9 Novembre 2020 | di Lorenzo Bagnoli
La mail è del 4 novembre. La casella di provenienza appartiene a Christian Kalin (o Kaelin, come scritto nel nuovo indirizzo di posta elettronica), il presidente del gruppo Henley & Partners. La società è tra i leader mondiali nei programmi di cittadinanza-per-investimento: i cosiddetti “passaporti d’oro”. Altri attori sono Apex Capital, Kylin Prime Group, Arton Capital, Civiquo Limited, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo. «Gli straordinari eventi intorno al Covid – scrive Kalin nell’email – hanno dimostrato ancora una volta quanto siano importanti i diritti di residenza e cittadinanza».
L’industria dei passaporti ha cominciato a espandersi nel 2007. Ha sfumature diverse, ma in sostanza permette a cittadini facoltosi di acquistare la cittadinanza o la residenza in cambio di investimenti: nelle isole caraibiche il contributo minimo per una residenza è pari a 100mila dollari, mentre a Cipro può richiedere fino a un investimento minimo di 2 milioni di euro. La stima di Apex Capital Partners è che alla fine del 2020 saranno circa 25mila gli acquirenti di cittadinanze, contro i circa 5mila del 2017. Sono questi i cosiddetti “programmi di migrazione”, un insieme che include cittadinanza e residenza, attivi in oltre cento Paesi in tutto il mondo.
Avvocato svizzero, Kalin ha trasformato questi due diritti in prodotti acquistabili. È l’inventore dello Ius Doni, il diritto della residenza e dell’indice che misura la potenza, e l’attrattività, dei passaporti. «L’uomo che vende passaporti» lo chiama il giornalista Oliver Bullough in Moneyland, libro che investiga come i ricchi dominano il mondo. È il loro ciambellano, il genio che ha intuito l’esistenza di un nuovo mercato dalla portata mondiale di circa tre miliardi di dollari l’anno e l’uomo verso il quale convergono anche le critiche sulla legittimità del business.
La procedura d’infrazione europea verso Malta e Cipro
Inizialmente avallato dalla stessa Commissione Europea, il sistema di cessione della cittadinanza è stato più recentemente accusato di mettere in pericolo la stessa tenuta dell’Unione. L’onda è diventata impossibile da cavalcare negli ultimi due anni. Ha cominciato a montare nel 2016, anno delle prime inchieste sui beneficiari della cittadinanza sui quali pesavano indagini per reati di varia natura o addirittura condanne. La stessa giornalista Daphne Caruana Galizia dalle colonne del suo blog Running Commentary aveva avviato inchieste e approfondimenti sul tema. I sospetti che le operazioni di acquisto celassero corruzione e riciclaggio si sono moltiplicati ovunque, in Europa e non solo.
Per approfondire
The Daphne Project
L’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia ha segnato un punto di svolta nella storia dell’isola. 45 giornalisti da 18 Paesi nel mondo hanno proseguito il suo lavoro
Ora i due Paesi hanno due mesi per adeguarsi ed evitare di trovarsi di fronte alla Corte di giustizia europea. Le procedure colpiscono gli Stati membri e non riguardano in alcun modo Henley & Partners e le altre società che forniscono i servizi, le quali restano libere di poter continuare il proprio business.
La spinta finale che ha innescato la procedura è stata l’ultima inchiesta di Al Jazeera, che ha svelato come politici di Cipro abbiano guadagnato laute mazzette dalla compravendita delle cittadinanze dei super ricchi.
A Malta, Paese dove il sistema è stato concepito e implementato dal governo insieme allo studio legale svizzero (Henley & Partners è “unico concessionario”), la reazione alla mossa europea è stata di sdegno: Bruxelles ne fa una questione morale, più che una questione legale. A Malta Today il Segretario maltese per la cittadinanza al Parlamento Europeo Alex Muscat ha rivendicato la qualità dei controlli maltesi, a suo avviso non paragonabile a quella cipriota.
A Nicosia il procedimento europeo ha persuaso il governo a interrompere il programma a partire da novembre: si esauriranno le richieste in coda, ma non se ne accetteranno di nuove. Dal 2013, l’anno in cui Cipro è andata in bancarotta e ha deciso di convertirsi a paradiso dei servizi finanziari, ha incassato 8 miliardi di euro attraverso lo schema della cittadinanza per investimento. Intanto però fuori dal Palazzo presidenziale gruppi di cittadini hanno cominciato a protestare contro il governo chiedendo dimissioni di massa.
Storie di nuovi cittadini non graditi
Tra gli ultimi beneficiari di cittadinanze-su-investimento con una fedina penale che avrebbe dovuto escluderli dalla lista dei possibili richiedenti, uno dei nomi di maggiore rilevanza è quello di Jho Low, un finanziere nativo della Malesia molto noto a Hollywood. Low era un habitué delle feste delle star del cinema, che frequentava assiduamente grazie al potere acquistato con il suo fondo d’investimento, 1MDB. Peccato che la sua ricchezza esibita non fosse reale e che secondo il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti fosse in realtà uno strumento per commettere crimini finanziari. Le polizie internazionali indagano su di lui dal 2016 e nel 2019 ha patteggiato con gli Stati Uniti la restituzione di 700 milioni di dollari. Dal 2015 è cittadino cipriota.
Thaksin Shinawatra, ex primo ministro della Thailandia, è coinvolto in scandali finanziari dal 1994. È entrato in politica proprio a seguito di una bancarotta. Dal 2001 ha concentrato sulle società di famiglia i più grossi interessi economici del Paese (come le telecomunicazioni) e ha subito la prima condanna per evasione fiscale in patria nel 2007. Il suo governo ha provocato enormi manifestazioni di piazza e per due volte è stato costretto a lasciare il Paese. Ha ottenuto il “visto permanente” in Montenegro dal 2010.
Ex membro delle forze speciali di Difesa e imprenditore nel settore della sicurezza, l’israliano Anatoly Hurgin è cittadino maltese dal 2016. Nel 2019 è stato accusato di frode in Israele e negli Stati Uniti.
Mehul Choksi è un ricco imprenditore indiano nel settore dei diamanti. Per l’India è un latitante: ha lasciato il Paese a seguito di una scandalo giudiziario che lo vede incriminato per frode insieme ad ex dipendenti della Punjab National Bank, una delle più grosse banche del Paese. Dal 2017 ha acquistato la cittadinanza nell’arcipelago caraibico di Antigua e Barbuda.
L’industria ai tempi della pandemia
Per quanto il Covid abbia impattato in modo violento il mondo del turismo e la concezione stessa della libertà di movimento, il mercato dei passaporti non sembra attraversare una crisi. Cambiano forse le caratteristiche di alcuni clienti. Mentre in particolare nel Mediterraneo erano i russi a cercare riparo per i loro investimenti in caso di nuove sanzioni europee contro Mosca, la pandemia ha spostato l’attenzione verso le isole caraibiche, destinazione privilegiata dei ricchi nordamericani. La seconda cittadinanza è come «un elicottero da combattimento venuto a salvarti» dalla pandemia, per usare la metafora che un manager ha utilizzato con Forbes.
L’imprevedibilità del futuro, secondo Henley & Partners, è uno dei motivi per cui è meglio avere in tasca un passaporto alternativo. Ora che i “passaporti premium”, quelli che aprono le porte di un numero maggiore di Paesi, sono di fatto inutilizzabili, è preferibile una seconda opzione, in Paesi piccoli dove i contagi sono contenuti.
Tra i programmi che scalano la classifica c’è quello del Montenegro, lanciato nel 2019, sul quale Henley & Partners punta molto. Diceva a luglio l’amministratore delegato della società svizzera Juerg Steffen: «Dal momento in cui entriamo nella peggiore recessione dalla Grande Depressione, un Paese piccolo come il Montenegro è meglio equipaggiato per superare la tempesta. Il programma di recente lancio di cittadinanza-per-investimento fornisce accesso permanente e il permesso di restare in questo Paese europeo bello e sicuro». L’Osce nell’analisi pubblicata a ottobre sulla situazione del coronavirus ha indicato per il Montenegro un enorme incremento nella curva dei contagi a partire da giugno, tale da rendere oggi il Paese l’undicesimo al mondo nella classifica dei più colpiti.
Una questione di equità fiscale
Quando la questione è finita sulla stampa internazionale, Kalin ha parlato di un pregiudizio della stampa stessa nei confronti dell’industria e ha bollato tutte le inchieste come «fake news» nel corso di un’intervista con un giornale specializzato. Che l’industria dell’immigrazione per super ricchi possa minare la tenuta dei sistemi di monitoraggio fiscali però è un timore di tanti, basato principalmente su una valutazione, più che un pregiudizio.
C’è infatti un tema politico che sottende alla vendita dei passaporti: la competitività e la giustizia fiscale. Fare dell’industria dei passaporti un traino della propria economia implica gareggiare sull’attrattività di una minuscola fetta di mercato ricchissimo. Questo significa modellare il proprio sistema fiscale in modo che possa favorire questi ultimi, con il rischio che sia a discapito di tutti gli altri. Più che ogni altro elemento sul curriculum di chi si aggiudica la cittadinanza, è questo che rende pericoloso il sistema, specialmente nel contesto europeo, ma non solo.
La partita della giustizia fiscale in Europa, fondamentale per la stessa tenuta dell’Unione, ora si gioca anche all’interno di una sottocommissione apposita che ha preso piede a giugno. Kalin ha tutto il diritto di difendere l’onorabilità sua e dell’azienda che presiede, ma non può eliminare dal discorso pubblico il tema di quanto abbia senso oppure no investire nell’industria delle disuguaglianze.