come a dire che stavano seguendo gli spostamenti e osservando i dipendenti. Il secondo incendio è stato molto violento, hanno buttato dentro un motorino rubato e gli hanno dato fuoco con la benzina».
Ad inizio novembre 2019, quando ormai la Pecora era pronta alla riapertura anche grazie alla raccolta fondi, non solo un rogo devastò nuovamente i locali, ma anche un’altra attività commerciale fu colpita: «Dopo qualche giorno bruciarono il Baraka, nonostante la zona fosse presieduta dalle forze dell’ordine e il bar che stava lì accanto fosse aperto h24» racconta Francesca. Sia il primo che i successivi attentati suscitarono un’ondata di indignazione e una mobilitazione senza pari, con l’organizzazione di diversi cortei che marciavano scandendo lo slogan “Combatti la paura, difendi il quartiere”. «È stato uno sfregio, come a dire che anche dopo la manifestazione che c’era stata non gliene fregava un c…, una dimostrazione di potenza…», conclude Francesca.
Gentrificazione a Centocelle
Centocelle si estende su un’area di oltre tre chilometri quadrati con quasi 60 mila abitanti. Nacque per ospitare il personale dell’aeroporto militare costruito nel 1909, oggi dismesso e trasformato in parco archeologico. Il quartiere si è poi sviluppato a partire dagli anni Venti del secolo scorso lungo la via Casilina, che rappresentava l’unico asse di collegamento insieme alla ferrovia Roma-Fiuggi-Frosinone. Terra di immigrazione operaia negli anni Cinquanta e Sessanta, è diventata nel tempo parte consolidata della città. Oggi, il territorio di Centocelle sta conoscendo un processo di gentrificazione, termine che intende generalmente la trasformazione di un quartiere popolare in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni. La parola deriva dall’inglese gentry, “piccola nobiltà”.
Centocelle sta subendo un rinnovamento generazionale e un fiorire di attività commerciali, soprattutto dall’apertura nel 2014 della metro C, terza linea della metropolitana di Roma che attraversa buona parte del quadrante est. La zona che prima era considerata marginale, oggi è centro di aggregazione e movida. Come conseguenza principale di questo processo, si assiste spesso all’aumento dei prezzi degli immobili, che in alcuni casi comporta l’allontanamento degli abitanti storici. «A Centocelle il 67% dei residenti sono proprietari degli immobili», afferma Luca Brignone, ricercatore urbanista presso la Sapienza di Roma, «quindi in realtà le valorizzazioni immobiliari a cascata non portano solo danni». Si tratta di un un fenomeno complesso, che spesso si imbatte nel tema più ampio della casa. Un problema non solo di Centocelle, ma del welfare italiano: «C’è un deficit strutturale legato al fatto che non si interviene sull’investimento della casa pubblica né sulla regolamentazione del mercato privato. Nell’enorme questione sociale legata al diritto all’abitare, si registra una totale assenza di politiche abitative in grado di trovare soluzioni». Nel frattempo gli sfratti continuano ad aumentare, a Roma come in molte altre città italiane. Nel 2021 a Roma sono state emesse 5.240 nuove sentenze di sfratto, +8,4% rispetto al 2020.
L’incendio doloso sembra la forma di attacco preferita nel quartiere, e continua anche nel 2020. A febbraio le fiamme danneggiano le serrande dell’Exodus Pub, un locale aperto in via delle acacie dal lontano 1996 e poi, nella notte tra il 10 e l’11 giugno, tocca alla palestra Haka Sport Italy, incendiata rompendo con una pietra una delle finestre ad altezza marciapiede e gettando del liquido infiammabile.
Dopo gli ennesimi attacchi il quartiere ha organizzato una «passeggiata di autodifesa popolare» per solidarietà nei confronti di Marco e Romina, gestori della palestra Haka. Dietro questa manifestazione c’è la LAC (Libera assemblea di Centocelle), nata durante un’assemblea pubblica organizzata subito dopo l’incendio del Baraka. Si tratta di un gruppo di coordinamento spontaneo che riunisce centri sociali autogestiti, abitanti e associazioni di quartiere. Una risposta dal basso a un’esigenza molto sentita, specialmente dopo la seconda ondata di roghi. Di fronte all’assenza della politica, che non ha saputo affrontare il problema se non aumentando in modo esponenziale (quanto episodico) i controlli di polizia per alcuni mesi, il quartiere ha cercato di costruire un’alternativa più duratura. La LAC, nata nel 2019, all’emergenza criminalità cerca una risposta nella mobilitazione attiva dei cittadini, attraverso la cura del quartiere, la distribuzione di beni alimentari per i più vulnerabili e appunto le passeggiate di autodifesa.
La manifestazione di giugno 2020 è nata per richiamare l’attenzione delle istituzioni, le stesse dalle quali i gestori della palestra confessano di sentirsi abbandonati.
Marco e Romina sostengono di non aver ricevuto richieste estorsive, ma sono diventati confidenti di altri che hanno a loro volta subito attacchi in varie forme. Nel 2020 hanno conosciuto l’ex gestore di un altro locale che ha dovuto vendere la sua attività alla ‘ndrangheta e hanno appreso di altri esercizi commerciali che si sono trasformati in punti di riciclaggio dei proventi ricavati dalle attività illecite della criminalità organizzata.
Un’altra fonte sentita da IrpiMedia, una commerciante del quartiere, racconta che in più di un’occasione nel suo locale si sono presentate delle persone di nazionalità italiana che volevano costringerla a mettere a disposizione il bagno della sua attività per lo spaccio, o per chiederle di acquistare il locale. La donna non si è fatta intimorire e li ha mandati via, ma con il tempo sono seguite altri atti di intimidazione, come il furto del lucchetto della saracinesca, la distruzione di un gazebo e del recinto, il taglio dei fili della luce (due giorni dopo il rogo del Baraka). Lei è convinta che molte attività commerciali nella zona siano nate proprio grazie all’aiuto di qualcuno che in cambio chiedeva il nulla osta per l’attività di spaccio.
Da anni esiste il Comitato del parco delle Palme che si prende cura dell’area verde e organizza diverse attività che cercano di coinvolgere bambini e anziani. I suoi membri spesso hanno raccontato di essersi sentiti “osservati” quando organizzano le loro riunioni all’interno del parco, probabilmente la presenza degli abitanti disturbava l’attività di spaccio. Dopo il primo rogo alla Pecora, i membri del comitato avevano deciso di affiggere uno striscione chiedendo i giochi per i bambini del parco. Quella stessa notte lo striscione e quindici recinzioni collocate lì dagli operai che stavano lavorando all’impianto di illuminazione sono stati distrutti.
Successivamente, a un membro del comitato è stata bruciata la macchina: come reazione, il comitato si è autosospeso, denunciando un ritardo nelle indagini e di come nemmeno durante le ultime elezioni per la corsa a sindaco si sia affrontato il tema della criminalità.
Anche le nuove aperture di diverse attività commerciali sarebbero legate al traffico di stupefacenti: una fonte di IrpiMedia ha raccontato di come le organizzazioni criminali “facilitino” le aperture delle attività, fornendo il capitale necessario. Questo avrebbe un triplice scopo: fidelizzare le persone che sono state “aiutate”, mantenendole sotto l’influenza costante dell’organizzazione, avere un luogo dove poter riciclare denaro e allo stesso tempo, se si tratta di un locale adatto alla movida, un’attività al cui interno può svolgersi lo spaccio. «Anche questa è una forma di pizzo» sostiene la fonte.
Oltre al riciclaggio e allo spaccio, per la nostra fonte alla base c’è una motivazione più profonda, di tipo culturale: «Nella nostra società esiste una borghesia mafiosa, i colletti bianchi che volontariamente agevolano le mafie, e poi c’è una zona grigia costituita da omertà, incuria, sciatteria, poca voglia di cambiare la realtà che ci circonda, che è più pericolosa della prima anche senza l’elemento di volontarietà». La gente ha paura, pensa che le mafie agiscano ancora attraverso la violenza per affermare il loro potere, quando in realtà «gli servi più da vivo che da morto perché fa più clamore se ti fanno qualcosa», è l’amara conclusione.
La locale di ‘ndrangheta nella capitale: il caso Alvaro-Carzo
«Non è che io devo comandare qua a Roma. A Roma io lo so, questi della Magliana sono tutti amici nostri, tutti questi dei Castelli, tutto l’Eur sta con noi. Li conosciamo tutti, a Torvajanica, al Circeo. Sono amico di tutti e mi rispetto con tutti». Giuseppe Penna sta parlando con Domenico Alvaro e altri esponenti della cosca di ‘ndrangheta Alvaro-Carzo, un pomeriggio d’autunno del 2016. Da quando Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo hanno ottenuto dalla Calabria l’autorizzazione a costituire una “locale” di ‘Ndrangheta nella capitale, c’è possibilità di inserirsi in ogni tipo di affare a Roma. Così, investendo in piccole attività commerciali, la cosca inizia a costruire una struttura criminale autonoma dalla casa madre.
I guai arrivano con l’inchiesta Propaggine, a maggio 2022, che porta all’arresto di 43 persone, tra cui un commercialista e un bancario. L’organizzazione però, rimane in piedi. Il 9 novembre dello stesso anno infatti, in quello che può essere ritenuto il “secondo tempo” dell’operazione, vengono arrestate altre 13 persone e sequestrate 25 società tra bar, ristoranti e pasticcerie, per un valore di 100 milioni di euro.
Già nella prima parte dell’operazione gli arresti dell’inchiesta Propaggine avevano svelato l’organigramma di Alvaro e Carzo, ma l’ultimo blitz accende i fari sull’aspetto imprenditoriale dell’organizzazione: emerge come la “locale” romana avrebbe continuato a operare, acquisendo il controllo di attività economiche nei più svariati settori – ittico, panificazione, pasticceria, ritiro delle pelli e degli olii esausti – facendo poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie, al fine di schermare i reali proprietari dell’attività. È il cosiddetto “sistema Alvaro”, quello per inserirsi nell’economia legale resettando le società per sfuggire così alle inchieste e riciclare in continuazione il denaro sporco.
Le indagini hanno dimostrato come «i capi dell’associazione assumevano il controllo delle aziende senza mai comparire personalmente e senza avere redditi per poter giustificare l’acquisto e la gestione di queste attività, usando società con quote di capitale fittiziamente intestate a prestanome e facendo comparire teste di legno come amministratori».
Il sistema spesso prevedeva che ad essere acquistati non fossero solamente gli esercizi aziendali, ma anche le locazioni immobiliari, ossia gli immobili in cui si svolgevano le stesse attività. Il modello criminale era stato reso ulteriormente impenetrabile da quando il clan era venuto a conoscenza di indagini bancarie sul proprio conto da parte della Dia di Roma e dal ritrovamento di microspie all’interno del ristorante Binario 96 nel dicembre 2017, periodo in cui il locale era in gestione a una prestanome del clan. Per questo motivo, l’organizzazione ha continuato a operare rispettando un preciso modus operandi: in primis veniva ceduta la locazione immobiliare della società in cui operava l’azienda ritenuta a rischio indagine da parte della Dia. In secundis, subentrava nella locazione una società neo costituita e intestata ad altri prestanome del clan, con capitali di avviamento di oscura provenienza «e non certamente propri degli intestatari fittizi». A questo punto, venivano richieste autorizzazioni amministrative e nuove licenze dalla neo attività, anche se di fatto negli stessi beni aziendali della precedente società ritenuta compromessa.
Infiltrazioni criminali
«Gli incendi possono essere riconducibili a un tentativo di prendere il comando della zona da parte di un’organizzazione criminale», dice Ilaria Meli, professoressa a contratto di Strategie internazionali di contrasto alla criminalità organizzata presso l’Università Statale di Milano, «e in questo momento il risorgere di tensioni nelle zone est di Torpignattara e Centocelle è sintomatico di una necessità da parte della criminalità organizzata di ricreare equilibri persi con gli arresti eccellenti degli ultimi anni e ristabilire la gestione delle piazze di spaccio».
Già nel 2017 le indagini della Direzione distrettuale antimafia (Dda) denominate Babylon 1 e 2 hanno affrontato il tema delle infiltrazioni mafiose nei locali romani, sequestrando in quelle occasioni 46 locali nel centro di Roma perché appartenenti a clan camorristici e gruppi affiliati alla ‘ndrangheta. La tattica usata era quella di acquistare, tramite i proventi delle attività illecite, locali inseriti in contesti ad alta redditività come le aree della movida romana così da avere luoghi “puliti” dove poter riciclare denaro senza destare troppi sospetti.
Spostandosi nell’est della capitale, uno dei gruppi maggiormente pervasivi, soprattutto nella zona di Tor Bella Monaca, è la famiglia Casamonica che si è conquistata il controllo sul territorio grazie alle sue tattiche intimidatorie e alla violenza bruta. Tuttavia, «i Casamonica sono sì un grande attore nella criminalità organizzata romana, ma se si parla di chi controlla i grandi traffici a Roma allora parliamo di camorra e di ‘ndrangheta», continua Meli. Le ultime indagini della Dda ad ottobre 2022 hanno fatto luce su alcune delle dinamiche presenti nell’est della capitale, svelando una locale della ‘ndrangheta capeggiata dalle famiglie Alvaro-Carzo che operavano soprattutto lungo via Tuscolana.
Una delle principali differenze tra i gruppi mafiosi romani e quelli di derivazione camorristica o ‘ndranghetista è che «i gruppi romani sono di dimensioni ridotte, quindi quando prendi il capo sono molto indeboliti. Un altro conto è la ‘ndrangheta». In questo contesto, Centocelle rappresenta un’area colma di interessi per la criminalità organizzata, soprattutto da quando è stata aperta la nuova linea della metro C di Roma, con tre fermate nel solo quartiere. Dal 2015 ad oggi sono aumentati esponenzialmente i locali e con questi l’interesse delle organizzazioni mafiose nel fare presa sul posto. In un contesto come questo l’economia criminale è pronta a investire nei quartieri e soddisfare la domanda di sostanze stupefacenti.
Nel quartiere, diverse testimonianze hanno raccontato di attività che cambiavano continuamente gestione, anche a ridosso della pandemia da Covid-19, in tempi non propriamente adatti agli investimenti. Inoltre, chi frequenta le strade di Centocelle ha parlato di spaccio sistematico all’interno di alcuni locali che si affacciano nelle principali vie della vita notturna del quartiere. Da qui IrpiMedia, con il supporto dell’istituto di ricerca Transcrime, ha deciso di avviare un’analisi delle attività commerciali presenti nella zona al fine di cercare di mappare l’infiltrazione della criminalità organizzata.
Il frutto del sommerso: numeri e dinamiche criminali a Centocelle
L’analisi che descriveremo rappresenta il frutto di 14 mesi di ricerca (condotta con una metodologia che spiegheremo più in basso) e che ha permesso di individuare molte delle attività coinvolte. Tuttavia, IrpiMedia non può assumere il ruolo delle autorità per contro-verificare i dati raccolti con l’analisi di transazioni bancarie e altri dati riservati. L’analisi in sé, di conseguenza, non può essere considerata una prova definitiva. Vista la mancanza di indagini ufficiali, abbiamo scelto di non nominare gli esercizi commerciali individuati.
Per questa analisi abbiamo raccolto i dati di 255 attività concentrate nella zona di Centocelle-Alessandrino. Basandosi su fatti di cronaca, carte processuali e segnalazioni raccolte tra gli abitanti del quartiere, abbiamo progressivamente scremato la lista delle attività. Da oltre cento esercizi commerciali con alcuni elementi di opacità (che già meriterebbero un approfondimento da parte delle autorità) siamo scesi a 22, che hanno o avevano fino a tempi recenti all’interno del loro organico personaggi in odore di mafia.
La ragione d’uso delle attività varia dal settore della ristorazione a quello edile, fino a quelli degli autoveicoli, impianti sportivi, parrucchieri e centri benessere. Ciò che le unisce sono i legami di parentela e le affiliazioni tra i proprietari e i cognomi più noti della criminalità organizzata a Roma. Non solo Casamonica e Calì, famiglie per lo più “autoctone” e già attive nel quadrante est, ma anche Senese e Moccia, cognomi legati ai gruppi della camorra emigrati nella capitale già dagli anni Settanta e Ottanta.
In alcuni casi le attività hanno contemporaneamente come proprietari persone appartenenti a due separati gruppi della malavita romana, come delle joint-venture. In altri invece alcune attività hanno visto un passaggio di consegna tra membri della stessa famiglia: se infatti il nome di uno dei proprietari finisce in un’indagine ufficiale, l’attività in questione viene chiusa e al suo posto, nello stesso civico, apre un altro negozio, spesso con la stessa ragione d’uso, gestito da un altro membro della famiglia.
Oltre questi collegamenti diretti con la criminalità però abbiamo utilizzato anche altri criteri di selezione. In particolare alcuni “campanelli d’allarme” sono stati attività commerciali che hanno registrato come indirizzo della sede fisica appezzamenti di terreno abbandonato tra un numero e un altro della via. Altre attività invece, schedate come ancora attive nei registri ufficiali, risultano in realtà essere negozi in disuso, con vecchi poster scoloriti dal sole e saracinesche chiuse ormai da anni. Allo stesso tempo, attività che risultano essere chiuse sulla carta sono invece aperte, con clienti che quotidianamente entrano ed escono dal negozio. Il tutto come se si camminasse su una sottile linea tra la visibilità e l’invisibilità delle attività commerciali e dei proprietari che le controllano. Infine, di 22 attività, sette risultano essere state aperte tra il 2020 e il 2021: tempi decisamente non adatti per attività della ristorazione o per concessionarie data la pandemia che era ancora ai suoi massimi livelli di diffusione.
In queste ultime sono comprese sia attività che sono state infiltrate da organizzazioni mafiose, cioè la cui presenza non risulta sulle carte ma nella gestione dei locali, sia esercizi intestati a persone affiliate ai diversi gruppi criminali. Nel complesso, ad una stima ristretta alle sole attività più sospette, si stima un fatturato di oltre quattro milioni di euro. Come hanno confermato a IrpiMedia fonti investigative, la ‘ndrangheta e le altre mafie investono ovunque a seconda delle possibilità che trovano. Sono adattabili ed opportuniste, pronte ad aggiornare le loro metodologie di riciclaggio.
Al di là della semplice “fatturazione” di denaro sporco, grado zero del riciclaggio facile da fare in qualsiasi attività basata sul contante (ristoranti, bar o altro), le tecniche usate dalle mafie per far girare i soldi sono molte. Da un lato, si tende a far fluire del denaro negli esercizi commerciali usando il finanziamento soci, ovvero un’immissione di liquidità da parte di soggetti terzi. Di per se l’azione non rappresenta un’illegalità, ma confrontata con la situazione tributaria di questi “benefattori esterni” si scopre che spesso questi non hanno una disponibilità tale da poter giustificare l’importo del finanziamento, circostanza che può indicare che il denaro sia stato il frutto di attività illecite.
Dall’altro, le attività commerciali infiltrate emettono fatture per prestazioni inesistenti così da creare credito o debito a seconda della necessità del momento: far entrare o uscire le disponibilità finanziarie delle società. Il trend in aumento in questi ultimi anni vede le società emettere fatture verso altre entità registrate fuori dall’Italia, principalmente verso l’est Europa, dove i dati societari rischiano di essere ancora più opachi e lacunosi, mentre le diverse legislazioni fiscali rendono ancor più difficile tracciare con precisione i capitali.
Metodologia e difficoltà della ricerca
Durante la ricerca, è stato impossibile reperire alcuni dati fondamentali, che avrebbero dovuto esser contenuti nei bilanci delle aziende prese in considerazione. «Il bilancio è come una Tac, ogni anno rappresenta una fotografia che permette di verificare lo stato finanziario e quindi l’insieme è come un video che mostra il comportamento dell’azienda», dice Gian Gaetano Bellavia, esperto di diritto penale dell’economia. Il bilancio è uno di quei dati che deve essere comunicato e pubblicato per legge sul sito del Registro imprese, il database contenente tutti i dati passati e presenti delle società registrate in Italia, e inserito all’interno della scheda di ogni società. Tuttavia nella ricerca dei dati societari sono state poche le aziende che presentavano bilanci trasparenti e aggiornati al 2023: la maggioranza aveva bilanci aggiornati al periodo 2018-2019 mentre altri erano completamente assenti.
«Il problema non è tanto la legge, ma il controllo. Se gli organi di riferimento non implementano le regolamentazioni in vigore difficilmente si potranno evidenziare alcune criticità», conclude Bellavia. In questo caso la mancanza di trasparenza ha impedito di poter analizzare a fondo alcune società, il loro comportamento soprattutto nel periodo particolarmente vulnerabile della pandemia da Covid-19 e la possibile immissione di capitale da parte di terzi. Per questo motivo alcune società non sono state considerate nel numero finale, lasciando sospetti impossibili da verificare.
Istituzioni assenti, quartiere resistente
La situazione descritta, salvo forse per le sue dinamiche interne, è comunque evidente agli abitanti del quartiere, che spesso si sono lamentati dell’assenza istituzionale che ha caratterizzato l’intera vicenda dei roghi. Dopo il primo attacco alla Pecora Elettrica non ci furono atti di solidarietà da parte delle istituzioni comunali o regionali né ci fu, secondo gli abitanti della zona, alcun supporto da parte delle autorità. Chi si era visto bruciare l’attività in cui lavorava non è stato sentito dalle forze dell’ordine e gli stessi proprietari della libreria-caffè, a pochi giorni dal tentativo di riapertura, avevano dichiarato che non avevano avuto più notizie sulle indagini in corso. Solo dopo il secondo attacco vennero davanti al locale la sindaca di allora Virginia Raggi, così come Nicola Zingaretti e Giuseppe Conte.
Ma al di là della “photo-op” ad uso e consumo dei media, non è stato fornito nessun reale supporto alle problematiche del quartiere.
Il “fronte” della resistenza alle infiltrazioni criminali resta ancora quello civile. «La situazione degli abitanti è molto grave», ha affermato un membro della Lac a fine 2021, «anche altri esercizi commerciali sono stati minacciati ma non si sa bene quale sia la matrice». In questo contesto tematiche come autodifesa popolare, mutualismo, scuola e ambiente sono stati i pilastri su cui si è basata la Lac nel tentativo collettivo di aiutarsi reciprocamente tra gli abitanti di Centocelle. Le cosiddette “passeggiate di autodifesa” sono stati i primi eventi organizzati con lo scopo di scendere per le strade uniti e rivivere il quartiere. Da lì in avanti si è sviluppato un movimento capace di porsi come forza sociale in grado di creare momenti di supporto reciproco tra i gruppi presenti nella zona.
La stessa Lac, vista l’indisponibilità dei proprietari della Pecora alla riapertura, grazie a un’opera di negoziazione con la regione Lazio ha ottenuto che quegli stessi locali rimanessero nella disponibilità degli abitanti del quartiere. Così è nato Cento Incroci: uno spazio che ospita una biblioteca, quindi utilizzabile come sala lettura, luogo di studio e di lavoro, ma anche posto dove è possibile organizzare corsi per bambini, dibattiti, conferenze. Un tentativo di replicare il ruolo che la Pecora Elettrica aveva assunto per il quartiere Centocelle.
Attorno ad un quartiere colpito dagli avvenimenti del 2019-2020, i movimenti dei quartieri di Centocelle, Quarticciolo e Torre Spaccata sono riusciti a creare una rete di solidarietà che supporta la creazione di nuovi spazi per la comunità, dal progetto di un ambulatorio popolare a Roma est alle lotte ambientaliste per i punti verdi della capitale. Lo scorso 18 dicembre si è tenuta una festa nel parco di Via delle Palme, davanti a quella che era la Pecora Elettrica, per reclamare gli spazi divenuti simbolo delle tracce criminali che marcano Centocelle. In questo quartiere di chiaroscuri, come in molti a Roma, i presidi sociali nati dagli abitanti del posto costituiscono ancora l’unico argine al potere pervasivo delle organizzazioni criminali.
CREDITI
Autori
Antonella Mautone
Fabio Papetti
Giovanni Soini