Vietato chiedere trasparenza nella filiera degli acquisti pubblici
La Pubblica amministrazione italiana, nonostante la legge e gli strumenti, non è stata in grado di rispondere ai quesiti sulle società che avrebbero sfruttato i lavoratori uiguri in Cina

16 Dicembre 2020 | di Laura Carrer*, Matteo Civillini

L’inchiesta è partita da una semplice domanda: l’acquisto di mascherine da parte della nostra pubblica amministrazione ha contribuito ad alimentare lo sfruttamento dei lavoratori uiguri in Cina? Un quesito legittimo nato dalle molteplici testimonianze secondo cui alcuni tra i principali produttori cinesi di dispositivi di protezione individuali utilizzino lavoratori uiguri messi alle loro dipendenze da un controverso programma statale di “rieducazione” coatta. Si inserisce in questo scenario anche la notizia pubblicata alcuni giorni dal Washington Post che, facendo riferimento a un report interno all’azienda Huawei, parla della creazione di un sistema di riconoscimento facciale ad hoc per identificare proprio la minoranza uigura.

Non ci sono dubbi che prodotti macchiati da sospetti di lavoro forzato siano arrivati anche in Europa e in Italia. Come abbiamo raccontato nell’inchiesta pubblicata ieri, 15 dicembre, su IrpiMedia, la più grande catena italiana di farmacie vende ancora oggi le mascherine fabbricate in una di queste aziende. Un guaio – quantomeno di immagine – per una multinazionale che vorrebbe fare della responsabilità sociale il suo fiore all’occhiello.

Ancor più spinoso, però, sarebbe sapere che le nostre casse pubbliche supportano un modello volto a soffocare i diritti e le libertà individuali di decine di migliaia di persone. Seppur questi acquisti siano stati spinti con molta fretta e pochi controlli da una drammatica situazione di emergenza. Ma non è il caso di abbassare la guardia, soprattutto in un momento come questo. La Regione Puglia, per esempio, ha ricevuto lo scorso aprile una partita di 200mila tute mediche che, secondo il Guardian, sono state prodotte da lavoratori nordcoreani sfruttati.

Il diritto di sapere

Un caso isolato o parte di un problema più ampio? Per andare a fondo in una questione di stretto interesse pubblico ci siamo rivolti al governo centrale e alle più grandi regioni dal nord al sud Italia. Lo abbiamo fatto tramite il progetto FOIA4journalists di Transparency Italia, che da giugno 2018 supporta giornalisti e associazioni nella stesura di istanze di accesso agli atti delle Pubbliche Amministrazioni.

Il FOIA (Freedom of Information Act) è un diritto-strumento fondamentale per ottenere documenti ufficiali e di prima mano da parte degli enti centrali o, in questo caso, delle Regioni. Quest’anno è risultato particolarmente decisivo per il tema dell’accesso alle informazioni poiché da una parte la pandemia da covid-19 ha incentivato la richiesta di dati aperti soprattutto in ambito sanitario; dall’altra parte è stato possibile constatare tristemente quanto un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo non basti per incentivare la trasparenza e la proattività degli enti che ci amministrano.

Il Freedom of Information Act in Italia

Il Freedom of Information Act (FOIA), diffuso in oltre 100 paesi al mondo, è la normativa che garantisce a chiunque il diritto di accesso alle informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni, salvo i limiti a tutela degli interessi pubblici e privati stabiliti dalla legge.

In Italia tale diritto è previsto dal decreto legislativo n. 97 del 2016 che ha modificato il decreto legislativo n. 33 del 2013 (c.d. decreto trasparenza), introducendo l’accesso civico generalizzato al fine di promuovere la partecipazione dei cittadini all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.

L’obiettivo del FOIA è dunque promuovere una maggiore trasparenza nel rapporto tra le istituzioni e la società civile e incoraggiare un dibattito pubblico informato su temi di interesse collettivo. Giornalisti, organizzazioni non governative, imprese, cittadini italiani e stranieri possono richiedere dati e documenti, così da svolgere un ruolo attivo di controllo sulle attività delle pubbliche amministrazioni.

Il passaggio di una delle risposte ricevute da IrpiMedia dopo l’accesso agli atti alle Regioni

Il FOIA serve infatti a questo: richiedere dati, documenti o informazioni che non sono oggetto di pubblicazione obbligatoria nelle sezioni di amministrazione trasparente degli enti locali e centrali, senza obbligo di motivazione. Un diritto che si estende quindi a chiunque voglia controllare l’operato delle amministrazioni e della cosa pubblica richiedendo tutto ciò che è considerato atto pubblico, una mole davvero importante di informazioni che possono contribuire ad una lettura meno opaca delle azioni dei decisori.

Risposte evasive e insufficienti

Le richieste inoltrate vertevano sulla presenza o meno, all’interno degli elenchi dei produttori di dispositivi di protezione individuale (DPI) e mascherine chirurgiche ai quali le varie stazioni appaltanti si sono rivolte dall’inizio dell’emergenza covid-19 fino al 30 ottobre 2020, di alcune aziende cinesi note per utilizzare lavoratori uiguri. Abbiamo anche specificato di voler ottenere le stesse informazioni nel caso in cui produttore e soggetto affidatario fossero differenti, casistica non proprio rara.

Degli 11 soggetti interrogati solo 3 hanno risposto pienamente alle richieste, verificando l’assenza delle aziende segnalate sia tra i loro fornitori diretti che tra i produttori dei dispositivi acquistati. Tra gli altri i riscontri sono stati tra i più disparati. C’è chi non ha neppure risposto, rimpallando la questione tra diversi uffici. C’è chi ha rimandato a una lunga serie di delibere o liste, dove però venivano indicati solo i nomi dei fornitori – per la stragrande maggioranza importatori italiani di prodotti cinesi.

Degli 11 soggetti interrogati solo 3 hanno risposto pienamente alle richieste, verificando l’assenza delle aziende segnalate sia tra i loro fornitori diretti che tra i produttori dei dispositivi acquistati

E c’è chi, infine, ha detto che i dati non erano “immediatamente reperibili”, che l’estrazione degli stessi sarebbe “troppo onerosa” da sostenere durante l’emergenza sanitaria, o che la richiesta era “irragionevole”.

Regioni come Toscana e Veneto, colte dalle nostre istanze, si sono dette impossibilitate a rispondere dettagliatamente e con sicurezza poiché il funzionario incaricato avrebbe dovuto cercare i nominativi delle aziende manualmente all’interno di centinaia di documenti cartacei. Unica concessione la ricerca all’interno di una singola gara. Insufficiente a garantire un livello minimo di trasparenza per la cittadinanza.

Un risultato diametralmente opposto a quello ottenuto dai colleghi stranieri che hanno posto le medesime domande alle rispettive amministrazioni pubbliche. In Svezia, Danimarca, Norvegia ed Estonia – Paesi dove la trasparenza rappresenta un valore cardine – i funzionari pubblici hanno fornito risposte rapide e dettagliate. Se i prodotti incriminati non figuravano lo hanno detto senza giri di parole.

L’inchiesta

Le mascherine prodotte dagli uiguri ai lavori forzati in Cina e vendute in Europa

Trasferiti da Pechino in fabbriche lontano dalla loro regione, gli operai uiguri sono costretti ai lavori forzati. La distribuzione nelle farmacie europee e italiane

15 Dicembre 2020

Quando invece la risposta era affermativa hanno indicato con precisione i quantitativi, i distributori europei che li hanno reperiti in Cina, e infine i luoghi di destinazione finale, come ospedali o case di cura. Dati che hanno restituito una panoramica limpida, permettendo così di ricostruire l’intera filiera. Non per fare una caccia alle streghe, ma per capire le sue implicazioni più profonde e, quando necessario, mettere i soggetti coinvolti di fronte alle proprie responsabilità. E perché no, metterli anche nella condizione di poter verificare gli attori della stessa filiera.

Se la cosiddetta accountability, ovvero la responsabilità da parte dei funzionari pubblici di rendicontare ai cittadini come vengono investite le risorse finanziarie per il bene pubblico, è ormai aspetto cardine all’interno delle decisioni in una lunga lista di paesi nel mondo anche durante la pandemia che ci accomuna senza distinzioni, in Italia così non è: possiamo chiaramente affermare che il suo posto al tavolo dei decisori è ancora vuoto.

*Transparency International Italia | Editing: Luca Rinaldi | Foto: Nirat.pix/Shutterstock

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