#GreenWashing
Matteo Garavoglia
Sharm El-Sheikh è la capitale delle contraddizioni egiziane. Ha ospitato la Cop27, la conferenza mondiale per il clima, uno dei più attesi eventi mondiali per dare risposta all’emergenza ambientale. Il governo egiziano, per l’occasione, ha sfoggiato investimenti in energie rinnovabili e ha fornito a Sharm El-Sheikh una nuova flotta di veicoli non inquinanti. Un’operazione di facciata: il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha bisogno di fare cassa e la via più facile è ancora quella dell’esportazione delle fonti fossili, di cui l’Europa ha sempre più fame. Sharm El-Sheikh, dal canto suo, è un continuo cantiere di nuovi resort.
Il turismo di massa, sul quale la classe dirigente egiziana punta forte, in nome di guadagni a breve termine sta mettendo sempre più a repentaglio due dei motivi principali del suo stesso successo: la barriera corallina e il suo patrimonio archeologico. Benvenuti in Egitto, al crepuscolo del 2022.
I silenzi dopo la Cop27
La ventisettesima Conferenza delle parti, meglio conosciuta con la sigla Cop27, avrebbe dovuto porre l’attenzione sui problemi climatici della sfera Sud del mondo e ottenere un significativo cambio di rotta rispetto all’odierna situazione ambientale. Per un meccanismo di alternanza tra i continenti, questa edizione avrebbe dovuto essere in Africa e l’Egitto è stato l’unico Paese a presentarsi. Si è tenuta dal 6 al 20 novembre e ha portato circa 40 mila visitatori al Centro congressi internazionale di Sharm El-Sheikh realizzato dall’italiana Tonino Lamborghini.
Gli interventi sulla rete stradale realizzati nei mesi precedenti la Cop27 non hanno riguardato solo nuove viabilità: decine di chilometri di strade esistenti sono state allargate. Nell’immagine una superstrada a quattro corsie aumentata a dodici.
I risultati ottenuti dalla conferenza sono stati piuttosto modesti, secondo diversi commentatori. Non per le stesse Nazioni Unite, che considerano «una svolta» l’inserimento nel documento conclusivo del meccanismo risarcitorio definito loss and damage, «perdite e danni». Il sistema riconosce il diritto a una compensazione per i Paesi in via di sviluppo maggiormente interessati dai cambiamenti climatici, provocati finora dai Paesi più sviluppati.
Nessun passo avanti invece sul phase out, la fase di uscita dall’uso del carbone e altri elementi inquinanti, un argomento di dibattito da decenni. La Cop nasce infatti a seguito dei cosiddetti Accordi di Rio de Janeiro del 1992 per ridurre le emissioni di gas serra. La cancellazione del carbone e dei combustibili fossili sarebbe quindi fondamentale in vista di quest’obiettivo, reso tuttavia complicato dall’opposizione dei Paesi che ne fanno più uso come Cina o India.
La Cop è il principale strumento per prendere decisioni in merito a quanto stabilito dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC), carta del 1994 che perimetra le azioni per contrastare i cambiamenti climatici. Le “parti” che dialogano durante la conferenza sono i Paesi più e meno ricchi, le organizzazioni sovranazionali come le Nazioni Unite o l’Unione europea e osservatori accreditati provenienti anche dalla società civile. I tavoli di discussione sono su due livelli: uno mondiale, dal quale emergono gli accordi internazionali e l’altro più regionale, nel quale il Paese ospitante ha maggiore voce in capitolo. Questo secondo tavolo è sempre stato il principale interesse per l’Egitto.
Mano a mano che si avvicinava il giorno di chiusura della conferenza, però, tra gli analisti presenti in Egitto una voce si è fatta sempre più insistente: «La presidenza non sta lavorando bene. Non comunica con le parti, le bozze vengono trasmesse in ritardo e in generale c’è un silenzio mai visto prima».
La Sharm El-Sheik di Hosni Mubarak
È alla fine degli anni Novanta che Sharm El-Sheikh è stata ribattezzata «la città del presidente». Il riferimento era a Hosni Mubarak, l’ex militare che ha guidato il Paese per 30 anni, fino alla deposizione nel 2011. Mubarak ha messo le basi per lo sviluppo del turismo di massa e ha scelto la regione del Sinai come luogo per una serie di importanti incontri internazionali. Con gli anni Duemila, però, per il Sinai sono arrivati nuovi problemi che hanno interrotto il processo di trasformazione: a partire dal 2004, il Sud della regione è stato coinvolto in diversi attacchi terroristici; dal 2008, tutto l’Egitto ha dovuto affrontare una pesante recessione; nel 2011, appunto, la Primavera araba ha portato la Rivoluzione a Il Cairo. Per diversi anni l’area è stata instabile, come dimostra l’attacco dell’Isis a un volo di linea che trasportava 224 passeggeri russi nell’ottobre 2015.
Gli accordi fossili dell’Egitto
Quello di cui si è taciuto durante la Cop sono le concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e combustibili fossili dalle quali l’Egitto continua a incassare. Solo la società di oil&gas italiana Eni ne ha 13, compresa Shourouk, un’area di 3.745 chilometri quadrati nel Mediterraneo. Al suo interno si trova Zohr, il più ricco giacimento di gas (riserva stimata: 30 milioni di miliardi di metri cubi) scoperto nel bacino mediterrano. «Questo successo esplorativo offrirà un contributo fondamentale nel soddisfare la domanda egiziana di gas naturale per decenni – commentava nel 2015 l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi -. Questa scoperta storica sarà in grado di trasformare lo scenario energetico di un intero Paese, che ci accoglie da oltre 60 anni».
Secondo l’ultimo rapporto dell’associazione ReCommon, Zohr vale il 30% della produzione totale della società italiana, il 60% di quella egiziana. Una situazione che garantisce ingenti introiti a entrambi le parti e che dal 2016 ha portato Eni a investire 11,6 miliardi di euro in Egitto. All’apertura della Conferenza dell’energia egiziana, a ottobre 2022, il presidente al-Sisi ha dichiarato che senza la ridefinizione dei confini marittimi grazie ai quali Zohr è una risorsa nazionale, l’Egitto sarebbe finito al buio a causa delle scarsità di risorse per produrre energia elettrica, riportano i giornali egiziani. Eppure Il Cairo preferisce sacrificare il fabbisogno interno pur di garantire l’export, in particolare in Europa. Il deficit viene colmato dall’utilizzo di mazut, una miscela di idrocarburi che contiene tossine come solfuri e metalli pesanti e ha un forte impatto sull’ambiente.
Secondo i dati dell’Agenzia egiziana di regolamentazione per l’elettricità e la protezione dei consumatori, a ottobre 2022 la percentuale di mazut impiegato nelle centrali elettriche era del 30%, nel 2021 era poco meno del 4%.
«A maggio scorso l’Egitto ha pubblicato la sua strategia per ridurre le emissioni di carbone entro il 2030. I più ottimisti affermano di voler portare le rinnovabili entro quell’anno al 42%. È impossibile, al momento non valgono più del 10% su scala nazionale», spiega a IrpiMedia Mariam Attalla, ricercatrice all’Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po). «L’Egitto vuole presentarsi come un hub dell’energia, da una parte continua a firmare accordi sul gas, dall’altra promuove l’utilizzo di energie rinnovabili – commenta Giulia Giordano del think tank Ecco – una tendenza che si è aggravata con la crisi energetica in corso ma che esiste già dal 2018, quando il giacimento Zohr gestito da Eni è entrato completamente in funzione».
Eppure nei giorni della Cop27 i diplomatici egiziani si sono dati da fare per stringere nuovi accordi “puliti” con l’Europa. Durante il suo discorso alla conferenza, il presidente al-Sisi ha dichiarato che «i Paesi in via di sviluppo, incluso l’Egitto, stanno facendo passi da gigante» nello sviluppo dell’idrogeno verde, riferendosi a un accordo fresco di firma stretto da Il Cairo con il governo norvegese per costruire un mega impianto all’idrogeno sul Mar Rosso. Sempre durante la Cop27, l’Egitto ha siglato un memorandum of understanding con la Commissione europea per cooperare su produzione, consumo e vendita di idrogeno, riportano i media egiziani.
«Era da tempo che aspettavo questo momento. Dobbiamo decarbonizzare rapidamente le nostre società e le nostre economie. Ma non vogliamo farlo con la deindustrializzazione», è stata la reazione del vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans.
Un altro accordo, il più importante, lo ha annunciato lo stesso presidente degli Stati Uniti Joe Biden alla conferenza: 500 milioni di dollari da parte di Stati Uniti, Unione europea e Germania per facilitare il processo di decarbonizzazione dell’Egitto. Un pacchetto che «consentirà di distribuire 10 gigawatt di energia rinnovabile entro il 2030 riducendo le emissioni in Egitto e nel settore energetico del 10%».
I progetti rinnovabili egiziani, sostiene la ricercatrice di SciencesPo Attalla, non stanno procedendo secondo i piani del governo, anche se le promesse di produzione di energia verde sono un traino importante per gli investimenti esteri, soprattutto quelli dell’Unione europea: «L’idrogeno non è una priorità per l’Egitto: che sia verde o blu costa troppo e il Paese non può permettersi questo tipo di investimenti», conclude.
Idrogeno verde e idrogeno blu
I due “colori” dell’idrogeno indicano due tipologie di prodotti molto diversi. L’idrogeno verde è prodotto con un processo di elettrolisi dell’acqua, molto costoso ma completamente privo di emissioni climalteranti. Quello blu, invece, produce molta anidride carbonica, che andrebbe a sua volta catturata.
Per approfondire, consigliamo la lettura di La partita dell’idrogeno, le lobby in campo per orientare il Green Deal.
In giugno, Israele, Unione europea ed Egitto hanno siglato un altro memorandum sul gas in cui le tre parti «si impegneranno a lavorare collettivamente per consentire una fornitura stabile di gas naturale all’Ue che sia coerente con gli obiettivi di decarbonizzazione a lungo termine e si basi sul principio dei prezzi orientati al mercato». In cambio, la presidente della Commissione europea ha garantito un aiuto da 100 milioni di euro per rispondere alla carenza di grano a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina, fornitrice di circa l’80% del grano consumato in Egitto.
Cemento su Sharm, la barriera corallina è sempre più in pericolo
Per accogliere i visitatori della Cop27, Sharm El-Sheikh si è trasformata: ha implementato un sistema di bus elettrici gratuiti, un sistema di illuminazione in gran parte alimentato da energie rinnovabili e un sistema di riuso delle fonti idriche. Investimenti notevoli per una regione che storicamente soffre di scarsità d’acqua.
Le buone notizie, però, finiscono qui. Se c’è un lascito della Cop27 nella città egiziana, sarà certamente l’asfalto utilizzato per rifare le strade limitrofe ai luoghi della Conferenza – oltre al Centro congressi Lamborghini, anche due strutture temporanee. In alcuni casi sono state anche allargate da quattro a dodici corsie, lasciando più di un dubbio sul loro reale funzionamento futuro in un’area che storicamente non ha mai sofferto problemi di traffico urbano. L’altro aspetto da tenere in considerazione è che queste arterie stradali sono già state oggetto di rifacimento nel 2018. La colata di asfalto nel 2022 è stata gettata solo in vista della Cop27.
Poi ci sono le fonti di inquinamento storiche: Sharm El-Sheikh è il secondo scalo aeroportuale egiziano. Il turismo di massa, fondamentale fonte di reddito, garantisce all’erario egiziano 6,5 miliardi di euro all’anno. I visitatori però sono da tempo troppi: il solo parco naturale di Ras Muhamad – l’estrema punta meridionale della penisola del Sinai, dove si trova Sharm – negli anni pre Covid-19 accoglieva circa 200 mila persone all’anno al netto di una soglia raccomandata di circa 7-15 mila.
La collaborazione con PlaceMarks
PlaceMarks è un progetto giornalistico che elabora e analizza immagini satellitari allo scopo di evidenziare i cambiamenti ambientali, sociali e territoriali.
I lavori a Sharm El-Sheikh sembrano non finire mai. La costante costruzione di nuovi resort di lusso per accogliere nuovi turisti ha completamente trasformato le coste, arrivando a impedire ai locali l’accesso libero alle spiagge. Le immagini satellitari mostrano decine di cantieri aperti per nuovi alberghi che risalgono al periodo precedente la pandemia di Covid-19.
Per quanto manchino studi quantitativi sul tema, il ricercatore del Tokyo Institute of Technology Ahmed Eladawy sottolinea in un’intervista a IrpiMedia che l’impatto del turismo di massa sugli oltre 1.500 chilometri di barriera corallina del Mar Rosso minaccia di far perdere allo Stato entrate per 5,3 miliardi di euro all’anno entro il 2100.
Il bollino di sostenibilità
Nel 2017 l’Egitto ha redatto il suo primo NDC, sigla inglese che identifica il piano nazionale che i Paesi che partecipano alle Cop sul clima si possono impegnare a perseguire per contenere le proprie fonti inquinanti, con obiettivi a medio e lungo termine (2030 e 2050). L’Egitto ha firmato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la carta che dà accesso ai tavoli negoziali della Cop, nel 1994 ed è stato uno dei primi Paesi a chiedere il rispetto del principio di rispondere a questi effetti a seconda del grado di responsabilità delle emissioni.
Già nel 2017 il turismo occupava un posto di primo piano per la possibile transizione energetica: «Il settore deve sforzarsi a utilizzare strutture a basse emissioni di carbone e rendere più ecologici gli hotel e i resort, principalmente attraverso l’uso di energie rinnovabili».
L’associazione degli alberghi egizianI (Eha) per dimostrare il proprio impegno per il clima ha così istituito una certificazione valida due anni attraverso cui i proprietari di hotel possono attestare «la loro conformità alle pratiche ecologiche come il risparmio energetico, la conservazione dell’acqua e la formazione del personale», scrive il sito di informazione egiziano Mada Masr, reso visibile durante la Cop27 dopo cinque anni di oscuramento. La certificazione, molto sponsorizzata dalle autorità pubbliche, costa tra i 200 e i duemila euro e a Sharm El-Sheikh è stata ottenuta da 120 alberghi sui 160 e 60 centri di immersione, scrive il sito.
Archeologia a rischio: il monastero di Santa Caterina
«Il monastero ortodosso di Santa Caterina sorge ai piedi del Monte Horeb dove, secondo l’Antico Testamento, Mosè ricevette le Tavole della Legge. L’intera area è sacra per il Cristianesimo, l’Islam e il Giudaismo». Lo scrive l’Unesco sulla pagina del proprio sito. Dal 2002, il Monastero di Santa Caterina è patrimonio dell’umanità. Vent’anni dopo quel riconoscimento, il presidente al-Sisi ha presentato il Great Transfiguration Project, un piano governativo per trasformare l’area, che si trova a 200 chilometri da Sharm El-Sheikh, in un polo turistico con hotel, campi da golf e mercatini per vendere prodotti tipici del Sinai ed erbe medicinali.
«Il progetto è finanziato dalla Autorità per le nuove comunità urbane sulla base delle direttive del presidente Abdel Fattah al-Sisi per sviluppare l’area di Santa Caterina che gode di un alto valore storico e spirituale», furono le parole del ministro dell’edilizia Assem al-Gazzar al momento del lancio del progetto.
I tempi e i costi di realizzazione, però, non sono stati ancora stimati. L’ultimo aggiornamento risale a gennaio 2022, quando al-Sisi si è fatto immortalare mentre osserva un plastico dell’area di Santa Caterina in una riunione con funzionari e progettisti. In quell’occasione i giornali egiziani hanno riportato un costo previsto, per la prima fase di costruzione, di circa 255 milioni di dollari.
Qualcuno sta cercando già ora di misurare l’impatto del Great Transfiguration Project sulla popolazione locale e sull’ambiente. «I lavori sono iniziati a fine 2021. Anche se non ci sono stime, grazie a fonti sul campo si può dire che siamo al 70% dei lavori terminati», afferma Mohannad Sabry, giornalista investigativo che abita nella regione. Sottolinea quanto il progetto si trovi «in un ambiente molto fragile», «un’area archeologica protetta» dove le leggi egiziane limitano in teoria la possibilità di costruire. «Questo progetto – afferma – viola diverse leggi, si tratta di mera speculazione. Saranno versati migliaia di metri cubi di cemento in un’area a rischio come il santuario di Santa Caterina», conclude.
IrpiMedia ha ottenuto una copia del piano di sviluppo del governo, risalente al marzo 2021 e promosso dal ministero dell’Edilizia, che mostra l’impatto della costruzione di un nuovo ecolodge, ovvero una struttura ricettiva a impatto ambientale minimo. A vedere i progetti, di minimo non ha nulla: si parla di una fascia di cemento armato con 216 stanze su 16.950 metri quadrati e ancora un hotel sviluppato su 20.855 metri quadrati, il rinnovamento del centro turistico locale per un totale di 5.876 metri quadrati, la costruzione di nuove abitazioni stimate a 700 unità e 440 chalet, 450 ville, 4 hotel e 490 chalet di benessere. Il tutto a scalare una montagna e a riempire una valle dove prima sorgeva natura incontaminata.
Questo è l’impatto a livello di numeri su una città che a oggi conta novemila persone ma che presto potrebbe portare migliaia di lavoratori da diverse zone dell’Egitto, i quali probabilmente confluiranno dalla nuova autostrada che collegherà Santa Caterina ad al-Tur, nel golfo di Suez. Settanta chilometri lungo la valle di Hebran che secondo gli esperti, vista la natura orografica del Sinai meridionale, potrebbero aumentare i rischi di inondazioni nell’area.
«La popolazione locale sta già cominciando a pagare il prezzo, è la prima che paga – prosegue il giornalista Sabry – ci sono case che sono state demolite, anche il cimitero locale e le autorità non hanno avvisato nessuno».
Quando si parla di popolazione, in questa zona bisogna fare riferimento alle tribù o confederazioni beduine che da secoli vivono nel Sinai del sud. A Santa Caterina c’è il gruppo dei Jebeliya, letteralmente “il popolo della montagna”, che da sempre ha vissuto di coltivazioni, piccoli allevamenti e ai margini della società egiziana, storicamente inospitale nei confronti delle persone di origine beduina, che con il nuovo sviluppo immobiliare rischia di essere esclusa dai suoi territori, come già accaduto a Sharm El-Sheikh.
«Pensare di costruire un progetto di questo tipo non ha logica – aggiunge Sabry -. Santa Caterina richiama un turismo legato alla religione e al culto di luoghi sacri, è molto diverso rispetto a luoghi come Sharm El-Sheikh. Il secondo problema è che in Egitto c’è ancora un problema di sicurezza legato agli attentati del 2011 e non ci sono più i numeri di una volta. Il terzo è che la popolazione locale non riceverà benefici da queste opere perché di fatto è già stata spostata con la forza. Se si vuole chiamare con il suo nome, qui si vuole proporre una Las Vegas, è un progetto megalomane».
Nei Vangeli di Marco, Luca e Matteo, si narra che Gesù, per mostrarsi ad alcuni discepoli, «trasfigurò»: cambiò cioè aspetto, mostrandosi più bello e vestito di abiti candidi. Anche Santa Caterina sembra destinata a trasfigurare: da sacro a profano. O a qualcosa di peggio.
CREDITI
Editing
Cecilia Anesi
Lorenzo Bagnoli
Map data
Google/Maxar
Foto di copertina
Uno scorcio della costa egiziana. Forme curve e sinuose, grandi edifici in linea o piccole costruzioni isolate: sono le geometrie caotiche disegnate dai resort, pensati e progettati come mondi a sé stanti, senza alcuna relazione col contesto circostante
(Placemarks)