#OperazioneMatrioska
Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi
Giulio Rubino
«Il governo russo ha interferito nelle elezioni presidenziali americane del 2016 in modo radicale e sistematico. Prove delle operazioni del governo russo sono emerse a partire da metà 2016. A giugno, il Comitato nazionale democratico e il suo team di contrattacco informatico hanno annunciato che gli hacker russi avevano compromesso la loro rete di computer. Lo stesso mese sono cominciati a circolare online i materiali hackerati – materiali che presto i fonti aperte hanno attribuito al governo russo. A luglio l’organizzazione WikiLeaks ha fatto uscire altri materiali hackerati, con ulteriori uscite in ottobre e novembre».
Ad aprile 2019 il procuratore speciale degli Stati Uniti Robert Mueller ha reso pubblico il suo report sull’interferenza russa alle elezioni americane del 2016. Sono 448 pagine piene di omissis.
Il rapporto è diviso in due volumi: il primo riguarda l’accusa di cospirazione tra agenti russi e coordinamento della campagna elettorale di Donald Trump per favorire l’elezione di quest’ultimo alla Casa Bianca; il secondo riguarda l’accusa rivolta sempre all’entourage del presidente americano di aver ostacolato l’andamento delle indagini.
I risultati dell’indagine sono ambivalenti.
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Sul piano dell’«associazione a delinquere» per dirottare il voto viene stabilito che l’interferenza c’è stata, così come ci sono stati oltre 100 contatti tra lo staff di Trump e agenti russi. Quello che però manca è la prova che renda tangibile l’esistenza di una regia e di uno scopo preciso, ossia fare in modo che Donald Trump fosse eletto. Il fatto c’è, ma per costituire davvero reato ha bisogno di un mandante.
Come in tutta l’operazione Matrioska, un mastermind vero esiste solo nelle teorie cospirazioniste, non nei dati di fatto. In termini di «ostruzione alla giustizia», che poi in pratica è falsa testimonianza, l’indagine ha prodotto patteggiamenti e condanne di diversi uomini dello staff di Donald Trump.
Il procuratore speciale Robert Mueller ha chiuso l’indagine il 24 luglio 2019, data in cui si è presentato di fronte al Congresso per rendere conto dei risultati ottenuti e della decisione di non indagare il presidente Donald Trump.
Il giorno dopo, il 25 luglio 2019, il presidente degli Stati Uniti ha alzato il telefono per chiamare il presidente appena eletto in Ucraina: Volodymyr Zelensky. Oltre a congratularsi per il risultato ottenuto, Donald Trump ha accennato a una vicenda che riguarda l’azienda ucraina del figlio di Joe Biden, Hunter. Biden già all’epoca appariva, insieme a Bernie Sanders, il principale sfidante democratico per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. L’azienda in questione, Burisma Holdings, è stata hackerata dai russi secondo Area1, una società di cybersecurity americana.
I troll e le campagne di disinformazione
«Nel gergo della Rete, chi interviene all’interno di una comunità virtuale in modo provocatorio, offensivo o insensato, al solo scopo di disturbare le normali interazioni tra gli utenti», definisce i troll l’Enciclopedia Treccani. Sono la versione contemporanea degli “agenti provocatori” che si infiltravano nelle comunità dei militanti di destra e di sinistra durante gli anni di piombo. Oggi le piazze sono quelle virtuali dei social network.
Nei media internazionali, si è parlato in particolare di una di queste “fabbriche di troll”, la Internet research agency (Ira) di San Pietroburgo.
L’organizzazione ha cominciato come organo di propaganda filo-russo durante i primi mesi della guerra in Ucraina, poi è stata coinvolta nella campagna di discredito dei democratici e di Hillary Clinton durante la campagna elettorale americana del 2016 ed è finita nell’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller.
Secondo le ricostruzioni giornalistiche, il primo finanziatore di Ira è stato Yevgeny Prigozhin, uomo d’affari soprannominato “lo chef del Cremlino”. Il think tank di orientamento democratico New America lo ha definito «il burattinaio» del Wagner Group, esercito di mercenari ritenuto molto vicino a Putin. Ne è stato il fondatore.
«Si parla un sacco del figlio di Biden – ha detto Trump – di come Biden abbia fermato l’indagine (su di lui, ndr) e a molte persone piacerebbe sapere quello che potresti fare con il nuovo procuratore generale, sarebbe grandioso».
«Visto che abbiamo vinto con la maggioranza assoluta in Parlamento – è stata la risposta di Zelensky – il prossimo procuratore generale sarà 100% un mio uomo, un mio mio candidato, che sarà validato dal Parlamento e comincerà a lavorare».
Cohen è inoltre al centro di un misterioso piano di pace segreto tra Ucraina e Russia allo scopo di legittimare una cessione «temporanea»della Crimea alla Russia proprio per eliminare le sanzioni statunitensi.
Di questo piano non si sa più nulla ma dimostra l’interesse degli uomini più vicini a Trump per eliminare le sanzioni alla Russia e ai suoi oligarchi
Questa telefonata è stata l’innesco che è deflagrato, a dicembre 2019, nell’impeachment di Donald Trump, accusato di abuso di potere e ostruzione alla giustizia. In febbraio, il Senato ha poi scagionato il presidente da ogni accusa.
L’Ucraina è elemento ricorrente sia dell’impeachment, sia dell’inchiesta sull’influenza russa nelle elezioni, due procedimenti indipendenti che tuttavia s’intersecano più volte.
Le sanzioni alla Russia cominciano dall’invasione del territorio ucraino della Crimea, la rete dei fedelissimi di Putin si costruisce sul finanziamento dei separatisti filorussi in Donbass e parte dei prestanome coinvolti nelle lavanderie scoperte da Occrp, in particolare in quella russa (che ha mosso tra il 2010 e il 2014 oltre 20 miliardi di dollari) sono cittadini ucraini.
Anche i collaboratori che Trump si è scelto nel recente passato hanno vicende personali che li legano all’Ucraina.
Rudolph Giuliani, attuale avvocato di Trump ed ex sindaco di New York, è stato spedito per conto del presidente a Kiev nell’estate del 2019 per incontrare un suo ex cliente, Vitali Klitschko, attuale primo cittadino della capitale ucraina. Ex pugile, Klitschko rischiava di essere costretto alle dimissioni dal neoeletto presidente Zelensky per aver gravato le casse pubbliche con 2 miliardi di dollari di spese, una cifra insostenibile. Alla fine Klitschko ha mantenuto il posto e in cambio, questa la ricostruzione del New York Times, avrebbe perorato la causa di un’indagine contro di Biden in Ucraina e avrebbe rivolto a Zelensky un invito ufficiale per una visita alla Casa Bianca.
Riporta Rolling Stone, smentito poi dall’interessato, che Micheal Cohen, l’ex avvocato e tuttofare di Trump, divenuto tra i grandi accusatori del presidente nel Russiagate, per il quale Cohen ha patteggiato, ha conosciuto il suo futuro datore di lavoro attraverso il genero, Fima Shusterman, nel 1993 condannato per riciclaggio, ucraino di nascita, arrivato negli Stati Uniti nel 1975 e in seguito naturalizzato americano.
Ucraino è stato anche il primo socio di Cohen in un’azienda di taxi. Rolling Stone arriva a sostenere che l’assunzione dell’ex avvocato del presidente americano nella Trump Organization nel 2006 entrerebbe proprio in uno scambio di favori tra Trump e Shusterman. In più, secondo Glenn Simpson, ex giornalista e investigatore privato che è stato chiamato a testimoniare davanti al Congresso nell’ambito del Russiagate a luglio e novembre 2017, Cohen «ha molti legami con l’ex Unione Sovietica e in passato è parso fosse socio di uomini della criminalità organizzata russa a New York e in Florida».

Cohen, insieme a un politico ucraino, Andrii Artemenko, è inoltre al centro di un misterioso piano di pace segreto tra Ucraina e Russia allo scopo di legittimare una cessione «temporanea» (per 50 o 100 anni) della Crimea alla Russia proprio per eliminare le sanzioni statunitensi.
Di questo piano non si sa più nulla, ma dimostra l’interesse degli uomini più vicini a Trump per eliminare le sanzioni alla Russia e ai suoi oligarchi.
Uno che avrebbe giocato un ruolo importante prima nel finanziare la campagna di annessione della Crimea e poi nel costruire buone relazioni tra Mosca e l’attuale inquilino della Casa Bianca risponde al nome di Viktor Vekselberg. Secondo il New York Times, è stato sentito dal procuratore speciale Mueller nel 2018, in quanto persona informata sulle presunte interferenze di Mosca durante la campagna elettorale americana del 2016.
Vekselberg è un uomo d’affari con interessi in vari settori, di cui il principale è l’energia rinnovabile. Renova Group è il suo principale gruppo industriale con interessi, riporta il sito, che variano dal settore metallurgico a quello petrolifero, dall’energia pulita alla telecomunicazioni e la chimica. Dal 2007, riporta sempre il sito di Renova, il fatturato del Gruppo è cresciuto di 17,5 miliardi di dollari. Vekselberg è inoltre tra gli oligarchi che hanno sfruttato appieno il meccanismo del Laundromat. Solo tra il 2007 e il 2009 ha alimentato la lavatrice mettendo in circolo almeno 5,5 milioni di euro versati da banche e società finanziarie all’epoca riconducibili al suo impero finanziario.
A questo si aggiunge la sua attività benefica. La Renova Foundation, fondazione legata al gruppo industriale, tra il 2008 e il 2018 ha realizzato «investimenti sociali» negli Stati Uniti per 34,5 milioni di dollari . Beneficiari sono stati anche i Clinton attraverso la loro Clinton Foundation, che ha ricevuto tra i 50 e i 100mila dollari, non è chiaro in quale periodo .
Al di là della beneficenza, ci sono altre transazioni verso gli States che riguardano la galassia imprenditoriale di Vekselberg. Nel 2017, in sette mesi, il suo fondo newyorkese Columbus Nova ha versato oltre 500 mila dollari allo studio legale di Cohen. In una nota i legali del fondo hanno spiegato che si trattava di una “consulenza”.
L’oligarca ha incontrato il 9 gennaio 2017 lo stesso avvocato americano al 26esimo piano della Trump Tower, il vero quartier generale del presidente, a New York. Argomento dell’incontro: le relazioni tra Russia e Stati Uniti. Il tutto è documentato da un video che ritrae anche una terza persona, Andrew Intrater, formale proprietario di Columbus Nova e cugino dello stesso Vekselberg. È stato lui il biglietto d’ingresso alla cena d’insediamento di Trump, a Washington: Intrater ha contribuito alla campagna elettorale del presidente americano con 250 mila dollari. I beni di Vekselberg negli Usa, circa 250 milioni, sono stati congelati dal Tesoro americano dopo il suo inserimento nella lista dei tycoon russi sotto sanzione.
La Matrioska
Cittadino russo con passaporto ucraino e cipriota, undicesimo uomo più ricco di Russia, con un patrimonio stimato da Forbes in 9,4 miliardi di dollari, Vekselberg è un uomo influente in particolare in due settori: quello bancario/finanziario e quello dell’energia. In quest’ultimo, dispone di una una fitta rete di relazioni anche in Italia.
L’anno chiave per i suoi rapporti con il Belpaese è il 2007, quando tramite la sua controllata Avelar Energy investe 1 miliardo in cinque anni nel settore del fotovoltaico. I suoi appoggi sono bipartisan: da una parte Roberto De Santis, vecchio amico di Massimo D’Alema (è lui che gli vende la barca a vela Icarus), che gli fa da consulente per la realizzazione di parchi fotovoltaici tra Puglia e Basilicata. Dall’Altra Massimo De Caro, orvietano di origini baresi, prima militante di estrema sinistra, poi consulente di Giancarlo Galan al ministero dell’agricoltura e ai beni Culturali.
In solidi rapporti con Marcello Dell’Utri, De Caro è stato condannato per il furto di migliaia di libri di pregio alla biblioteca dei Girolamini di Napoli avvenuto nell’aprile del 2012.
L’esperienza nel settore delle rinnovabili in Italia parte nel 2010, per sviluppare le sue attività nel campo dell’energia solare. Avelar è una società svizzera controllata da Renova. Ed è proprio passando da Avelar che si incrocia l’uomo di Vekselberg in Italia.
Si tratta di Igor Akhmerov che con la controllata di Vekselberg fonda la lussemburghese Aveleos creata ad hoc per costruire e vendere parchi fotovoltaici in Italia. La società di Akhmerov, controllava direttamente e indirettamente 16 società italiane proprietarie di impianti situati principalmente in Puglia e Basilicata. Secondo i magistrati milanesi Luca Poniz e Maurizio Ascione però tali società hanno indebitamente beneficiato, tra fine 2010 e aprile 2013, di ingenti contributi in conto energia erogati dal Gse, un’accusa che è costata ad Akhmerov e ad altri quattro imputati condanne tra un anno e mezzo e quattro anni e mezzo di carcere in primo grado e una confisca di quasi 30 milioni di euro a carico dei condannati stessi.
Per la Procura queste società avrebbero utilizzato pannelli solari prodotti in Cina ma presentati al Gse, falsificandone la documentazione e i marchi, come se fossero stati costruiti in Italia da Helios Technology, azienda veneta del gruppo. La stessa Helios che porta a vicende più recenti che hanno coinvolto personaggi della Lega Nord, cioè le indagini sul «re dell’eolico» e prestanome di Matteo Messina Denaro, Vito Nicastri e l’ex consulente per l’energia di Matteo Salvini, Paolo Arata.
La Helios che compare nell’inchiesta su Avelar è la stessa che viene sfiorata in uno dei sequestri che hanno toccato Nicastri nel 2013. Vekselberg in questi anni non ha smesso di frequentare l’Italia: lo scorso settembre il magnate ha puntato la Sardegna spostandosi con un jet a lui riconducibile in quel di Arzachena. Una destinazione comune tra gli amici di Vladimir Putin.
Tra i più noti, Arkadij Rotenberg, con il quale il presidente russo era solito allenarsi a judo, a cui proprio nella località sarda fu sequestrata una villa dalla Guardia di Finanza, dopo le sanzioni degli Stati Uniti alla Russia nel 2014. I militari congelarono beni e società di Rotenberg tra cui due società cipriote. Una di queste aveva in pancia l’hotel Berg Luxury di Roma, nel frattempo passato di mano, forse per aggirare le sanzioni, a un cittadino italiano di origine russe e residente a Lugano, ritenuto vicino a Rotenberg.
CREDITI
Autori
Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi
Giulio Rubino
Illustrazioni
Lorenzo Bodrero