#RecoveryFiles
Francesca Cicculli
Carlotta Indiano
Le compagnie automobilistiche europee sono tra i maggiori beneficiari del Recovery Fund, il piano di investimenti – 723,8 miliardi di euro – preparato dalla Commissione europea per sostenere le economie degli Stati membri dopo la pandemia. Tra gli obiettivi del Piano quello di accelerare la transizione verde, ma numerosi gruppi lobbistici da mesi lavorano per orientare gli investimenti su attività che contemplino ancora l’utilizzo di combustibili fossili.
Nella primavera del 2020, nei giorni precedenti alla presentazione del Recovery Fund, una delegazione impressionante di produttori di automobili, riuniti nei gruppi lobbistici ACEA e CLEPA, si è riunita per discutere con gli europarlamentari delle misure da adottare per far rinascere il loro settore, dopo i danni economici subiti a causa delle misure anti-Covid.
I Ceo di Fiat Chrysler, Jaguar Land Rover, Scania AB, Volkswagen e molti altri capi del settore avevano calcolato, infatti, che la chiusura delle fabbriche di automobili aveva provocato una perdita di produzione di 2,4 milioni di veicoli, con un calo delle vendite di oltre il 95% nei principali mercati dell’Ue. «Un crollo quasi totale», secondo quanto riferito dal direttore generale dell’ACEA Eric-Mark Huitema a Thierry Breton, commissario europeo per il commercio, e Frans Timmermans, l’uomo del Green Deal.
I leader del mercato automobilistico avevano tutto l’interesse, in quell’occasione, ad assicurarsi gli investimenti del Recovery per rilanciare i propri impianti di produzione. In cambio, l’industria automobilistica europea, che fino a quel momento aveva esitato a impegnarsi nella transizione verde, ha promesso alla Commissione di produrre sempre più veicoli a basse emissioni. «Soluzioni vantaggiose per tutti, che rispondono alle pressanti esigenze ambientali, industriali e sociali», come ha detto Sigrid de Vries, segretario generale della lobby delle forniture automobilistiche CLEPA durante l’incontro.
Eppure, gli stessi produttori che hanno partecipato a questa riunione si sono poi rifiutati di firmare l’accordo per le auto elettriche in occasione del vertice sul clima (COP26) di Glasgow, nel novembre 2021. Volkswagen, Stellantis, Renault e BMW hanno chiesto di considerare tutte le alternative tecnologiche possibili per la transizione dell’automotive. “Neutralità tecnologica” e “carburanti alternativi” sono diventati i cavalli di battaglia per evitare che la Commissione e i governi europei investissero solo nelle auto elettriche e considerassero anche i motori termici esistenti nelle politiche future.
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The Recovery Files
Questa è la seconda uscita di Recovery Files, un progetto di ricerca paneuropeo che indagherà le spese dei fondi di ripresa e resilienza nei mesi a venire. Il progetto è coordinato da Follow the Money, piattaforma di giornalismo olandese.
Il progetto d’inchiesta è importante non solo in termini di quantità di investimenti pubblici – circa 725 miliardi di euro – ma anche per il modo in cui questa enorme quantità di denaro verrà spesa.
IrpiMedia lavora al progetto insieme al resto del team di Recovery Files:
Attila Biro, Rise (Romania)
Atanas Tchobanov, Bird.bg (Bulgaria)
Hans-Martin Tillack, Die Welt (Germania)
Petr Vodsedalek, Denik (Repubblica Ceca)
Anuska Delic/Matej Zwitter, Ostro (Slovenia)
Gabi Horn, Atlatszo (Ungheria)
Marie Charrel, Le Monde (Francia)
Peter Teffer/Remy Koens/Lise Witteman, Follow the Money (Paesi Bassi)
Piotr Maciej Kaczynski, Euractiv.com e Onet.pl (Polonia)
Staffan Dahllöf, DEO.dk (Danimarca/Svezia)
IrpiMedia ha inoltrato diverse richieste FOIA alla Commissione europea scoprendo almeno un centinaio di incontri tra questa e i vari gruppi lobbistici legati all’automotive.
L’ACEA è quella che si è spesa di più per i carburanti alternativi. Nel loro Manifesto 2019-2024, girato alla Commissione a settembre 2019, il gruppo ha chiesto agli europarlamentari di finanziare la transizione verso una mobilità a zero e basse emissioni (ZLEV) sostenendo politiche in grado di provvedere alla mancanza di infrastrutture di ricarica elettrica e di rifornimento di carburanti alternativi in Europa; la produzione e il riciclaggio delle batterie e di garantire una transizione ai ZLEV che non influisca negativamente sull’occupazione nel settore. «Imporre tecnologie specifiche vincola l’innovazione. L’Europa prospererà solo se alle persone verrà offerta più scelta possibile», scrive l’ACEA nel suo Manifesto per giustificare la necessità di guardare oltre l’elettrico che secondo loro, risulterebbe economicamente inaccessibile per molti dei consumatori europei.
Dopo la pubblicazione del Manifesto, ACEA ha continuato a battere sulla necessità di una transizione dell’automotive basata sui combustibili alternativi, tanto da richiedere ancora oggi la modifica della Direttiva sull’Infrastruttura per i Combustibili Alternativi e renderla un regolamento vincolante per tutti gli Stati membri. La Direttiva dovrebbe imporre l’installazione di un milione di punti di ricarica elettrica nel 2024 e tre milioni nel 2029 per autovetture e furgoni, nonché circa 1.000 stazioni di idrogeno entro il 2029, così da facilitare l’aumento delle immatricolazioni dei veicoli elettrici e a carburanti alternativi.
Chiedono infine alla Commissione di esaminare con attenzione i PNRR degli Stati membri e rendere obbligatori gli investimenti per le infrastrutture per i combustibili alternativi. Ma la Commissione, in un primo momento, sembra escludere quest’ultima possibilità. In un incontro online tra Sustainable Transport Forum e il Direttorato generale per il trasporto e la mobilità del 29 aprile 2021, la Commissione dichiara che il Recovery Plan dà priorità ai veicoli elettrici o a zero emissioni e che, seppur non ci sia una esclusione esplicita dei carburanti alternativi, per il principio del “Do Not Significant Harm”, non arrecare danno all’ambiente, è altamente improbabile che questi vengano finanziati dai fondi del Recovery.
Eppure la Commissione europea ha approvato PNRR che includono anche possibili finanziamenti ai combustibili alternativi, come idrogeno o metano sintetico. È il caso del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano che, nella versione in inglese inviata all’Europa, alla missione 2, dedicata alla Rivoluzione verde e alla transizione ecologica, specifica la volontà di «promuovere l’uso di carburanti alternativi e il rinnovo delle flotte sostituendo i veicoli più inquinanti con veicoli a zero e basse emissioni». Per il governo italiano, gli e-fuel sono promettenti per diverse ragioni: è più facile, rispetto all’idrogeno, stoccarli e integrarli nelle infrastrutture esistenti e hanno una maggiore capacità di entrare in diversi mercati (aviazione, navigazione, trasporto merci, riscaldamento edifici e settore petrolchimico). Sempre nel PNRR italiano si legge che «l’idrogeno è una delle opzioni più promettenti per la decarbonizzazione dell’industria, della mobilità, e della produzione di energia e per il riscaldamento domestico».
L’Italia sembra quindi appoggiare il concetto di “neutralità tecnologica” perché necessaria alla transizione ecologica anche del settore dei trasporti. Ma produrre metano sintetico non è così semplice e conveniente.
Il metano sintetico
I carburanti sintetici sono prodotti tramite complessi processi industriali che, in teoria, rispondono a tutte le richieste degli ambientalisti: idrogeno “verde” (prodotto per elettrolisi dell’acqua usando energia elettrica da eolico o solare) che viene mischiato con carbonio (sulla cui provenienza i progetti sono molto vaghi) e sintetizzato in un carburante che i normali motori a combustione interna delle auto possono usare. Ma uno studio pubblicato dal think tank tedesco Agora Verkehrswende, che si impegna a studiare strategie di decarbonizzazione, sostiene che l’efficienza finale di un carburante sintetico, al netto delle molteplici trasformazioni e perdite lungo la catena, sia appena del 13%, contro il 69% delle batterie.
Per quanto riguarda l’elettrico, nel PNRR italiano si fa riferimento solamente all’infrastruttura di ricarica: «L’obiettivo complessivo dell’Italia, necessario a coprire il fabbisogno energetico richiesto dai veicoli elettrici, è di oltre 3,4 milioni di infrastrutture di ricarica al 2030, di cui 32.000 pubblici, veloci e ultraveloci», si legge nel documento. «Il Piano consente di installare 21.355 punti di ricarica pubblici veloci e ultraveloci (ad oggi più lontani dalla competitività economica e per i quali c’è anche una ridotta disponibilità di misure e fondi). In aggiunta viene finanziato lo sviluppo di 40 stazioni di rifornimento per veicoli su ruota a idrogeno e 9 per il trasporto ferroviario».
Nessun riferimento, invece agli investimenti per la produzione o l’acquisto di veicoli elettrici a zero emissioni.
Con quali fondi verrà dunque finanziata la mobilità elettrica in Italia? Qualche risposta è arrivata dal Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, che da mesi sembra portare avanti un dialogo con i produttori di automobili nel nostro Paese, primo fra tutti Stellantis, il gruppo francese nato dalla fusione tra FCA Group e Psa. Il Ministro, consapevole del ritardo che sconta il nostro Paese nella filiera delle auto elettriche, ha più volte dichiarato che non si può supportare solo i modelli elettrici. Per questo motivo ha fatto approvare, all’interno dell’ultimo decreto legge votato il 18 febbraio per contenere i costi dell’energia e il rilancio industriale, un piano da un miliardo l’anno fino al 2030 per l’industria dell’automobile.
L’intervento, ha detto Giorgetti, guarda «sia alla produzione diretta che all’indotto. È un intervento pubblico importante ma l’iniziativa privata lo è di più, serve soprattutto a convincere tutti i soggetti della filiera, anche stranieri, a investire e affrontare questa sfida con a fianco lo Stato». Impossibile non pensare a Stellantis, a cui il governo ha promesso 369 milioni di fondi pubblici per realizzare una fabbrica di batterie a Termoli, in Molise. Lo stesso gruppo riceverà altri 400 milioni dalla Germania, sempre per aprire una Gigafactory. Non pochi fondi per Carlo Tavares, CEO di Stellantis, che da sempre critica la scelta europea di puntare solo sull’elettrico, ma che ora sta per ricevere finanziamenti pubblici da diversi Stati europei per questa transizione.
I fondi del PNRR italiano per la mobilità sostenibile
La Missione 2 del Pnrr italiano “Rivoluzione verde e transizione ecologica” è articolata in quattro componenti, ognuna delle quali contiene una serie di investimenti e riforme per un totale di 59 miliardi di euro. La componente 2 della missione destina quasi 24 miliardi «all’incremento dell’impiego di energia rinnovabile in tutte le filiere con un focus sulla mobilità sostenibile». Per lo sviluppo di un trasporto locale più sostenibile sono stanziati 8,58 miliardi di cui 0,74 dedicati alle infrastrutture di ricarica elettrica. Per il rinnovo di flotte bus e treni verdi sono stanziati 3,64 miliardi.
Si parla di mobilità sostenibile anche nella missione 3 in cui sono assegnati 24,77 miliardi sulla rete ferroviaria.
Con quali fondi verrà dunque finanziata la mobilità elettrica in Italia? Qualche risposta è arrivata dal Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, che da mesi sembra portare avanti un dialogo con i produttori di automobili nel nostro Paese, primo fra tutti Stellantis, il gruppo francese nato dalla fusione tra FCA Group e Psa. Il Ministro, consapevole del ritardo che sconta il nostro Paese nella filiera delle auto elettriche, ha più volte dichiarato che non si può supportare solo i modelli elettrici. Per questo motivo ha fatto approvare, all’interno dell’ultimo decreto legge votato il 18 febbraio per contenere i costi dell’energia e il rilancio industriale, un piano da un miliardo l’anno fino al 2030 per l’industria dell’automobile. L’intervento, ha detto Giorgetti, guarda «sia alla produzione diretta che all’indotto. È un intervento pubblico importante ma l’iniziativa privata lo è di più, serve soprattutto a convincere tutti i soggetti della filiera, anche stranieri, a investire e affrontare questa sfida con a fianco lo Stato». Impossibile non pensare a Stellantis, a cui il governo ha promesso 369 milioni di fondi pubblici per realizzare una fabbrica di batterie a Termoli, in Molise. Lo stesso gruppo riceverà altri 400 milioni dalla Germania, sempre per aprire una Gigafactory. Non pochi fondi per Carlo Tavares, CEO di Stellantis, che da sempre critica la scelta europea di puntare solo sull’elettrico, ma che ora sta per ricevere finanziamenti pubblici da diversi Stati europei per questa transizione.
Il PNRR dell’Italia
La composizione del PNRR per missioni e componenti [Valori in €/mld]
Giorgetti, nel presentare gli investimenti per l’automotive ha poi aggiunto: «Insieme al ministro Cingolani a breve intendiamo presentare un decreto incentivi per l’acquisto di auto ecologicamente compatibili, non solo elettriche. Nella fase di transizione, dobbiamo considerare anche altre fonti, come l’ibrido». Già lo scorso anno, il governo italiano aveva già aperto un fondo da 57 milioni di euro per l’acquisto di auto elettriche e ibride plug-in, poi un altro da 65 milioni di euro per ripristinare l’Ecobonus auto, il contributo introdotto nel 2019 e calcolato in base alle emissioni di CO2.
Quanto sono “green” i veicoli ibridi?
Anche i veicoli ibridi plug-in appartengono alle “soluzioni verdi” che sono state pesantemente promosse dai gruppi lobbistici del settore automobilistico, in quanto sono in grado di funzionare sia con l’alimentazione a combustibile che con quella elettrica.
Dal 2020 sono aumentate le prove che dimostrano come i veicoli ibridi non siano in linea con gli standard climatici previsti dai regolamenti europei.
La parte elettrica è piuttosto debole quindi le auto ibride finiscono per essere alimentate principalmente a benzina.
Narrazione seguita anche da Bruxelles quando ha stilato il Recovery and Resilience Fund. Secondo la fondazione di ricerca tedesca The Wuppertal Institute, che insieme al think tank europeo sul clima E3G ha fatto una valutazione dei PNRR in 17 Stati membri, il settore della mobilità rappresenta la quota maggiore degli investimenti dell’Ue, con una spesa totale di 109 miliardi di euro. I veicoli ibridi e quelli alimentati con i combustibili sintetici sono riusciti a diventare parte di questo flusso di denaro, poiché la Commissione europea li ha considerati «come un contributo sostanziale al cambiamento climatico».
Ma dal 2020, sono aumentate le prove che dimostrano come i veicoli ibridi non siano in linea con gli standard climatici previsti dai regolamenti europei. Gran parte del problema deriva dal modo in cui questi veicoli sono costruiti: la parte elettrica è piuttosto debole, soprattutto per le lunghe distanze, quindi le auto ibride finiscono per essere alimentate principalmente a benzina.
I pareri contrari alle macchine ibride arrivano anche dagli stessi europarlamentari. Damian Boeselager (VOLT), coinvolto fin dall’inizio nella negoziazione riguardante il Recovery Fund, ha dichiarato che i veicoli ibridi sarebbero «un passo indietro» verso la transizione verde europea. Boeselager fa notare che già prima della pandemia c’erano tutti i segnali per capire che gli investimenti in auto ibride non avrebbero fatto alcuna differenza.
Un’indagine della BBC del novembre 2018 ha dimostrato che i proprietari delle macchine ibride non hanno mai usato effettivamente le colonnine di ricarica. Due anni dopo, a settembre 2020, è stata pubblicata una ricerca simile dell’International Council on Clean Transportation (ICCT) che dimostra come gli effetti ambientali di queste auto sono più paragonabili a quelli delle auto convenzionali che a quelli delle auto elettriche.
Tuttavia gli sforzi di Boeselagers e dei Verdi per cercare di escludere i veicoli ibridi dagli investimenti verdi del Recovery Fund sono falliti ed è visibile anche nei piani nazionali dei due più potenti stati membri dell’Ue, che hanno anche un’enorme industria automobilistica. Il piano tedesco riprende un precedente pacchetto di investimenti per l’automotive del governo di Angela Merkel. Su 5,4 miliardi di euro per la “mobilità sostenibile” solo 227 milioni sono destinati all’industria ferroviaria, tutto il resto va al settore automobilistico – con 1,1 miliardi di euro di incentivi per l’acquisto di auto ibride plug-in.
Anche in Francia, il governo aveva già predisposto un piano di 8 miliardi di euro per il settore automobilistico entro maggio 2020. Alcuni di questi investimenti sono poi confluiti nel PNRR nazionale (“France Relance”) da 100 miliardi di euro, che andrebbe a finanziare i veicoli a basse emissioni di carbonio per un totale di 155 milioni di euro, ibridi inclusi.
Critiche all’ibrido
Se da una parte Bruxelles ha concesso di finanziare auto a basse emissioni con i soldi dei PNRR, nel frattempo la Commissione ha iniziato a cambiare le sue politiche dopo che diversi studi hanno confermato che i veicoli ibridi non hanno effetti significativi sulla riduzione delle emissioni. I politici europei stanno quindi inasprendo i metodi per calcolare le emissioni delle auto, come riporta Reuters. Questo significherebbe che i produttori di auto devono vendere più veicoli elettrici per soddisfare gli obiettivi di emissioni dell’Ue e per evitare multe potenzialmente enormi.
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Anche al di fuori di Bruxelles non tutti sono stati contenti dei finanziamenti alle ibride. Il governo olandese, un Paese con una debole industria automobilistica, ma importatore di veicoli francesi e tedeschi, preferirebbe passare più rapidamente al full-electric, in quanto consentirebbe di abbassare le emissioni di gas serra. E alcuni altri stati membri hanno recentemente cambiato la loro opinione sugli incentivi agli ibridi, tra cui Belgio, Irlanda e Danimarca. Ma secondo Julia Poliscanova di Transport & Environment, è già troppo tardi: mentre dovrebbero essere venduti già solamente veicoli elettrici, il Recovery Fund finanzia ancora i veicoli ibridi, perché Bruxelles non vuole perdere il consenso dell’opinione pubblica.
Resto d’Europa
Tuttavia, il Recovery and Resilience Fund stimola in molti stati membri la transizione verso veicoli completamente elettrici e per le infrastrutture di ricarica. In Polonia, per esempio, l’ex ministro dell’ambiente, Marcin Korolec, avverte che il rischio del passaggio ad auto più ecologiche in Europa occidentale significherà aprire in Europa Orientale un mercato delle auto usate, a prezzi più vantaggiosi. Nella Repubblica Ceca, un portavoce del Ministero dell’Industria e del commercio ha detto che il piano nazionale di recupero ceco non sosterrà l’acquisto di auto ibride, per rispettare la volontà della Commissione europea «di sostenere solo le auto elettriche».
Tuttavia, in molti Stati membri il denaro del Recovery Plan ha appena cominciato ad arrivare e i risultati effettivi saranno visibili solo nei prossimi anni. L’implementazione dei piani nazionali potrebbe inoltre risentire della corruzione dilagante in alcuni Paesi.
La Romania, per esempio, prevede di investire 580 milioni di euro in nuovi veicoli elettrici per il trasporto pubblico. Altri 165 milioni di euro saranno spesi in stazioni di ricarica in tutto il Paese. Ma la Polonia è tristemente nota per il suo basso tasso di assorbimento del denaro europeo, a causa della cattiva amministrazione. Le ultime cifre mostrano un tasso complessivo di spesa dei fondi europei del 48,7%. Per esempio, dei 9 miliardi di euro stanziati nel 2014-2020 per investimenti in infrastrutture come le autostrade, la Romania ha speso 4,2 miliardi.
Scandalo degli appalti pubblici
Nel frattempo, in Spagna, il primo ministro Pedro Sánchez ha annunciato nell’aprile 2021 che 13,2 miliardi di euro di denaro del PNRR nazionale sarebbero stati destinati ad aiutare il settore automobilistico. L’obiettivo è quello di «trasformare il Paese nell’hub europeo per l’elettromobilità». Ma il processo di gara di alcuni dei programmi volti ad aiutare il settore automobilistico ha già causato polemiche.
Sánchez ha firmato un articolo sul quotidiano El País, datato 7 marzo 2021, in cui ha annunciato la formazione di un consorzio pubblico-privato del governo con il Gruppo Volkswagen e Iberdrola per creare una fabbrica di batterie (PERTE). Tre giorni prima, il ministro dell’industria spagnolo Reyes Maroto aveva fatto lo stesso annuncio pubblico. L’iniziativa fa parte del piano nazionale, il cui budget massimo di sovvenzioni sarà di 1,4 miliardi di euro sotto forma di prestiti e 1,5 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni fino al 2023.
Ma queste dichiarazioni pubbliche preliminari sembrano violare le regole del diritto degli appalti sia spagnolo che europeo. Infatti, le basi normative per richiedere queste grandi sovvenzioni sono state pubblicate il 28 dicembre scorso nella Gazzetta Ufficiale spagnola, nove mesi dopo che Pedro Sánchez aveva già annunciato i nomi di alcuni dei beneficiari.
Il deputato Luis Garicano considera questi eventi come uno scandalo assoluto: «Non si può assegnare arbitrariamente un progetto come questo, non credo che sia giusto e non credo che sia affatto coerente con le regole dell’Ue», ha detto ai giornalisti di Recovery Files. Un portavoce del ministero dell’industria, responsabile dell’attuazione del piano di sviluppo e produzione di veicoli elettrici, ha assicurato che «sarà sempre assegnato su base competitiva». Ha aggiunto: «Chiunque abbia un piano può presentarlo, compreso il consorzio Volkswagen e Iberdrola». I giornalisti dell’inchiesta Recovery Files staranno all’erta, seguiremo da vicino tutti gli altri beneficiari del Recovery Fund.
CREDITI
Autori
Francesca Cicculli
Carlotta Indiano
In partnership con
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