#OperazioneMatrioska

L’internazionale identitaria, dal Congresso della famiglia a Gianluca Savoini – Il fronte culturale
Chi sono i protagonisti della rete che dall'estrema destra tradizionale si sviluppa fino al mondo pro-family. Fino alla Lega di Matteo Salvini
09 Aprile 2020

Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi
Giulio Rubino

L’estrema destra europea, ma anche quella globale, ha trovato negli ultimi anni una formula estremamente efficace per rinnovare il suo linguaggio e “vestire di nuovo” i vecchi concetti di nazionalismo e razzismo: l’ideologia identitaria, ispirata, ma non direttamente promossa, proprio da Putin e dalla Russia odierna. In passato il consenso a questa fazione politica è stato marginale alle urne, invece negli ultimi anni, i partiti che hanno adottato questa retorica sono cresciuti enormemente.

In Italia la testimonianza è la Lega di Matteo Salvini, partito che a partire dal 2015 ha cambiato pelle, staccandosi dalle logiche nordiste dell’epoca di Umberto Bossi, per cercare invece nella dinamica “identitario” contro “globale”, in particolare attraverso la presunta lotta all’immigrazione di massa, la sua nuova cifra.

L’internazionale sovranista è un pacchetto ideologico, quasi un franchise della politica, che i partiti possono adottare a loro piacimento. La Russia di Putin ne è riferimento culturale per via della linea dura in politica estera, della difesa dei valori tradizionali, della reputazione di forza autocratica che gode di enorme consenso popolare.

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I partiti di estrema destra che hanno seguito le strategie identitarie hanno guadagnato il consenso di vecchi “moderati” spaventati da migranti e minoranze che pretendono il riconoscimento dei loro diritti civili e hanno ridato linfa in questo modo al vecchio nazionalismo.

In questa trasformazione le idee di estrema destra hanno assunto delle caratteristiche che le fanno sembrare più moderate e accettabili, quando al contrario sono fedeli alla linea e all’idea politica che le ha generate inizialmente, come in una forma di infiltrazione culturale che pesca in egual misura tra anti-globalisti a destra e sinistra. Il cavallo di Troia con cui penetrare lo schieramento della destra liberale sono stati i movimenti pro-life, che già al loro interno contenevano entrambe le anime, cristiano-democratica e tradizionalista.

Cristianesimo tradizionalista

I tradizionalisti cattolici sono una corrente minoritaria che contesta la modernizzazione dell’istituzione ecclesiastica a partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965). Ha rappresentanti all’interno delle stessa Chiesa e propone un ritorno a un cattolicesimo meno «terreno», meno «ecumenico», meno «soggettivista» (e di contro più «comunitario») e meno dialogante con gli altri culti.

L’eccessiva libertà, secondo i tradizionalisti, ha cominciato a inquinare la fede, portando a imbarbarimenti, crisi d’identità, eccessivo individualismo. Un esempio di dottrina anti-modernista è quella professata dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata nel 1970 dall’arcivescovo cattolico Marcel François Lefebvre. Scomunicato nel 1988 da Papa Giovanni Paolo II, ha partecipato a Cité Catholique, movimento tradizionalista e antimarxista di cui hanno fatto parte monarchici e nazionalisti francesi.

La Fraternità è intitolata a Papa Pio X in quanto autore della lettera apostolica Il nostro mandato apostolico in cui si legge: «I veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né novatori, ma tradizionalisti». I lefebvriani sono fra le voci più critiche al papato di Francesco, mentre hanno avuto molte affinità con la visione teologica di Benedetto XVI.

Riabilitati nel 2009, in termini di diritti civili sono contro l’aborto, i matrimoni omosessuali e ogni visione della famiglia “laica”. Sul piano politico, hanno da sempre avuto credenti vicini all’estrema destra. Nel 2013 sono stati gli unici a voler celebrare il funerale di Erich Priebke, ex SS morto a Roma. In un’intervista rilasciata al sito di notizie della Fraternità, a settembre 2019, il presbitero generale, don Davide Pagliarini, afferma: «L’impressione che molti cattolici hanno attualmente è quella di una Chiesa sull’orlo di una nuova catastrofe». Aggiunge: «Amoris Laetitia [esortazione apostolica sull’amore nella famiglia di Papa Francesco, ndr] rappresenta, nella storia della Chiesa di questi ultimi anni, quello che Hiroshima e Nagasaki rappresentano per la storia del Giappone moderno: umanamente parlando, i danni sono irreparabili».

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Tra i movimenti pro-life mondiali, i più importanti sono quelli di base in Russia e Stati Uniti. La loro collaborazione va oltre la semplice condivisione dell’idea di famiglia già dal crepuscolo della Guerra fredda. Era l’ottobre 1974, quando il dissidente politico Aleksandr Ogorodnikov ha fondato Christian Seminar, un movimento cristiano che cercava di ravvivare la fiamma della fede nell’atea Unione sovietica.

Il Comitato permanente sull’intelligence della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti nel 1980 scrive che in due anni il movimento è arrivato ad avere oltre 2 mila militanti e nel 1978 Ogorodnikov è finito in carcere per «parassitismo». Nelle sue dissertazioni sul rapporto tra politica e religione, Ogorodnikov citava i sermoni di Billy Graham, il pastore battista americano che per primo, in piena Guerra fredda, si è recato in Russia. Il figlio Franklin è membro dal 2016 dell’Evangelical Executive Advisory Board, un comitato di consulenti che ha l’obiettivo di «aiutare Mr Trump su temi importanti come gli evangelici e le persone di fede in America».

Alle accuse provenienti da diverse associazioni, che sostengono che tale comitato violi le leggi federali della suddivisione tra Stato e Chiesa, gli stessi membri rispondono seraficamente che in fondo il Board, formalmente, non esiste. Eppure Graham nel 2019 ha incontrato il presidente della Duma Vyacheslav Volodin, sotto sanzione negli Stati Uniti dal 2014, in un incontro ufficiale caldeggiato da uomini dell’amministrazione Trump allo scopo di discutere le relazioni bilaterali tra i due Paesi.

Tracce dello stesso slittamento della religione nella sfera politica si trovano anche in Russia.

Il 4 marzo Vladimir Putin con un colpo di mano ha fatto approvare alla Duma una nuova Costituzione che potrà mantenerlo al potere fino al 2036. Nel suo discorso di preambolo alla votazione, Putin ha messo in discussione il principio di laicità dello Stato: «La Federazione russa, unita da una storia millenaria, preservando la memoria degli antenati che ci hanno trasmesso ideali e fede in Dio, così come la continuità nello sviluppo dello stato russo, riconosce l’unità statale stabilita storicamente».

Per lo Stato c’è solo la fede in Dio. Questa posizione istituzionale è frutto della vicinanza dell’arcivescovo di Mosca Kirill I al presidente russo. È la guida spirituale che invocano i più tradizionalisti al posto del “modernista” Francesco, il punto di riferimento di una teoria che secondo cui Mosca è la terza Roma, quella che non cadrà mai. Non farà la stessa fine di Roma e Costantinopoli, le due capitali della cristianità d’Occidente e d’Oriente. Parola di Filofej, monaco del XVI secolo che per primo coniò questa formula.

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Sembrano nozioni di storia, invece sono dottrina politica.

Mentre Putin il 6 gennaio, giorno del Natale ortodosso, andava in visita a Damasco ad annunciare ai suoi leali alleati che la capitale della Siria rifiorirà, la Chiesa di Mosca tagliava i ponti con i patriarcati di Alessandria d’Egitto e Costantinopoli, rei di aver riconosciuto alla Chiesa ucraina, un tempo sotto la Russia, una sua indipendenza (autocefalia).

Chiesa e Stato sono strumenti della stessa entità superiore: la Grande Russia. Diversi entrambi dalle loro reciproche espressioni in Oriente e Occidente, sono una forza terza, indipendente, che sta facendo proseliti sia sul fronte politico, sia su quello spirituale. È il sogno del Movimento Internazionale Eurasiatista, forza politica fondata da Dugin.

Torniamo alle alleanze dei movimenti religiosi tra Russia e Stati Uniti.

Il terreno comune è la difesa delle famiglie tradizionali, baluardo contro ciò che non è conforme alla parola di Dio. La causa in cui si riconoscono è quella della “vita”: famiglie numerose, no aborto, no unioni omosessuali, no emancipazioni che infrangono le secolari regole della società. Anche nel caso dei movimenti pro-life i pilastri sono in Russia e negli Stati Uniti. L’architrave che reggono è l’Organizzazione mondiale delle famiglie (Iof), sigla che tiene insieme formazioni simili in tutto il mondo. Ogni anno la Iof presiede il Congresso mondiale delle famiglie (Wcf), che nel marzo 2019 si è tenuto a Verona.

Presidente di Iof è Brian Brown, tessitore delle relazioni tra politica e mondo pro-life. Grande sostenitore di Donald Trump, l’attivista ha raccolto attraverso la piattaforma americana ActNow.com oltre 7 milioni di dollari da destinare alle politiche dei conservatori. La sua rete diplomatica si modella sull’esempio di personaggi a cavallo tra chiesa e politica. Insieme a Billy Graham, il pioniere è l’ex candidato alle primarie repubblicane nel 2012 Newt Gingrich, la cui moglie Callista, dal 2017 è ambasciatrice Usa in Vaticano.

Le accuse di finanziamenti russi ai partiti identitari

Francia

L’allora Front National, partito di estrema destra guidato da Marine Le Pen, nel 2014 ha ottenuto un prestito da una banca russa.

Ungheria

Nel 2017 viene assunto a lavorare per il governo il lobbista tedesco Klaus Mangold, “Mr Russia” per i media di Germania e Ungheria. Secondo quanto emerge nei Panama Papers, ha una società nell’Isola di Man insieme all’oligarca Boris Abesirov Berezovsky.

Austria

L’Fpo, partito alleato della Lega, nel 2017 ha firmato un contratto con Russia Unita, il partito di Putin, simile a quello firmato dal partito di Matteo Salvini. In Austria a maggio 2019 l’Fpo è finita coinvolta in un quello che è stato definito lo “scandalo Ibiza”: due politici di primo piano in un video girato nell’isola spagnola hanno accettato la proposta di una finta donna d’affari russa che diceva di essere figlia di un potente oligarca per sostenere il partito.

Tra i finanziatori del mondo pro-life in Russia ci sono oligarchi che troviamo nell’entourage di Putin riconducibili al sistema della “lavatrice”.

Il nome più importante è quello di Vladimir Yakunin, ex membro del Kgb, ex presidente delle ferrovie russe, cofondatore del Dialogue of Civilization (Doc) di Ruben Vardanyan è finanziatore e membro del Comitato di sorveglianza. Sua moglie Natalia Yakunina è uno dei trustee dell’organizzazione internazionale. Yakunin oggi è sotto sanzioni in Europa e Stati Uniti per il suo ruolo di finanziatore dei separatisti filorussi in Ucraina. È ritenuto molto vicino al presidente Putin.

Nel 2014 il Wcf doveva svolgersi a Mosca, ma sono sopraggiunte le sanzioni per la Crimea a rendere impossibile sia finanziare che partecipare all’iniziativa per i cittadini statunitensi. L’evento si è svolto ugualmente proprio grazie al patrocinio di alcuni personaggi di spicco come Yakunin e Konstantin Malofeev, all’epoca ritenuto astro nascente degli oligarchi vicini alla Chiesa ortodossa di Mosca.

Intorno al mondo pro-vita ci sono organizzazioni che più stabilmente cercano di influenzare la politica e non solo con il denaro. Non sono sigle molto note, eppure innervano le principali battaglie pro-life che si consumano nei Parlamenti di tutto il mondo

Filantropo e imprenditore, Malofeev dal 2014 non può più entrare in area Schengen in quanto finanziatore dei filo separatisti russi in Crimea. È proprietario di una “televisione patriottica”, Tsargad TV, di cui Aleksandr Dugin è commentatore di punta. Tra le amicizie di Malofeev ci sono Matteo Salvini e soprattutto Gianluca Savoini, ex portavoce del leader della Lega, strettissimo collaboratore che ha permesso di allacciare rapporti con il mondo degli uomini d’affari vicini a Putin.

Con l’Associazione culturale Lombardia-Russia e quelle simili disseminate tra il Nord e il Centro Italia, Savoini ha costituito un gruppo d’interesse composto da imprenditori contro le sanzioni alla Russia e desiderosi di fare affari con Mosca. Al momento, Savoini è indagato dalla procura di Milano per corruzione internazionale per l’affaire Metropol: il 18 ottobre 2018 ha contrattato quella che per gli investigatori appare un finanziamento illecito alla Lega da 65 milioni di euro, nascoste in una finta compravendita di petrolio, a cui avrebbero dovuto partecipare Eni e l’azienda russa Rosneft.

L’affaire Metropol

Il 18 ottobre 2018 all’hotel Metropol di Mosca si svolge una strana trattativa. Da un lato del tavolo, ci sono tre italiani: il leghista Gianluca Savoini, l’avvocato Gianluca Meranda e il suo collaboratore Francesco Vannucci. Dall’altro, tre russi: Andrey Yuryevich Kharchenko e Ilya Andreevich (nessuna relazione con Vladimir), più un terzo uomo, ancora sconosciuto.

Meranda, conclamato passato tra le file della massoneria, rappresenta una banca d’affari inglese, Euro-lb, che poi lo scaricherà. Yakunin è un collaboratore di Vladimir Nicolaevich Pligin, sotto sanzioni a seguito dell’invasione della Crimea: all’epoca era presidente della Duma, il parlamento russo. Ex deputato dal 2003 al 2016, Pligin attualmente ricopre la carica di consigliere del presidente della Duma Viaceslav Volodin e di vice presidente della Commissione per gli affari internazionali nel Consiglio generale del partito di Vladimir Putin, Russia Unita. Kharchenko, invece, è un membro del partito di Aleksandr Dugin.

Secondo l’ipotesi su cui sta indagando la procura di Milano, la trattativa per una presunta partita di petrolio sarebbe stata intavolata allo scopo di far pervenire alla Lega una stecca da 5,5 milioni di dollari, tramite Gianluca Savoini. I nomi dei protagonisti della trattativa emergono dalla registrazione dell’incontro, resa disponibile online dal sito di BuzzFeed, della quale i giornalisti Giovanni Tizian e Stefano Vergine hanno dato conto in una serie di articoli pubblicati da l’Espresso e in un volume dal titolo Il libro nero della Lega. Proprio Stefano Vergine, su richiesta della procura, ha consegnato agli inquirenti il file audio.

Intorno al mondo pro-vita ci sono organizzazioni che più stabilmente cercano di influenzare la politica e non solo con il denaro. Non sono sigle molto note, eppure innervano le principali battaglie pro-life che si consumano nei Parlamenti di tutto il mondo. Scelgono temi, strategie, parole d’ordine.

La Political network of values (Pnv), piattaforma di politici e attivisti che si incontra una volta all’anno per promuovere dibattiti e proposte di legge comuni pro-life. One of Us, altra organizzazione-ombrello in cui si riconoscono tutte le sigle che partecipano alle marce per la vita di tutto il mondo, che si propone come soggetto in grado di produrre proposte di legge, petizioni, campagne da oltre di milioni di sostenitori in tutta Europa. Una in 28 Paesi dell’Unione europea «per la tutela dell’embrione» ha prodotto 1,6 milioni di firme , di cui un terzo raccolte in Italia.

Sul fronte dei contenziosi giudiziari, il movimento conta sull’American center for law and justice (Aclj) e sul suo centro europeo, lo European centre for law and justice (Eclj): le due organizzazioni sfidano Stati membri di Usa e Unione europea alla Corte federale oppure alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

In Italia Gregor Puppinck, avvocato che guida il centro europeo, è colui che ha condotto la battaglia per reintrodurre il crocifisso nelle classi nel 2010 e 2011. Nel nel 2012 è stato scelto da Luca Volonté, allora eurodeputato, per realizzare uno studio sui «prigionieri politici». Quel documento ha permesso la bocciatura in seno al Consiglio d’Europa del rapporto Strasser, documento che avrebbe dovuto indagare sulla detenzione arbitraria degli oppositori politici in Azerbaijan. Questa vicenda ha innescato il caso giudiziario in cui è coinvolto l’allora eurodeputato italiano.

Volontè, che per la Pnv è un consulente storico, è oggi a processo per corruzione internazionale a Milano. In primo grado è stato assolto dall’accusa di riciclaggio ma secondo la procura, la sua fondazione Novae Terrae avrebbe incassato 2 milioni e 390 mila euro da quattro società riconducibili alla famiglia Aliyev, dittatori azeri che avevano tutto l’interesse alla bocciatura (così come poi effettivamente avvenne) del rapporto per evitare sanzioni di tipo economico da parte dell’Ue. Denari che hanno portato Volontè al centro dello scandalo Laundromat.

Presidente e fondatore di entrambi i centri è Jay Alan Sekulow: un nome di primo piano nella destra conservatrice cristiana d’America. Dal 2017 fa parte del team di avvocati del presidente americano Donald Trump, a parcella per gestire il caso Russiagate.

La matrioska

Alexey Komov è ambasciatore all’Onu del Congresso mondiale delle famiglie e al contempo presidente onorario dell’associazione Lombardia-Russia, di cui fanno parte politici della Lega molto vicini a Matteo Salvini, come Gianluca Savoini.

Cerimoniere onnipresente nelle occasioni diplomatiche dell’internazionale identitaria, dal 2013 è presenza fissa anche alle convention della Lega, partito che ha sempre dichiaratamente espresso le sue simpatie per la Russia. È una sorta di assistente di Konstantin Malofeev, oligarca ormai un po’ in disgrazia che sostiene le tesi di Alexander Dugin. Komov è il trait d’union tra universo pro-life e politica, sia in Russia, sia negli Stati Uniti, sia in Italia.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi
Giulio Rubino

Illustrazioni

Editing

Giulio Rubino