Cecilia Anesi
Margherita Bettoni
Giulio Rubino
Fin da ragazzo Giuseppe Romeo, detto “Maluferru” e di professione narcotrafficante per la ‘ndrangheta di San Luca, ha avuto una fissazione per i cartelli messicani. In particolare si narra sia un grande fan dei Los Zetas, uno dei più sanguinari cartelli della droga del Messico, famoso per decapitazioni, bombe e violenti attacchi contro altri narcos e lo stesso esercito messicano. Quando si tratta di difendere i propri affari però, nonostante la dettagliata conoscenza dei metodi dei narcos del Sud America, Maluferru e i suoi fratelli non sembrano però mostrare paura.
È infatti quasi leggenda il racconto di come in nord Europa il gruppo di fuoco di Maluferru abbia affrontato gli uomini di un cartello messicano in una sparatoria per strada, mettendoli in fuga. «I messicani si sono spaventati dei paesani miei», racconta in un dialogo intercettato nel 2016 tra altri due narcotrafficanti calabresi. Giuseppe Romeo è cresciuto con un solo esempio da seguire: suo padre Antonio detto “Centocapelli”, che a San Luca aveva guidato il clan Romeo-Staccu fino al suo arresto nel 1997 e alla successiva condanna a 30 anni.
“Maluferru” letteralmente significa “pistola cattiva” ma è un soprannome che induce timore e intima rispetto. Giuseppe Romeo non è però solo un pistolero: è un criminale astuto, che ogni mattina si informa sul “nemico”, ovvero sulle operazioni di polizia, e che per proteggersi «conosce il codice penale a memoria», racconta chi lo conosce.
Pur essendo il più giovane di tre fratelli è senza dubbio diventato, a partire dal 2008, un importante perno per l’import di cocaina dell’intera ‘ndrangheta: aveva a disposizione contatti sicuri in America Latina per rifornirsi di cocaina, e altrettanti nei porti del nord Europa per gestire l’arrivo dei carichi.
Un puzzle di operazioni di polizia racconta come si procurasse la cocaina a ottimi prezzi in Colombia o in Brasile, la faceva passare per la Costa d’Avorio, e poi fino ai moli di Anversa, Amburgo o Rotterdam. Per ogni tappa del percorso aveva in mano un contatto chiave pronto a lavorare per lui, e ha messo in atto tutti i trucchi del mestiere per nascondere i carichi di droga in spedizioni apparentemente innocue, fino a diventare a tutti gli effetti uno dei più importanti trafficanti che la ‘ndrangheta abbia mai avuto a disposizione.
In questa serie di due puntate, firmata da IrpiMedia e OCCRP, vedremo come funziona la rete del narcotraffico della ‘ndrangheta dall’interno. Il primo capitolo ha raccontato ciò che avviene in Europa, una volta che la cocaina è arrivata; questa seconda parte invece guarda al lato più internazionale dell’organizzazione, attraverso le storie di alcuni dei suoi maggior broker, fornitori e i porti dove la corruzione permette ai narcos di non fermarsi mai.
Emerge così una rete composta da cartelli di diverse nazionalità: albanesi, rumeni, serbi, colombiani, messicani e brasiliani attivi in diversi porti come Rotterdam e Anversa che lavorano con e per la ‘ndrangheta tanto in Europa quanto in America Latina e in Africa occidentale.
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La sua ascesa è stata però bruscamente interrotta. L’11 marzo scorso infatti l’Interpol lo ha arrestato a Barcellona, con l’appoggio della Guardia Civil spagnola e della polizia italiana. Due mesi dopo, alcuni dei suoi clienti principali, i Giorgi alias Boviciani di cui abbiamo scritto nella prima parte di questa inchiesta, sono stati arrestati nel corso dell’operazione Platinum. Già condannato in primo grado a vent’anni in contumacia, Giuseppe Romeo è stato estradato in Italia e ora deve affrontare ben due processi.
Giuseppe Romeo e altre persone citate in questo articolo sono accusate di narcotraffico internazionale per conto della ‘ndrangheta. Il legale di Romeo fa sapere che il suo cliente sostiene la propria estraneità ai reati contestati, sia per i procedimenti in corso sia per la condanna per narcotraffico già ricevuta.
La storia della carriera di Romeo non è solo un profilo personale, bensì un puzzle che rivela ciò che è oggi il sistema internazionale del narcotraffico della ‘ndrangheta. Partendo da San Luca, i narcos calabresi riescono a essere presenti in tutti i luoghi nevralgici, dall’Europa al Sud America passando per l’Africa: i porti di Anversa, Rotterdam, Santos, Cartagena, Abidjan.
Questa è una storia dove, come in un carosello, compaiono le città di Torino, Barcellona, Amsterdam, Genk, Buenos Aires. E compaiono con un volto diverso rispetto a quello a cui siamo abituati. Qui, tra vicoli settecenteschi, canali fioriti e ristoranti aperti nelle zone più esclusive, si muove la ‘ndrangheta. In silenzio, stringendo mani, muovendo tonnellate di cocaina, guadagnando milioni.
Dal Belgio al resto del mondo
Giuseppe Romeo, oggi 35enne, ha commesso il primo reato a 16 anni, quando viveva ancora a San Luca. Crimini semplici, frode e ricettazione, che però hanno avviato una carriera criminale comune a pochi. A 22 anni era già un trafficante in carriera, noto alle forze dell’ordine, ma è nel 2016 che comincia davvero ad affermarsi come un importante pezzo dello scacchiere del narcotraffico internazionale.
In quegli anni Romeo faceva parte della cosiddetta “Banda del Belgio”, assieme ai suoi fratelli Domenico e Filippo e ad Antonio Calogero Costadura, un altro narcotrafficante italo-belga nato a Genk.
Il nome della banda è un po’ riduttivo. I quattro operavano ben oltre il Belgio: dall’Olanda, dove ricevevano le spedizioni di cocaina dal Sudamerica, fino al resto d’Europa dove avveniva la distribuzione. E poi ancora, Maluferru “saltava” i confini di continuo, vivendo un pò in Germania, un pò in Italia, un pò in Spagna. Sembrava conoscere bene i rischi del mestiere, e, a parte pochissimi contatti fidati, si teneva alla larga da tutti, anche dal resto dei broker della droga. Una strategia che l’ha aiutato a restare latitante mentre altri “colleghi” finivano in manette uno dopo l’altro.
È solo nel 2018, con l’operazione Pollino, che le forze dell’ordine cominciano ad intaccare la rete di Romeo. L’indagine ha portato al sequestro di 4 tonnellate di cocaina e a circa 90 arresti, tra affiliati alla ‘ndrangheta e soci stranieri, compresi i suoi due fratelli.
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Ma lui, Maluferru, resta inafferrabile, diventando quasi una leggenda urbana tra i narcos italiani. Addirittura uno dei suoi clienti, intercettato, racconta ammirato di come sia stato «fregato solo una volta» (dalle forze dell’ordine) quando gli vengono sequestrati 18 panetti di cocaina in un magazzino a Milano.
Quando Guardia di finanza, polizia e forze dell’ordine tedesche e olandesi lanciano Pollino, a dicembre 2018, vanno a cercarlo al suo indirizzo ufficiale di residenza, una abitazione a Kierspe, cittadina vicino a Colonia, in Germania. Maluferru però non c’è. Alle autorità resta in mano un pugno di mosche: un ristorante che, ritengono, fosse suo.
Nel frattempo però, altre due indagini di polizia, una della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino e un’altra delle controparti di Genova e Napoli, cominciano a stringere il cerchio attorno al fantasma sanlucota.
La prima, detta Geenna, ha portato a dicembre 2018 all’arresto di due “colleghi” di Giuseppe Romeo, i fratelli Bruno e Giuseppe Nirta, della ‘ndrina Nirta Scalzone. La seconda indagine invece, detta Spaghetti Connection, ha portato alla luce due punti chiave della rotta che riforniva Maluferru: San Paolo in Brasile e Abidjan, la capitale della Costa D’Avorio, tappa intermedia di primaria importanza nel percorso che dal Brasile arriva ad Anversa per il trasporto di cocaina.
Piani fluidi
Prima che gli inquirenti cominciassero a raccapezzarsi rispetto ai movimenti di Romeo, questi aveva già ammassato una fortuna e si era costruito un’agenda di contatti da far invidia a qualsiasi narcotrafficante del mondo.
Fra i più importanti, c’erano proprio i fratelli Giuseppe e Bruno Nirta che con Romeo condividevano un pied à terre comune: la Costa Brava, luogo prediletto sia per la garanzia di riservatezza sia per l’importanza logistica. È qui infatti che stazionano emissari di vari cartelli di fornitori, come i colombiani e i marocchini.
Correva l’anno 2016 e Giuseppe Nirta viveva stabilmente in Spagna, mentre Bruno – capolocale della ‘ndrangheta ad Aosta – si spostava fra la Costa Brava, Torino e San Luca. In Catalogna si appoggiava presso la casa di un francese di origini siciliane, commerciante di ostriche a Marsiglia, descritto però da un pentito come gestore di bordelli.
Maluferru invece aveva un appartamento in un anonimo condominio dove viveva assieme alla compagna colombiana e a Vincenzo Macrì, latitante del Siderno Group of Crime all’epoca ancora in fuga dopo l’operazione Acero-Krupi, che l’aveva incastrato per un traffico di cocaina gestito dal mercato dei fiori di Aalsmeer, in Olanda.
L’appartamento l’avevano scelto a Calella, cittadina di mare vicino a Barcellona e parte del “triangolo caldo” del narcotraffico assieme a Blanes e Lloret del Mar, tre località usate da Romeo e dai Nirta per incontrare compratori e fornitori.
Qui infatti il trio aveva incontrato Gabriele Biondo, detto “El Italiano”, e considerato il più potente narcotrafficante della Costa Brava. Biondo, fornitore anche della Camorra e della mafia russa, è stato arrestato nel 2019 nell’ambito di un’operazione dell’antidroga statunitense ed estradato negli Stati Uniti. A Lloret del Mar però se lo ricordano per un altro motivo: ha rischiato la morte in una sparatoria da film, quando un sicario in moto ha sparato all’impazzata contro l’auto in corsa con dentro Biondo, il figlioletto e la moglie. Biondo è sopravvissuto ma in ospedale ha giurato vendetta. Il sicario è stato ucciso poco dopo con un’autobomba.
Dietro ogni narco, ci sono tre grandi donne
Per quanto i protagonisti più famosi del narcotraffico siano sempre uomini, Giuseppe Romeo non sarebbe mai arrivato alle vette del potere se non fosse stato per tre donne, ognuna proveniente da un mondo diverso, e ognuna in grado di far fare a Maluferru un salto di qualità nel suo lavoro.
In primo luogo, a San Luca, si è assicurato un posto fra le famiglie più “dinasticamente” importanti della zona sposando una donna di padre Strangio-Jancu e madre Mammoliti-Fischiante, due delle ‘ndrine più potenti.
Nel frattempo ad Anversa, gli inquirenti di Pollino ritengono che Romeo si appoggiasse per la gestione delle finanze a una donna cinese imparentata con “Coco”, fidanzata cinese di suo fratello Domenico.
Nelle carte dell’operazione Pollino si legge come l’appartamento di Coco venisse usato dalla Banda del Belgio come base logistica, ma che la donna avesse anche un altro indirizzo utile ai Romeo, nel quartiere a luci rosse di Anversa. Mascherato da centro estetico, secondo gli inquirenti sarebbe stato usato dai narcos come luogo da cui organizzare il trasporto di cocaina. Di fronte infatti c’era un parcheggio multipiano dove venivano caricati i doppi fondi delle auto dirette in Italia.
Ma la cosa fondamentale era un’altra. L’ipotesi è che le due donne cinesi abbiano garantito ai Romeo l’accesso a un sistema informale di trasferimento di denaro simile ad un “hawala”.
Un sistema geniale, su cui gli inquirenti si stanno ancora arrovellando, perchè non lascia tracce di transazioni economiche. Infatti, con il money-transfer gestito da questo gruppo di cinesi, i soldi non si spostano più: per pagare un carico e inviare denaro dall’Europa all’America Latina basta consegnare contanti ai gestori del sistema ad Anversa, ad esempio, i quali chiamando un partner cinese a, supponiamo, Città del Messico, garantiscono che la stessa somma venga consegnata in contanti al fornitore messicano.
Si sospetta che questo sistema sia gestito a livello centralizzato, con una holding economica probabilmente di base in Cina, ma con conti attivi in tutto il mondo e a cui sono legati i vari centri bellezza o negozi di facciata.
Un altra donna di importanza cruciale nella vita di Giuseppe Romeo è la compagna colombiana, quella che viveva con lui a Barcellona già dal 2016, e che gli inquirenti sospettano possa avergli fornito contatti tanto in Colombia quanto in Spagna.
Quel che è certo è che la donna gli ha offerto una facciata di legalità. OCCRP ha scoperto come da gennaio 2021 la donna abbia aperto una immobiliare nell’elegante quartiere di San Gervasi a Barcellona. All’indirizzo però c’è solo un appartamento residenziale dove «vivono due latinoamericane», dicono dei vicini che ricordano la recente visita della polizia.
L’agenzia immobiliare però due proprietà a Barcellona le ha acquistate davvero. Sono due appartamenti nel famoso barrio gotico, in un vicolo che fa angolo con Las Ramblas. Ad una prima occhiata i graffiti che coprono il portone restituiscono un senso di decadenza, ma dietro si cela un gioiello nascosto. L’edificio è del 1700 e gli appartamenti sono disposti attorno ad una corte interna decorata da colonne. Un investimento che in pochi si possono permettere.
Le poche informazioni disponibili sulle attività di Maluferru e dei Nirta in Costa Brava non vengono dalle intercettazioni bensì da un pentito, Daniel Panarinfo, che ha deciso di affidarsi alle autorità dopo aver perso un importante carico di cocaina che doveva andare a Nirta.
Scagnozzo di Bruno Nirta a Torino, Panarinfo ha raccontato di essere stato alcune volte a Barcellona e dintorni per aiutare il suo capo con la logistica del narcotraffico. Avevano in programma, racconta ai magistrati, di organizzare un traffico di cocaina liquida dall’Argentina alla Costa Brava grazie alla partecipazione di un imprenditore catalano che, proprietario di import-export di succhi di frutta, poteva offrire una copertura.
“Xavi”, l’imprenditore catalano, vantava contatti con narcos colombiani già avviati nel passato nonchè una chiara idea per la logistica.
Con un invitante prezzo di 12-13 mila euro al chilo, la cocaina liquida avrebbe viaggiato in barili di succo di frutta. Consegnata in un porto spagnolo, dove una gang di albanesi poteva facilmente farla uscire evitando i controlli, e da lì trasportata fino ad un magazzino appena fuori Barcellona, un chimico, tale Companero, l’avrebbe estratta e solidificata.
L’operazione Geenna non chiarisce se il piano sia stato messo in atto, ma “Xavi” risulta tuttora proprietario di una serie di aziende di import-export di succhi di frutta. Stando alle dichiarazioni di Panarinfo, al di là della collaborazione con i Nirta, Maluferru in quegli anni lavorava già a testa bassa per garantirsi forniture di cocaina. Da una parte si riforniva in Belgio, dagli Aquino di Maasmechelen che a loro volta godevano di ottimi contatti in Colombia e di un sistema di scarico molto ben rodato fra i porti di Anversa e Rotterdam. Da un’altra, Maluferru si riforniva dai cartelli messicani.
La prova sarebbe una partita di 170 chili di cocaina stoccati a Saronno, dove Romeo avrebbe ospitato gli stessi messicani. A gestire ospitalità e fare da magazziniere per lui era un certo “Pitti”, braccio destro di Maluferru e suo unico uomo di fiducia. Resta un fantasma per molto tempo, Pitti, fino a quando non spunterà molto più a Sud – in Africa – come vedremo nel prossimo capitolo.
Intanto però, anche a Romeo e Pitti ogni tanto un intoppo capitava. Romeo in persona avrebbe raccontato a Panarinfo come un commando in passamontagna avrebbe sfondato la porta dell’appartamento di Saronno una mattina alle cinque, rubandogli ben 70 chili della fornitura dei messicani. Intoppi che non hanno di certo fermato Romeo, pronto a infilarsi il mappamondo in tasca.
L’ingresso nel club dei grandi
Con lo scarico ad Anversa garantito sia dal rapporto con gli Aquino che dagli alleati di un altro clan di San Luca attivo in Belgio, i Fracascia, Romeo può concentrarsi a migliorare i suoi contatti con i fornitori, facendosi spazio in giri sempre più importanti.
Gli viene in aiuto l’alleanza con il clan reggente del mandamento, ovvero i Pelle-Gambazza, che nel frattempo avevano messo in piedi una solida base operativa in Argentina. Gli inquirenti ritengono sia grazie a loro che Maluferru guadagna il contatto con Rocco Morabito, uno dei più importanti broker della ‘ndrangheta fino al suo più recente arresto in Brasile, lo scorso maggio.
La rete intercontinentale di Giuseppe Romeo
Morabito, detto ‘U Tamunga, è famoso per aver stabilmente rifornito la ‘ndrangheta di cocaina da latitante in America Latina fin dal 1994. Catturato in Uruguay nel 2017, due anni dopo evade di galera clamorosamente, anche grazie all’aiuto del clan Pelle. Morabito poteva contare su diversi fornitori nel subcontinente Latinoamericano, compresi i colombiani del clan del Golfo, un gruppo paramilitare di estrema destra.
In aggiunta e grazie anche, loro malgrado, ai Giorgi-Boviciani, Maluferru entra poi in affari con Nicola Assisi, che assieme al figlio Patrick ha gestito una delle più importanti rotte del narcotraffico dal Brasile, grazie a un patto di ferro con il PCC, il Primeiro Comando da Capital, il cartello dominante a San Paolo, Brasile.
Il PCC ha da sempre rapporti tanto con le FARC in Colombia, quanto con produttori più piccoli in Perù e Bolivia, ma soprattutto tiene sotto controllo un importante rotta interna al Sudamerica, attraverso le praterie del Paraguay fino alla triplice frontera e il fiume Paranà.
Con tutti questi contatti a disposizione, l’organizzazione di Maluferru è al massimo del proprio potenziale. Anche la fortuna sembra assisterlo, tanto che non appena gli Assisi finiscono in manette nel 2019, Morabito scappa di galera, lasciando sempre una porta aperta per lui.
Ma a parte i colpi di fortuna, Giuseppe Romeo ha lavorato sodo per avere successo. Al contrario di quasi tutti i suoi clienti, compresi i Giorgi-Boviciani, Romeo stava particolarmente attento anche alla sicurezza informatica dei propri dispositibi e al tenore delle conversazioni telefoniche. «Tipo lui compra dieci telefoni che durano sei mesi ciascuno no? E ne dà uno a quello, uno a quello, e uno a quell’altro e uno se lo tiene per lui. Poi con quel contatto suo glielo dà ad un altro e si prende quello di quell’altro. Così si confondono le indagini», racconta un sodale intercettato nel corso dell’operazione Pollino.
Purtroppo per Maluferru però, il resto dell’entourage cantava ad alta voce. Gli inquirenti hanno infatti potuto scoprire molto sul suo conto, acquisendo dettagli “di seconda mano”, grazie alle conversazioni di fornitori e acquirenti meno attenti.
Container frigo e rip-off
Quasi tutta la cocaina del mondo proviene da Colombia, Bolivia o Perù. La maggior parte di quella che arriva in Europa passa per il Brasile, secondo le Nazioni unite. Il porto di San Paolo, Santos, gestisce circa l’80% di questa.
La coca in transito per l’Europa spesso passa per l’Africa occidentale, le Canarie e Madeira prima di arrivare in continente. Negli ultimi anni, la Costa D’Avorio ha assunto una crescente importanza come tappa.
Spesso infatti si cerca di usare rotte indirette, per sfuggire ai controlli a campione, e facendo in modo che il container cambi nave almeno una volta. L’ispettore della polizia belga De Nutte Pim, nella sua tesi di criminologia, indica che anche se questo sistema aggiunge dei rischi lungo il percorso, è piuttosto efficace nel proteggere i carichi alla loro destinazione finale.
Corruzione e altri sistemi di infiltrazione nei porti di transito sono spesso causa di un grave aumento della criminalità in genere nei Paesi utilizzati a questo scopo.
L’uso dei container è il metodo più affidabile e diffuso, riporta anche De Nutte. La droga viene o nascosta fra le merci oppure nella struttura stessa del container. Fin dal 2014 la polizia belga aveva notato diversi sistemi usati per nascondere i mattoni di coca nel telaio stesso del container.
I container refrigerati, detti “refeers”, sono spesso usati quando si deve nascondere il carico nella struttura perché hanno già diversi spessori usati per coibentare il carico. L’introduzione degli scanner a raggi X ha causato alcune complicazioni, ma i trafficanti si sono adattati e ora, circondata spesso da materiali organici, la coca è molto difficile da trovare.
Il carico può infatti essere nascosto direttamente nella frutta, o disciolta in liquidi come olio di palma e poi filtrata.
La cosiddetta tecnica del “rip-off” invece consiste nel nascondere la droga in un container senza che le aziende che inviano o ricevono ne abbiano idea, semplicemente aggiungendo borsoni comodi da spostare rapidamente dentro il container già pieno.
Ad Anversa, il New Fruit Warf, il principale molo dove arriva la frutta, è uno dei punti più caldi per i sequestri. In passato la ‘ndrangheta aveva corrotto diversi lavoratori del porto.
Alcuni trafficanti usano o creano da zero aziende di import-export per avviare traffici, la pratica è tanto comune che la polizia olandese esorta gli operatori del settore a denunciare le aziende che appaiono all’improvviso, specialmente se importano banane.
Spaghetti Connection
Acquisito il contatto con Nicola Assisi, Maluferru può puntare gli occhi all’Africa, e raffinare ulteriormente la rete logistica. Grazie all’accesso a documenti esclusivi, IrpiMedia ha potuto accertare come la sua longa manu si celasse dietro a un piano di importazione di cocaina costato pesanti condanne a quattro napoletani in Costa d’Avorio.
Nel 2018 Maluferru sta cercando di connettere Santos, il porto brasiliano da cui spedisce la cocaina Assisi, all’Africa. La tappa gli serve per un invio di carichi ad Anversa e Rotterdam con meno rischi: i container che trasbordano in Africa vengono controllati meno dalle dogane del nord Europa rispetto a quelli in arrivo dall’America Latina. Grazie a parenti sanlucoti di base a Milano, e connessi ad un giro di farmacie, Maluferru ottiene il contatto con un broker chiave: è un dentista svizzero a fare per lui i primi viaggi gancio, sia in America Latina che in Costa d’Avorio.
Ad Abidjan il dentista si muove con dimestichezza, salta da un contatto all’altro tra ristoratori italiani e imprenditori legati alla camorra, fino a quando non arriva al profilo ideale: Angelo Ardolino.
Imprenditore proprietario di due aziende in loco, una – la A.G.L. sarl – per l’importazione di materiali da costruzione e l’altra per l’importazione di frutta, Ardolino è anche parente acquisito, grazie alla sua compagna ivoriana, di un importante ufficiale delle dogane al porto ivoriano.
Insomma, tutto ciò che serve a Romeo, che nel 2018 si reca di persona ad Abidjan per incontrare Ardolino stesso. Servono permessi di soggiorno per restare nel Paese a lungo però, e così grazie all’intermediazione di una poliziotta locale Romeo ottiene un visto come impiegato della A.G.L. sarl per lui e per i suoi collaboratori di San Luca. Non viaggia infatti da solo Maluferru, ad Abidjan lo seguono Antonio Nirta, l’ultimo dei fratelli Nirta rimasto (Bruno viene arrestato in Geenna e Giuseppe ucciso in Spagna), e una coppia che deve avere confuso un pò l’immigrazione all’aeroporto: due cugini, omonimi, due Giuseppe Giorgi distinti solo dall’anno di nascita, e appartenenti alla stessa famiglia, il clan Giorgi alias Bellissimo. Parenti, quindi, di Maluferru dalla parte della madre. Un legame di sangue fortissimo che per Romeo è una garanzia, infatti uno dei due è il suo fedele “Pitti” – lo stesso che due anni prima si occupava di stoccare la cocaina per lui a Saronno.
Con Nirta e i due Giorgi la squadra è al completo, e con l’aiuto dei napoletani si apre all’importazione di cocaina dal Brasile. Il piano, affinato da Ardolino con un viaggio in Brasile, è semplice: la cocaina si sarebbe nascosta in importazioni di macchine da costruzione.
Il 17 settembre 2018 la polizia federale brasiliana intercetta oltre una tonnellata di cocaina nascosta dentro i rulli dei caterpillar. Ad avere organizzato la spedizione è la Brazilian Ocean Eireli, un’azienda di Jorge Luiz Junior, un brasiliano sospettato di contatti con i narcos del PCC. Secondo gli inquirenti, è plausibile che il carico sia stato organizzato con l’aiuto di Nicola Assisi.
La gang di Maluferru però non dà troppo peso al sequestro, pensando a un colpo di sfortuna, e continua a muoversi in terra africana. Le polizie di Brasile, Italia e Costa D’Avorio a quel punto sono tutte e tre all’erta. In un’operazione congiunta – la cosiddetta Spaghetti Connection appunto – pedinano il dentista in uno dei suoi viaggi ad Abidjan e questi, ignaro, li porterà fino agli uomini di Romeo.
Un passaggio che agli ivoriani non interessa, hanno fretta di chiudere e così il 5 giugno 2019 arrestano i napoletani e altri sodali locali.
Prima di essere presi però, ancora prima del sequestro a Santos, la gang è riuscita a mettere a segno almeno due importazioni tra la Brazilian Ocean Eireli e A.G.L. sarl: nel 2017 e ad aprile 2018. Non vi è conferma della presenza di cocaina, visto che le informazioni doganali arriveranno a posteriori, ma gli inquirenti ritengono ci sia un’alta probabilità che anche questi carichi contenessero droga. Non solo, si ipotizza che anche l’azienda di frutta di Ardolino possa essere servita come copertura, ma è ormai un caso irrisolto. «È stato impossibile provarlo – spiega a IrpiMedia uno degli inquirenti – perchè quando abbiamo iniziato a indagare, il sistema era già attivo da tempo e la magistratura della Costa d’Avorio ha armi spuntate».
Anche se risparmiato dall’operazione della polizia ivoriana, già da dicembre 2018 le cose per Maluferru si complicano a causa del mandato d’arresto di Pollino. Un punto fermo però ad Abidjan resta, anche senza napoletani. Infatti, il braccio destro di Romeo, “Pitti”, a febbraio 2019 apre una società di import-export con la sede più riservata possibile, una casella postale nell’esclusivo quartiere Marcory di Abidjan. Pronti, insomma, a continuare.
Schizzatissimo e prepotente
Poco più che trentenne, Maluferru era già noto a molti altri narcotrafficanti, anche se non tutti ne avevano una buona impressione. Il collaboratore Panarinfo lo descrive «basso, un po’ stempiato» con «una cicatrice o dei brufoli sugli zigomi, fisico asciutto, capelli biondo cenere e non tanto lunghi».
Alessandro Giagnorio, uno dei corrieri di Romeo arrestato alla guida di un’Audi con 420 mila euro in contanti, lo descrive in termini tutt’altro che adulatori. «Piccoletto, minuto, schizzatissimo, prepotente e maleducato. Quando dico “schizzatissimo” intendo dire che in tre minuti ti diceva tutto quello che dovevi fare, con grande rapidità, parlando con marcata inflessione calabrese, dovevi stare molto attento per capire ciò che diceva».
Maluferru ha una reputazione da mina vagante. “U Pacciu”, il pazzo, era un altro dei suoi soprannomi. Sempre arrogante perché, raccontano di lui, era abituato a essere trattato con deferenza da tutti gli altri affiliati che lo circondavano.
Una volta Romeo aveva mandato Giagnorio ad un ristorante di proprietà di Walter Cesare Marvelli, uomo dei Giorgi-Boviciani, a prendere dei contanti per spese di viaggio. Marvelli, in una conversazione successiva, racconta di come il tono di Maluferru l’avesse infastidito: «Di domenica pomeriggio… ti mando uno fra un’ora da te in pizzeria… gli dai mille euro che è rimasto senza soldi… che arriva dalla Francia». «Io gli ho detto “Ma tu scherzi… io sono in centro a Torino con la famiglia… Oh!! È domenica”».
Per quanto si potessero lamentare l’uno dell’altro, di persona mantenevano un rapporto abbastanza amichevole. Ma già verso la fine del 2018, secondo le intercettazioni contenute nelle carte di Platinum, il rapporto cominciava a rovinarsi inesorabilmente. I Giorgi infatti, che comprando cocaina direttamente da Maluferru in Europa la pagavano a caro prezzo, sospettano che Romeo li stesse fregando. Giovanni Giorgi si lamenta con Marvelli, dice che Maluferru finge di comprare la coca a 27 mila euro al chilo, ma invece «la comprava a 24 e si rubava già tre (intendendo una cresta di tremila euro, ndr)». Lamentele che però non portano i Giorgi lontano. Non solo, più si lamentavano, più la polizia raccoglieva informazioni.
La caduta di Maluferru
Scalando e scavalcando tutto e tutti, seppure giovane Maluferru in vent’anni aveva praticamente lavorato con tutti i più grossi trafficanti del mondo, compresi – a sentire le intercettazioni dei Boviciani – i suoi eroi Los Zetas.
Nonostante il grande successo però, una combinazione di eccesso di arroganza, vulnerabilità dei soci, e duro e costante lavoro di polizia alla fine lo porteranno alla caduta. Maluferru si era fatto una brutta fama di doppiogiochista, e cercava sempre di fare in modo che gli altri fossero in debito con lui. Tali tattiche possono funzionare bene nel breve periodo, ma alla lunga possono ritorcersi contro chi le mette in campo.
Dopo gli arresti dell’operazione Pollino il resto della Banda del Belgio finisce in manette. Maluferru riesce a darsi latitante, ma le prove contro di lui si stanno accumulando. Neanche un anno dopo, cade anche la manovalanza napoletana in Costa D’Avorio.
Una volta arrestato dalla polizia ivoriana, Ardolino ammette di conoscere Maluferru, e dice che quest’ultimo aveva due milioni di euro pronti da investire ad Abidjan. Nelle perquisizioni la polizia trova copia dei documenti dei calabresi, una conferma del loro coinvolgimento diretto. La poliziotta ivoriana ritenuta una mediatrice locale e in seguito assolta dalle accuse, ammette di avere aiutato i calabresi con i documenti e di aver affittato una casa per loro. A febbraio 2021 poi un tribunale ivoriano condanna i quattro napoletani a 20 anni di galera. Il cerchio si stringe, ma Maluferru resta un fantasma.
Alcuni mesi ancora di febbrile lavoro silenzioso – a cercarlo sono i Carabinieri di Torino e la Mobile di Reggio Calabria – e a marzo 2021 la Guardia Civil spagnola è pronta ad arrestare Maluferru, localizzato a Barcellona.
Nonostante tutti i nemici che si è fatto lungo il percorso, tutti gli riconoscono dimestichezza nel mestiere. Anche i Giorgi-Boviciani, pur prendendolo in giro, ammettono.
«Il Nano sai», dice Giovanni Giorgi in una conversazione intercettata nel suo appartamento in Sardegna, «se vuoi lui ce l’ha (la cocaina). Questione di qualche giorno».
«Maluferru», risponde un altro interlocutore, «la piega là sotto (la traffica, ndr) come manco… mancu li cani» – in questo contesto un’espressione usata per intendere “come nessun altro”.
Maluferru in effetti spostava carichi di cocaina “come nessun altro”. Anche i più astuti narcos però a volte cadono, soprattutto quando i loro alleati parlano liberamente, pensando di non essere intercettati. Ed è così che la Guardia Civil lo scova a San Gervasi, Barcellona, l’11 marzo 2021.
«Erano in tanti a volerlo catturare», ha dichiarato a IrpiMedia un ufficiale della Guardia Civil che ha coordinato l’arresto di Maluferru. «Gli italiani ci avevano avvisato che probabilmente era a Barcellona. E qui lo abbiamo preso».
CREDITI
Autori
Cecilia Anesi
Margherita Bettoni
Giulio Rubino
Ha collaborato
Luis Adorno
Leanne de Bassompiere
Nathan Jaccard
Jelter Meers
Benedikt Strunz
Illustrazioni
Mappe
Editing
Brian Fitzpatrick
Luca Rinaldi