#Exodus

Cosa c’entra il poliziotto del malware Exodus con un porto fantasma in Calabria
Gli affari dell'uomo che vendeva il trojan che ha infettato centinaia di italiani. La sua storia parte da Diamante, in Calabria, e arriva fino alla Slovacchia
20 Novembre 2019

Cecilia Anesi
Raffaele Angius
Pablo Petrasso

«Lo chiamiamo con vari soprannomi, tra i quali Alì e Prodigio», spiega il procuratore capo di Castrovillari Eugenio Facciolla ai pm salernitani che lo interrogano nell’ambito dell’indagine sul malware Exodus. Sta descrivendo un farmacista di Cosenza, Graziano Santoro, che non è co-indagato ma che compare in alcune intercettazioni. A parlare di lui sono Facciolla e il poliziotto Vito Tignanelli, coinvolto nello scandalo sul malware Exodus in quanto amministratore di fatto dell’azienda Stm, che vendeva il software alle procure.

Exodus è un software spia, sviluppato dall’azienda calabrese E-Surv, che è stato nascosto in app solo all’apparenza innocue e ha infettato almeno 393 telefoni. I dati sono stati salvati su un server negli Stati Uniti, accessibile da un qualsiasi browser, nel quale chiunque avrebbe potuto prelevare dati utili per attività di dossieraggio e dal quale – tra le piste battute dagli inquirenti che indagano sulla vicenda – sarebbero spariti file importanti per processi, anche di mafia.

Considerato un esperto di intercettazioni, Tignanelli è indagato dalla procura di Napoli per aver venduto il malware Exodus con cui, secondo gli inquirenti, sarebbero state operate intercettazioni illegali. La vicenda, oggetto di un’inchiesta di Wired in collaborazione con il centro di giornalismo investigativo Irpi, ha sollevato anche il problema di quali siano i criteri e i controlli in base ai quali procure e servizi segreti decidono a quali aziende affidare la gestione tecnica delle intercettazioni.

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Un mercato che vale complessivamente più di 200 milioni di euro l’anno e nel quale avere i giusti contatti potrebbe essere determinante per ottenere contratti con le autorità. Ma anche un mercato in cui la merce – i software di spionaggio – è a tutti gli effetti equiparata a un’arma (per l’esportazione sono necessarie specifiche autorizzazioni) e le cui cartucce sono dati giudiziari e segreti di Stato. Valide ragioni per sottoporre i mercanti a screening completi alla ricerca di anomalie. Una due diligence, insomma, che nel caso della Stm avrebbe svelato l’incompatibilità del fornitore, ovvero un poliziotto. E per giunta, un poliziotto-imprenditore con misteriosi investimenti in Slovacchia.

Queste vicende, emerse solo in seguito alle indagini, scoperte prima avrebbero potuto mettere in allarme procure e servizi segreti che avevano acquistato il software-spia.

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È in questo contesto che la Guardia di finanza di Salerno – che indaga parallelamente a Napoli – vuole capire meglio cosa leghi il farmacista Santoro al magistrato e al poliziotto. Solo un’amicizia, è la risposta. «È un comune amico mio e di Tignanelli», spiega Facciolla: «Ebbe l’idea nel lontano 2002 di realizzare un porto turistico in quel di Diamante, opera che in realtà non è mai decollata per via di una serie di vicissitudini politiche-amministrative. Per questo motivo noi amici gli abbiamo affibbiato i soprannomi sopra ricordati».

Il porto del Prodigio

Santoro, frequentatore dei salotti bene di Cosenza, è in effetti conosciuto per aver avuto l’idea – 20 anni fa – di costruire un porto turistico a Diamante, in Calabria. Un progetto che gli è valso il soprannome di Prodigio, ma che analizzato nei suoi dettagli fa emergere la complessa storia di una delle opere incompiute d’Italia. Per la borghesia di Cosenza, Diamante è il luogo di villeggiatura ideale. Ed è qui che Santoro sogna, anche grazie a un finanziamento regionale di circa 2 milioni di euro, di arricchire la costa con un’infrastruttura che la proietti nel circuito del turismo di lusso. Vicende locali, si potrebbe dire, che però portano molto lontano, fino alla Slovacchia.

A ottobre 2011, Santoro è seduto con Tignanelli nel retrobottega della sua farmacia di Cosenza. Hanno da poco avviato una società finanziaria in Slovacchia, la Sakata sro, da 10 milioni di euro di capitale. Tignanelli ha contribuito con un milione di euro. Santoro ha un piano preciso per la Sakata: l’azienda diventerà uno degli investitori principali nel progetto del porto. Per questo vi trasferisce il 66% della proprietà del consorzio Diamante Blu srl, titolare del progetto in questione. La Sakata entra quindi a pieno titolo nel consorzio, e così per suo tramite anche il poliziotto.

Slovacchia connection

Per scoprirlo però, bisognava andare fino a Nitra, ai piedi delle montagne di Zobor, nell’Ovest della Slovacchia. È lì che Romolo Cichero, consulente finanziario, registra la Sakata per i due cosentini. Cichero è un poliedrico personaggio esperto di finanza offshore e un tempo editore della rivista Interconair, che gli valse la reputazione di esperto di aerei e navi da guerra e una denuncia della Gdf per trasferimento di capitali all’estero.

Dopo aver lavorato per decenni tra Basilea, New York e il Regno Unito, il broker porta la sua attività a Nitra, aprendo società off the shelves (da rivendere pronte all’uso, letteralmente “dallo scaffale”, nda) fino al decesso avvenuto nel 2014. La ricetta, si legge sul sito della sua impresa di brokeraggio, era un mix di «privacy e segretezza» per garantire delle «zero taxation company» (letteralmente “aziende zero tasse”) grazie a un meccanismo di «uffici virtuali».

Ma che soldi dovevano allontanare da occhi indiscreti Tignanelli e Santoro? Il collettivo di giornalismo d’investigazione Jan Kuciak ha aiutato Irpi andando a Nitra a vedere di persona.

L’assistente di Cichero, Eleonora Jakubivicova, dal suo ufficio nella cittadina slovacca, conferma i dati del registro imprese: il capitale da 10 milioni di euro è stato interamente versato in un conto slovacco. Peccato però che a una verifica effettuata dall’ispettorato dell’agenzia delle entrate slovacca, risulti che il conto slovacco collegato alla Sakata sia stato sempre vuoto. Quindi, il capitale, è stato versato altrove. Ma Jakubivicova dice di non ricordare. «La Sakata però», assicura la donna «era stata aperta per un progetto reale, quello della costruzione di un porto in Italia».

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La sede dell’azienda di brocheraggio di Cichero a Nitra, in Slovacchia / Collettivo di giornalismo d’inchiesta Jan Kuciak

Il socio occulto

All’epoca dell’apertura della Sakata in Slovacchia, il farmacista Santoro aveva però già preso un impegno con un socio occulto. Pochi mesi prima, aveva firmato un preliminare che stipulava la cessione di una parte del progetto del porto a un’azienda immobiliare. Il pagamento, di cinque milioni di euro, sarebbe avvenuto però tramite una nuova azienda da aprire per l’occasione, la Sakata. A quel punto il socio occulto, Giovanni Battista Lombardo, avrebbe proceduto a rispettare la sua parte del contratto.

Lombardo è un immobiliarista calabrese, che già allora veniva considerato dalle forze dell’ordine come un imprenditore in contatto con i clan di ‘ndrangheta. Quattro anni dopo, nella primavera del 2015, Lombardo renderà dichiarazioni spontanee ai carabinieri di Cosenza: riferisce di «minacce» e racconta di una serie di investimenti fatti da società di cui era partner. Tra questi, un investimento da cinque milioni di euro nel progetto del porto di Diamante senza sapere con quali fondi ma ricevendo rassicurazioni (da un socio dell’azienda immobiliare) sul come non fosse un problema reperire i soldi.

A ottobre 2019, Lombardo viene condannato a 12 anni in primo grado nel processo Six Towns, con l’accusa di essere la mente finanziaria del clan di ‘ndrangheta di Belvedere Spinello, nonché al servizio dei clan del Crotonese. Le indagini lo evidenziano come in diretto contatto con il boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri, ascoltato dagli inquirenti mentre descrive Lombardo come uno dei «cristiani buoni» che potevano aiutare nelle operazioni finanziarie.

Se e che soldi abbia versato Lombardo alla Sakata, e conseguentemente che diritto abbia ottenuto tale socio occulto sul porto di Diamante, non è noto. Questo perché alle dichiarazioni non è stato dato seguito. L’unica certezza, evidente all’occhio del cittadino comune, è che a oggi il porto turistico di Diamante non è stato ancora costruito.

Il porto fantasma

A dicembre 2017 una relazione della commissione consiliare presso il comune di Diamante ha evidenziato varie contraddizioni e inciampi nella realizzazione dell’opera. Basti pensare ai quasi cinque anni trascorsi tra la chiusura del procedimento di gara (11 giugno 2004) e l’aggiudicazione effettiva dell’affidamento (28 aprile 2009). Dieci anni dopo, e con i lavori praticamente fermi dal 2016, il porto non c’è ma restano le perplessità messe nero su bianco dall’amministrazione comunale.

La prima riguarda lo stesso affidamento dei lavori alla Diamante Blu, che si sarebbe basato su «un punteggio costruito con false attestazioni e documentazione», tra cui «fideiussioni inefficaci» emesse da un soggetto non abilitato.

Per i consiglieri del comune, la ditta incaricata di realizzare l’approdo turistico non sarebbe in grado di realizzare i lavori «per mancanza dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti nel bando di gara». E, segnalano, i lavori sarebbero rimasti sospesi per cinque anni «in virtù di una illegittima perizia di variante presentata motu proprio dal concessionario». Sulla variante si sofferma anche l’Autorità nazionale anticorruzione, che si attiva dopo una segnalazione ricevuta dai cittadini di Diamante e rileva che, per quanto riguarda il grande ritardo nella realizzazione dei lavori, «risultano del tutto carenti compiute valutazioni da parte della Regione circa il permanere dell’interesse alla realizzazione dell’opera».

Dai dati del bilancio 2016 risulta come la Diamante Blu abbia già investito per la costruzione del porto cinque milioni e mezzo di euro a fronte dei sette previsti nel progetto originario. Ma mentre l’opera portuale rimane ferma, l’assetto societario della Diamante Blu muta di continuo con una serie di rimbalzi di fondi da e per l’estero.

Santoro nel 2015 toglie il capitale che aveva depositato presso la sua azienda in Slovacchia, la Sakata, e lo trasferisce a Malta in un fondo di investimento a capitale variabile gestito dalla finanziaria Malta Ifp Sicav Plc. Poi nel 2017, usando il diritto di recesso, Santoro trasferirà nuovamente il capitale nelle proprie tasche. Torna cioè a essere il socio maggioritario della Diamante Blu. Siamo a fine 2019, riuscirà Prodigio a terminare l’opera del porto turistico?

Raggiunto da Wired, Santoro non ha risposto alle nostre domande, dichiarando che queste avrebbero denotato «una scarsa e deviata conoscenza dei fatti che caratterizzano la vicenda Diamante» e che legherebbero la sua persona e la sua iniziativa a «persone che nulla hanno da condividere con l’intrapresa». Né Santoro, né Tignanelli hanno inoltre voluto spiegare la ratio dietro l’apertura dell’azienda in Slovacchia, la Sakata. Il legale di Tignanelli, contattato anche per un commento sulla vicenda del porto, preferisce non rispondere.

Alla camera di commercio di Bratislava, la Sakata risulta liquidata nel 2016. Con lei, scompare anche la partecipazione di Tignanelli al progetto del porto. Proprio quell’anno, però, il poliziotto avvia un’altra attività imprenditoriale, in conflitto con il suo ruolo nelle forze dell’ordine. Si tratta dell’azienda Stm, nata con lo scopo di fornire sistemi di intercettazione e specializzata nel fornire il malware Exodus. Proprio quel trojan che ha mandato centinaia di Gigabyte in un server in Oregon, negli Stati Uniti, beffando le procure che avevano i server vuoti senza saperlo.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Raffaele Angius
Pablo Petrasso

In partnership con

Ha collaborato

Pavla Holcova
Arpad Soltez

Foto

Comune di Diamante