2 aprile 2020 | di Matteo Civillini
Procedure straordinarie, deroghe e commissari. Lo stato di emergenza sta caratterizzando l’aggiudicazione degli appalti della Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione italiana. E come spesso accade nella gestione emergenziale tra le maglie più larghe dei controlli passano società con conti più o meno aperti con la giustizia o che poco hanno a che fare col mercato di riferimento. È il caso della gara indetta per la fornitura dei dispositivi di protezione sanitaria, in particolare mascherine, e aggiudicata lo scorso 27 marzo. Base d’asta 123 milioni di euro per nove lotti e aggiudicata per poco meno di 64, con un ribasso dunque che sfiora il 50%.
Le procedure straordinarie
Tra gli aggiudicatari delle gare indette da Consip per far fronte all’emergenza Covid-19 ci sono anche una cooperativa di Taranto a cui la Prefettura ha revocato la gestione di un centro d’accoglienza e una società immobiliare guidata da un imprenditore indagato per frode.
I bandi della centrale degli appalti italiana sono assegnati con una procedura straordinaria dopo che il decreto Cura Italia del 17 marzo ha previsto la deroga al Codice Appalti: per accorciare i tempi delle aggiudicazioni, i controlli sulle aziende che partecipano si fanno ex post, cioè ad appalto aggiudicato. In pratica, spiega un funzionario Consip a IrpiMedia, «prima avviene la scelta delle aziende e poi si effettuano i controlli sulla loro integrità e gli eventuali ordini di materiale». E come spesso accade durante le gestioni commissariali e in regime d’emergenza, come è stato per il terremoto de L’Aquila, per il G8 a La Maddalena, o più recentemente con Expo2015, il curriculum degli aggiudicatari pone qualche interrogativo.
La Procedura negoziata d’urgenza per mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale per l’emergenza sanitaria “Covid-19”, è stata indetta da Consip lo scorso 19 marzo. La base d’asta della gara, suddivisa in 9 lotti era fissata a 123 milioni di euro. La procedura è stata aggiudicata per 63,8 milioni di euro col criterio del minor prezzo.
La coop dell’accoglienza finita nel mirino della Prefettura di Taranto
Il primo caso riguarda la tarantina Indaco Service Cooperativa Sociale che ad oggi risulta tra i vincitori di due lotti per la fornitura di oltre 16,5 milioni di mascherine chirurgiche e 5,4 milioni di FFP3. La società è abilitata dal Ministero delle finanze alle gare d’appalto per i servizi socio-assistenziali come la fornitura di mascherine e per questo motivo si è presentata come capofila di un consorzio insieme ad altre due società. Se l’aggiudicazione sarà confermata, Indaco Service si spartirà con le altre società vincitrici una torta da oltre 34 milioni di euro.
A Taranto Indaco Service è nota tra le altre cose per aver perso nel giugno 2017 la concessione per il centro d’accoglienza straordinaria Indaco-S. Maria del Galeso a causa di «gravi carenze di carattere gestionale, strutturale e igienico-sanitarie», si legge nel decreto di revoca firmato dalla Prefettura. Nel centro, poco prima del provvedimento, era scoppiata una rivolta: «Per la disperazione i richiedenti asilo si sono barricati dentro al centro insieme al personale, costringendo la polizia ad intervenire – ricorda Enzo Pilò dell’Associazione Babele, gruppo che tutela i diritti dei richiedenti asilo -. C’erano inadempienze di ogni genere, questa cooperativa non ha mai svolto alcun servizio». L’amministratore della cooperativa Salvatore Micelli sostiene però che la causa del disservizio fosse il sovraffollamento del centro in seguito all’invio dei migranti stabilito dalla stessa Prefettura.
Micelli è stato accusato anche di aver presentato false fideiussioni a garanzia dei finanziamenti statali, falsificando le firme dei procuratori di agenzie di assicurazione. Per farsi liquidare i fondi il gruppo avrebbe poi inviato agli enti regionali finte lettere di assunzione e buste paga in realtà mai versate. L’imprenditore è ora fuori dal carcere perché, dice la Cassazione, gli elementi indiziari non sono sufficienti a definire il suo ruolo nella presunta truffa. La procura ha chiesto il rinvio a giudizio e l’udienza preliminare è stata fissata per maggio. È accusato di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata.
Sentito da IrpiMedia, Salvatore Micelli sostiene di essere vittima di un attacco da parte del mondo politico e giudiziario tarantino allo scopo di gettare fango su di lui. «Il sottoscritto – spiega – non ha preso neanche un euro illecitamente. Io non conosco neanche chi sono la maggior parte delle persone coinvolte nell’indagine. Avevo solo svolto attività di consulenza per alcune di queste imprese». Anzi, sostiene di essere stato il primo a denunciare un sistema di corruzione in città.
L’imprenditore sotto indagine per truffa
Insieme a Indaco Service, tra gli aggiudicatari del lotto per la fornitura di mascherine chirurgiche c’è anche la Italian Properties Srl: una holding bresciana che dichiara di avere partecipazioni per oltre 20 milioni di euro in società industriali, commerciali, agricole e immobiliari. Il suo proprietario Marco Melega, 47 anni, è stato arrestato lo scorso luglio per una presunta maxi-truffa online in cui sono caduti migliaia di consumatori. Secondo le accuse della procura di Cremona, il gruppo di Melega avrebbe creato diversi siti per l’acquisto di vini, buoni carburante e prodotti elettronici a prezzi stracciati. Le vendite erano riservate ai titolari di partita Iva e prevedevano un acquisto minimo di mille euro di merce.
Secondo l’accusa, la società non sarebbe stata in possesso di alcun prodotto e quindi i compratori sarebbero rimasti a mani vuote. Quando le lamentele e le denunce montavano le società venivano liquidate, i siti internet chiusi per poi ripartire nuovamente sotto altre spoglie. Le somme di denaro venivano poi trasferite ad altre società, simulando il pagamento di operazioni fittizie, e infine monetizzate sotto forma di stipendi. Definito come dominus e principale beneficiario della frode, Marco Melega è accusato di associazione a delinquere finalizzata alle truffe online, frode fiscale, bancarotta fraudolenta e riciclaggio. L’11 marzo ha lanciato Barter For Good, una piattaforma online dove le aziende possono donare «merci difettose, beni invenduti e cespiti in disuso» da distribuire tra gli enti no-profit impegnati nella lotta al Covid-19. Il sito dichiara di aver raccolto al 26 marzo oltre 1,298 milioni di euro.
Marco Melega spiega a IrpiMedia che Italian Properties realizzerà la fornitura di dispositivi medici tramite la propria piattaforma online di scambi multilaterali tra imprese. «Abbiamo centinaia di contatti che ci stanno favorendo nelle interlocuzioni con i vari fornitori italiani ed esteri».
In merito alle vicende personali, Melega dice di esserne «stato profondamente turbato». «Sto affrontando la situazione con determinazione precisando agli inquirenti la mia estraneità ai fatti», aggiunge.
Consip contattata da IrpiMedia spiega che le società risultano effettivamente aggiudicatarie dei lotti, ma che si procederà agli ordini solo dopo le verifiche. «In caso di esito positivo dei controlli, per ogni lotto – aggiunge Consip – sarà stipulato un accordo quadro con tutti i fornitori aggiudicatari. Gli ordini di fornitura verranno emessi a partire dal fornitore primo classificato, fino all’esaurimento della disponibilità dei prodotti di quest’ultimo, proseguendo poi con un meccanismo “a cascata” verso quelli successivi in graduatoria». Così lo schema dell’emergenza, ancora una volta, rischia di premiare i più furbi.
Come è andata a finire
Dopo l’inchiesta che avete appena finito di leggere l’8 aprile Consip ha risolto il contratto con la Indaco Service emettendo gli ordini di fornitura agli altri aggiudicatari dello stesso lotto.
In partnership con: La Stampa | Editing: Lorenzo Bagnoli, Luca Rinaldi | Foto: Mika Baumeister/Unsplash