In Europa le politiche per le isole arrivano troppo tardi
Per secoli, gli abitanti di migliaia di isole, dal Mare del Nord al Mediterraneo, hanno contribuito alla storia europea. Oggi i loro problemi restano fuori dalle politiche pubbliche, e intere comunità rischiano di scomparire

08 Marzo 2023 | di Jamie Mann, Niall Sargent, Giacomo Zandonini

Per la maggior parte dei cittadini europei, le isole sono luogo di villeggiatura, di brevi fughe da una faticosa quotidianità urbana, o tasselli di un immaginario esotico, costruito dal cinema, dalla televisione e dalla letteratura. Nell’Unione europea però, almeno 20 milioni di persone vivono sparse su circa 2.400 isole, parte del territorio di tredici Paesi. Tre dei paesi membri dell’Ue – ovvero Cipro, Malta e Irlanda – sono isole, così come lo sono altri due Paesi europei, il Regno Unito e l’Islanda, entrambi legati all’Ue da accordi di cooperazione e da intensi scambi commerciali.

Nonostante ospitino il 4,6% della popolazione dell’Unione europea, molte isole sembrano accomunate da un destino di spopolamento e marginalizzazione, causati da problemi simili, che si ripropongono viaggiando dalla Scozia al Mediterraneo: dall’elevato costo dei trasporti e dell’energia fino allo scarso accesso ai servizi di base e a una crisi abitativa esacerbata dal turismo di massa.

Mancano politiche mirate, nazionali ed europee, e molto spesso lo sfruttamento turistico di bellezze naturali e tradizioni locali maschera solo stagionalmente le sfide quotidiane di milioni di isolani.

IrpiMedia ha esplorato questo tema insieme ai giornalisti della testata irlandese Noteworthy e The Ferret, media d’inchiesta scozzese. Archiviata la stagione turistica, nell’autunno del 2022 i giornalisti delle tre testate hanno visitato una dozzina di isole e comuni in Scozia, Irlanda e Italia, parlando con decine di abitanti, decisori politici, studiosi e professionisti e scoprendo che molto spesso, le politiche per le isole si limitano a risposte emergenziali, soluzioni tampone che non soddisfano i bisogni strutturali di questi territori.

«È come una ruota che cigola e viene continuamente oliata», ha riassunto un isolano irlandese a Noteworthy, riferendosi alla continua necessità di ricordare alle istituzioni cosa vada fatto per frenare, se non invertire, l’emorragia di abitanti dalle isole al continente.

I dati dell’esodo

Padraig O’Malley, negoziante di Clare, scoglio verdissimo sulla costa occidentale dell’Irlanda, spiega che «il problema principale qui è il calo della popolazione: è questa la prima preoccupazione di ogni isolano».

Per l’uomo, che porta il cognome di Gráinne O’Malley, mitizzata regina-pirata vissuta a Clare nel sedicesimo secolo, «se scendiamo sotto una certa massa critica, e manca poco, l’isola diventerà rapidamente solo una meta estiva». All’ultimo censimento nazionale, nel 2016, Clare aveva 160 abitanti, ma per i residenti quel numero è già ampiamente superato, in negativo.

Nel 1841 una sessantina di isole minori irlandesi ospitavano 34.000 persone. Oggi sono solo 27 quelle ancora abitate, da poco più di 2.700 persone e le cifre sono in continua caduta: il 6% in meno solo tra il 2011 e il 2016. A questo si accompagna una rapida crescita dell’età media, che nelle isole è più alta che nel resto dell’Irlanda. Più del 20% della popolazione ha superato i 65 anni, a fronte del 12% della media nazionale.

Dati simili si materializzano quando andiamo a vedere le statistiche in Italia, in Scozia e in diversi altri Paesi europei, pur esistendo esempi in controtendenza.

L’ingresso alle banchine del porto di Clare, in Irlanda – Foto: Niall Sargent
Case abbandonate sull’isola di Arranmore, in Irlanda – Foto: Niall Sargent

Se l’Italia registra alcuni degli indicatori più alti di contrazione della popolazione, invecchiamento e disoccupazione di tutta Europa, questi si accentuano nel Mezzogiorno e nelle isole, con forti variabilità e specificità locali.

Nel 2021, il Censis ricordava come l’Italia abbia il più basso tasso di natalità d’Europa, 6,8 nati ogni 1.000 abitanti, mentre da alcuni anni si è arrestata anche la crescita della popolazione immigrata, contribuendo a proiezioni demografiche negative.

Delle dieci province delle due isole-regioni italiane, la Sicilia e la Sardegna, solo quella di Ragusa ha guadagnato abitanti tra il 2015 e il 2020. Le altre hanno perso fino al 5% di popolazione in un quinquennio. Tra 2019 e 2020, in Sardegna, dove i giornalisti di IrpiMedia hanno viaggiato tra novembre e dicembre 2022, le nascite sono calate del 6,7%, quasi il doppio della media nazionale, mentre gli abitanti diminuivano di oltre 21.000 in un solo anno.

Soffermandoci sulla Sardegna, la provincia di Nuoro registra la più bassa densità di popolazione in Italia – 35 abitanti per chilometro quadrato – staccata di poche posizioni da quelle di Oristano e del Sud Sardegna. Bassa densità che, secondo lo statistico Roberto Volpi, si associa a un forte calo demografico, innescando meccanismi di desertificazione difficili da interrompere.

In Italia il quadro demografico delle isole si accoda quindi a quello nazionale, esasperando alcune tendenze, soprattutto nelle due grandi isole-regioni mediterranee e nella laguna veneziana, dove la rendita immobiliare legata al turismo ha contribuito ad accelerare un lungo esodo verso la terraferma, come spiegato da diversi ricercatori.

In Scozia invece, nell’ultimo ventennio le 93 isole abitate hanno guadagnato abitanti in media, rispecchiando una tendenza nazionale. La crescita delle isole è stata però molto più lenta rispetto al resto del Paese: il 2,6% a fronte di un 7,9% nazionale.

La popolazione isolana ha anche un’età media più alta rispetto al resto del territorio scozzese. Mentre il National Records of Scotland, l’ente statistico del governo di Edimburgo, prevede che la popolazione della Scozia continui a crescere nel decennio che viene, pur con tassi più ridotti rispetto al passato, grazie anche alla capacità di attrarre migranti, tutte le isole vedranno calare il numero di residenti nei prossimi vent’anni.

A North Ronaldsay, la più settentrionale delle settanta Orkney Islands (le isole Orcadi), venti delle quali sono ancora abitate, nell’arco di poco più di un secolo la popolazione è passata da 500 a 70 abitanti.

Famosa per il suo faro settecentesco, per una razza autoctona di pecore e per le violente tempeste, l’isola ha chiuso temporaneamente la scuola elementare nel 2017, quando l’unico alunno rimasto è passato di grado, per poi riaprirla con l’arrivo di nuovi residenti. Le scuole medie sono però in un’altra isola, dove gli alunni devono trasferirsi durante la settimana.

Oltre a North Ronaldsay, The Ferret ha visitato anche Mainland, la più abitata delle isole Orkney, Shapinsay e Bute. Quest’ultima, fiorente meta turistica negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, ha registrato il calo demografico più evidente tra le isole scozzesi. Un quinto degli abitanti ha lasciato Bute tra il 2000 e il 2021 e il timido arrivo di nuovi residenti durante la pandemia non sembra poter invertire la tendenza.

Una consultazione pubblica sull’Islands Bond, un fondo speciale per combattere lo spopolamento delle isole, durata un anno e chiusa nell’agosto 2022, ha mostrato come la prima preoccupazione delle comunità isolane fosse proprio il calo demografico.

Per secoli, il castello medievale che domina la baia di Rothesay, principale centro abitato dell’isola di Bute, ha osservato e resistito a battaglie tra truppe gaeliche, norvegesi e scozzesi. In futuro, rischia di ergersi solitario, a guardia di una terra abbandonata.

Politiche che mancano e arrivano tardi

La desertificazione di zone periferiche, lontane dalle grandi città, sembra un corollario inevitabile di un mondo sempre più urbanizzato e della contrazione delle politiche pubbliche europee nell’ultimo ventennio, i cui tagli sono ricaduti in primo luogo sui territori meno abitati.

Eppure le isole concentrano una ricchezza ambientale, storica e culturale intimamente legata alle comunità umane che le abitano. Cosa fanno e cosa potrebbero fare governi e enti locali per frenare lo spopolamento?

Per Padraig O’Malley, negoziante dell’isola irlandese di Clare, le autorità nazionalii dovrebbero rispondere a richieste molto semplici: servono una migliore connessione a internet, delle banchine funzionanti per l’attracco di barche e traghetti e finanziamenti mirati per compensare gli svantaggi e i costi maggiori dovuti al vivere in un’isola.

Le ricette sembrano semplici, eppure le decisioni tardano ad arrivare.

Nell’isola di Arranmore, lembo di sabbia e dolci pendii che si affaccia sulla costa del Donegal, nell’estremo nord-ovest irlandese, c’è un’unica ambulanza, vecchia e spesso inutilizzabile, per oltre 460 abitanti. A poco sono servite le richieste ripetute da parte dei residenti, guidati da John McCafferty, direttore della cooperativa di comunità dell’isola e volontario del soccorso medico.

Nel 2017, l’Health Service Executive (HSE), l’ente della sanità pubblica irlandese, aveva commissionato una valutazione dei servizi nelle isole, che li aveva descritti come «frammentati e imprevedibili». Tra le raccomandazioni, c’era anche quella di avere mezzi più moderni e veloci per le evacuazioni sanitarie.

Una richiesta di accesso agli atti da parte di Noteworthy ha mostrato come, fino al giugno 2022, non era ancora stata ancora data risposta a quasi metà delle 70 raccomandazioni del 2017. I documenti del HSE mostrano un miglioramento a gennaio 2023, ma il divario tra azioni e raccomandazioni permane.

Molte politiche nazionali o regionali per ridurre lo spopolamento delle isole sembrano nascere da spinte dal basso, dalle iniziative di enti e organizzazioni locali che, pur se talvolta confuse o contraddittorie, segnalano bisogni e problemi.

Il porto di Stromness a Mainland, la maggiore delle Orkney Islands, in Scozia – Foto: Angela Catlin
Se in Sardegna a fare notizia sono state le case messe in vendita a un euro nel 2016 dai comuni di Ollolai e Nulvi, nell’entroterra delle province di Nuoro e di Sassari, nel 2019 le autorità dell’isola di Arranmore hanno diffuso una lettera pubblica invitando cittadini di Paesi anglofoni, dall’Australia agli Stati Uniti d’America, a trasferirsi sull’isola, per approfittare della natura incontaminata, del buon whiskey, dei frutti di mare e del primo digital hub isolano, rivolto a professionisti che lavorano in remoto. Come nel caso del paese montano di Ollolai, il comune dell’isola irlandese è stato inondato di richieste, tanto da dover chiudere il portale online dedicato al progetto Coming Home. Tra le ragioni, racconta il presidente del consiglio comunale, Adrian Begley, c’è l’assenza di soluzioni abitative: «La dotazione di appartamenti non era così alta come pensavamo». A Ollolai e in molti paesi dell’entroterra sardo come di quello siciliano, il problema è lo stato precario delle abitazioni, che spesso richiedono importanti lavori di ricostruzione, a cui né gli enti locali né potenziali acquirenti vogliono o possono far fronte. Ad Arranmore, come nelle isole di West Cork i problemi sono invece la mancanza di case di qualità a prezzi sostenibili e i costi elevati per costruirne di nuove o restaurare quelle già esistenti. Per la European Small Islands Federation, che raggruppa comuni e reti nazionali di comunità isolane, il problema della casa è cruciale e ha una portata europea. La federazione parte da alcune proposte scozzesi per chiedere di regolamentare gli affiti turistici brevi, legati a piattaforme come AirBnb, in modo da evitare di far salire i prezzi degli affitti e sottrarre case ai residenti, come avvenuto nelle isole di Cork, ad Arrenmore e anche nella laguna veneziana. John Walsh, consigliere della Irish Islands Federation e presidente della European Small Islands Federation, racconta come la federazione irlandese stia cercando di convincere famiglie di giovani a trasferirsi sulle isole irlandesi, per abbassare l’età media, ma l’accesso alla casa rappresenta purtroppo un «blocco significativo». Per la ricercatrice Siobhan O’Sullivan, tra le curatrici di uno studio del 2022 sulle politiche per le isole di West Cork, «se non c’è disponibilità di alloggi, accanto ad altri servizi, si rischia che le isole diventino solo siti turistici, invece che luoghi abitati a tempo pieno». Il problema riguarda anche la Scozia. Nelle isole di Tiree e West Harris, parte dell’arcipelago delle Ebridi, il 40% delle abitazioni sono seconde case. Un dato cresciuto con l’arrivo, durante e dopo la pandemia di Covid-19, di abitanti delle città, disponibili a pagare prezzi più alti per case che rimangono vuote la maggior parte dell’anno. Un portavoce del governo scozzese ha detto a The Ferret che l’esecutivo sta lavorando a un piano d’azione per appoggiare gli sforzi abitativi delle comunità isolane, mentre almeno il 10% dei 110.000 «appartamenti a prezzo accessibile» che il governo vuole consegnare entro il 2032, sarà in «zone rurali, remote e in comunità isolane». Il governo irlandese ha promesso di adottare, nel corso del 2023, un nuovo documento di politica per le isole minori, il primo dal 1996, quando un comitato interministeriale aveva pubblicato uno «schema quadro per lo sviluppo delle isole», in parte disatteso, come ammesso dallo stesso governo. La Irish Islands Federation ha detto però di non essere stata coinvolta nella redazione del nuovo piano e il governo non ha voluto mostrare a Noteworthy una copia dei documenti preparatori. Anche sul fronte della pesca, risorsa cruciale per molti isolani, l’azione del governo non è apprezzata da tutti.

Seamus Bonner, segretario della Irish Islands Marine Resource Organisation, rimarca come il 5,5% della flotta nazionale di pescherecci sia registrato nelle isole minori, ma nonostante questo ci sia una «mancanza d’interesse di funzionari e politici», più orientati a sostenere la pesca industriale su larga scala, che «attrae investimeni e infrastrutture, mentre noi siamo visti come un elemento secondario». Le richieste di rinnovare le banchine, dotandole di freezer e allacci all’acqua e all’elettricità, – spiega Bonner – come quelle di favorire l’accesso al mercato del pescato dei piccoli pescherecci, sono spesso cadute nel vuoto.

La proposta di un Islands Fisheries Bill, presentata nel 2017 da alcuni parlamentari, con l’obiettivo di offrire aree di pesca più estese e quote di pescato ad hoc per i piccoli pescatori insulari, penalizzati dalla normativa corrente, è bloccata da anni.

Riforme e annunci, tra Italia ed Europa

Nel luglio 2022, mentre il governo guidato da Mario Draghi si avvicinava a una scadenza prematura e forse preannunciata, il Parlamento adottava due testi che gettano nuova luce sulle politiche italiane per le isole.

Il primo è il cosiddetto emendamento Pellicani, dal nome del deputato del Partito Democratico che lo ha proposto, il veneziano Nicola Pellicani.
Uno dei moltissimi emendamenti al Decreto Aiuti, l’articolo firmato da Pellicani autorizza il solo Comune di Venezia ad adottare misure speciali per regolamentare l’affitto turistico breve, con l’obiettivo di «ripopolare la città» della laguna.

La misura, nelle parole di Nicola Pellicani, «dà la facoltà, perciò non l’obbligo, al Comune di integrare i propri strumenti urbanistici con specifiche disposizioni regolamentari per individuare i limiti massimi e i presupposti per la destinazione degli immobili residenziali ad attività di locazione breve».

Una possibilità tra tutte: la limitazione dell’affitto breve a 120 giorni all’anno, oltre i quali il locatario deve chiedere un cambio di destinazione dell’immobile, da abitazione privata ad attività turistica d’impresa. La norma si inserisce in un dibattito acceso, che valica i confini della laguna di Venezia, sugli effetti di quello che vieni definito overtourism, o iperturismo, una forma di turismo di massa accelerato da piattaforme di locazione turistica online, come AirBnb, Booking e Expedia, che riguarda centri storici ed aree costiere a forte vocazione turistica, in cui affittare a turisti diventa più vantaggioso rispetto al classico affitto di medio-lungo termine a residenti, lavoratori o studenti.

Il tema è indubbiamente di portata globale, tanto che la Commissione europea, dopo una consultazione pubblica a fine 2021, a cui hanno contribuito anche diversi cittadini e organizzazioni veneziani, ha depositato – nello scorso novembre – una proposta di regolamento sui short-term rentals, gli affitti brevi di appartamenti privati.

Poche settimane più tardi, mentre il dibattito sull’emendamento al Decreto Aiuti continuava a dividere i veneziani, le isole facevano il loro ingresso nella Costituzione della Repubblica.

Dopo un lungo iter legislativo e grazie a un sostegno bipartisan, il Parlamento aggiungeva un comma all’articolo 119: «La Repubblica riconosce le peculiarità delle isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità».

Diversi parlamentari siciliani e sardi hanno celebrato questa novità come un successo, che ricuce simbolicamente una ferita. Con la riforma del Titolo V della Costituzione, il cosiddetto federalismo fiscale del 2001, il Parlamento aveva infatti cancellato una precedente menzione nel testo costituzionale alla valorizzazione del «Mezzogiorno e delle Isole», per la quale «lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali».

La modifica costituzionale nasce da un referendum di iniziativa popolare lanciato nel 2018 dal Comitato promotore sardo per l’insularità, con il sostegno della Federazione delle associazioni sarde in Italia e dell’Associazione nazionale comuni isole minori (ANCIM).

Durante i lavori parlamentari, viene citato più volte a titolo di esempio il prospetto realizzato dai ricercatori dell’Istituto Bruno Leoni, think-tank torinese di orientamento liberale e liberista, che hanno stimato in 5.700 euro il costo invisibile annuo imposto a ogni abitante della Sardegna a causa della condizione di insularità. Un altro dato emerge da uno studio del 2020 della Regione Sicilia, che – rivedendo il modello econometrico proposto dall’Istituto Bruno Leoni – stimava a 6,5 miliardi di euro per la Sicilia e a 5,8 per la Sardegna il costo annuale necessario a colmare gli svantaggi dell’insularità, ovvero il 7,4% e il 16,8% del prodotto interno lordo annuale delle due isole.

La vista dal faro di North Ronaldsay nelle Orkney Islands, in Scozia – Foto: Angela Catlin
Case abbandonate a North Ronaldsay, nelle Orkney Islands in Scozia – Foto: Angela Catlin

La legge di bilancio per il 2023 prevede ancora poche risorse esplicitamente legate al nuovo articolo 119. Si tratta di 20 milioni di euro in due anni per il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, destinati a garantire un «completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna», ovvero alla cosìdetta continuità territoriale, peraltro già finanziata tramite altri accordi tra lo Stato e gli enti locali.

La Finanziaria prevede però anche l’istituzione di un «Fondo nazionale per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità, con una dotazione di due milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025», suddiviso in un Fondo per gli investimenti strategici e in un Fondo per la compensazione degli svantaggi.

Si istituisce anche una Commissione parlamentare per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità, composta da dieci senatori e da dieci deputati, con il compito di monitorare fondi e investimenti per le isole, realizzare o acquisire studi e fare proposte a livello italiano ed europeo.
Pur se accompagnate da stanziamenti limitati, le disposizioni della legge di bilancio sembrano quindi delineare la prima bozza di una politica italiana per le isole, richiesta anche dall’Ancim, la rete delle piccole isole, che nel maggio 2022 chiedeva di creare una «Area Vasta ed Omogenea di sviluppo delle Isole Minori», limitando «la pletora di Comitati e Cabine di regia che stanno dimostrando la loro non rispondenza alle esigenze di innovazione» del mondo delle isole.

A gennaio 2023, i sindaci delle isole siciliane hanno chiesto al governo regionale di creare un Ufficio per le isole minori e di intervenire con urgenza per calmierare i prezzi del gasolio, che sulle isole avevano sfiorato i 2,5 euro al litro. Appena sette delle isole minori italiane sono collegate alla rete elettrica nazionale, mentre per le restanti, tra cui quasi tutte le isole siciliane, la fornitura elettrica è garantita in gran parte da centrali a gasolio.

Una prima risposta a questa carenza arriva tramite il programma Isole Verdi inserito a fine 2021 nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e rivolto ai 13 comuni delle 19 isole non connesse alla rete elettrica nazionale. Duecento  milioni di euro, un quarto dei quali va alle sei Isole Eolie, territorio del Comune di Lipari, per interventi di «efficientamento energetico e idrico, mobilità sostenibile, gestione del ciclo dei rifiuti, economia circolare, produzione di energia rinnovabile».

Se guardiamo alle politiche strutturali di sviluppo locale, le più richieste da enti locali e organizzazioni di rappresentanza, per la loro replicabilità, la novità più importante sembra essere l’inserimento delle isole minori nella Strategia nazionale aree interne (Snai), nata nel 2012 per rispondere all’esodo dai territori più depressi della penisola, attivando servizi di base in ambito sanitario, dell’istruzione, dei trasporti e dell’abitare.

Dal 2022, anche i 35 comuni delle isole minori sono identificati come area interna e riceveranno – secondo la prima programmazione per il settennio 2021-2027 – 11,4 milioni di euro in totale. Con l’ultimo ciclo di programmazione finanziaria della Snai, che ha un budget totale di 310 milioni di euro, finanziati tramite fondi strutturali dell’Ue, anche Sardegna e Sicilia hanno visto includere nuovi territori, in aree montuose nell’entroterra.

Altri fondi di coesione erano comunque arrivati alle piccole isole italiane, già prima che fossero incluse nella Snai: sono 978 milioni di euro tra il 2014 e il 2020, destinati in parte significativa alla riduzione del rischio idrogeologico e di incendi. Pur se geograficamente paradossale, la definizione delle isole come aree interne risponde all’assenza di politiche ad hoc a livello non solo italiano, ma anche europeo.

Uno studio commissionato dal Parlamento europeo, del 2021, mette in evidenza come, in assenza di una categorizzazione specifica, nelle politiche di coesione, ovvero quelle a cui fa riferimento la Snai, le isole siano assimilate ad aree interne, condividendone indicatori demografici, economici e di sviluppo.

Non esistendo una categoria specifica, insomma, le isole non possono ricevere finanziamenti in quanto isole. Lo studio sottolinea anche come non esista una «lista sistematica e armonizzata» delle isole e come ci sia una «penuria di dati statistici sulla popolazione delle isole nell’Ue».

Dopo una prima risoluzione sulla situazione delle isole, nel 2016, a maggio 2022 il Parlamento europeo ha votato un rapporto e una mozione, firmati dal deputato francese di sinistra Younous Omarjee. Originario dell’isola della Réunion, territorio d’oltremare francese nell’oceano Indiano e presidente della commissione per lo sviluppo regionale del Parlamento Ue, Omarjee e i co-firmatari della mozione hanno chiesto che l’Unione si doti di una strategia chiara dedicata alle isole, migliorando la raccolta di dati ed elaborando politiche specifiche. Hanno proposto infine che si introduca una classificazione delle isole come territori a sé, in vista dell’attribuzione di fondi europei.

Mentre fondi e decisioni politiche si materializzano lentamente, rallentati da burocrazie farraginose, gli abitanti delle isole vivono sfide quotidiane, lontani dai centri decisionali.

Nei prossimi capitoli di questa serie, racconteremo cosa succede a Venezia, tra le calli del centro storico e l’isola della Giudecca, per poi viaggiare nell’entroterra sardo, nell’Alta Marmilla, zona prototipo per la Strategia nazionale per le aree interne, e in Barbagia, dove migliaia di persone hanno sognato una “dolce vita” isolana, attratti dalla vendita di case a un euro.

Ai poli opposti dell’Europa, le vicende degli isolani sembrano assomigliarsi.
Mentre a Portovenere, isoletta turistica di fronte a La Spezia, che ha perso quasi il 30% di abitanti tra il 1981 e il 2019, nel 2021 ha chiuso l’unica scuola elementare, nell’isola irlandese di Arranmore non c’è più un asilo nido. Così Ali Curry e il marito, genitori di due bambini piccoli, hanno dovuto rinunciare a impieghi a tempo pieno. «C’è un circolo vizioso che fa sì che le persone emigrino, così si riducono i servizi e vivere qui diventa meno attrattivo», spiega Curry, rappresentando i timori e la quotidianità di molti isolani.

Foto di copertina: Niall Sargent
Editing: Giulio Rubino
In partnership con: Noteworthy, The Ferret
Con il sostegno di: Journalismfund

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