A Skopje scoperto un passaportificio per narcos
A beneficiarne oltre 200 criminali da tutto il mondo, compreso Waleed Issa Khamays storico narcotrafficante legato alla ‘ndrangheta in Brasile. Lo si scopre grazie ad una fuga di notizie

16 Aprile 2021 | di Cecilia Anesi

Un passaportificio per narcotrafficanti e mafiosi di mezzo mondo, è ciò che era diventato l’ufficio passaporti del Ministero dell’Interno della Macedonia del Nord. Lo ha scoperto un’indagine della polizia macedone con il supporto di Interpol. Una storia incredibile, che fa luce sulla capacità di infiltrazione delle mafie balcaniche nelle istituzioni e sugli accordi ormai ben consolidati tra criminalità organizzate diverse. Un servizio, quello offerto dalla mafia macedone, che si sospetta non avvenisse su pagamento ma più come scambio di favori, non solo verso quella albanese e serba a cui la mafia macedone è particolarmente legata, ma anche verso gruppi italiani e latinoamericani.

Una vicenda che acquisisce contorni ancora più inquietanti per come è diventata di pubblico dominio: grazie alla denuncia del leader dell’opposizione Hristijan Mickovski che però è stato accusato dal Ministero di avere volontariamente messo a repentaglio le indagini offrendo ai criminali l’opportunità di darsi alla fuga.

Infatti, la notizia è filtrata due giorni prima degli arresti programmati. Nel botta e risposta tra opposizione e governo, Mickovski, a sua volta, ha accusato il Primo Ministro Zoran Zaev di essere parte, assieme al Ministro degli Interni Oliver Spasovski, dello schema per regalare passaporti ai criminali.

Mickovski ha tirato fuori sei nomi e foto di passaporti, subito ripresi sui social, di sei soggetti di alta pericolosità sociale. Sono Valid Isa Hmais, descritto come riciclatore dei proventi del traffico di cocaina della ‘ndrangheta, Florian Musaj, narcotrafficante della gang albanese Baruti, Stefan Djukic narcotrafficante montenegrino del Kavacki clan, un broker per il narcotraffico in Spagna, Lui Volina, il mafioso turco Sedat Peker e infine il temutissimo Jovan Vukotic, boss del clan montenegrino Škaljar.

La fuga di informazioni ha mandato su tutte le furie il Ministro dell’Interno Spasovski, che ha dovuto anticipare gli arresti. Sono state indagate in tutto 11 persone, otto delle quali incarcerate, anche se uno degli indagati è riuscito a sfuggire all’arresto, proprio la persona sospettata di mediare tra gli impiegati dell’ufficio passaporti e la mafia. Nove di loro, sono infatti dipendenti del Ministero dell’Interno.

Ma le indagini sono ancora in corso poiché – come ha potuto verificare il media partner di IrpiMedia, Investigative Reporting Lab Macedonia – i passaporti emessi a criminali legati alle mafie di mezzo mondo sono ben 215.

Interpol in questa indagine ha lavorato per verificare le vere identità di questi oltre 200 passaporti, confermando che la maggior parte sono latitanti e ricercati a livello internazionale. Le identità rubate invece, cioè i nomi che finivano sui passaporti macedoni affianco alle foto dei latitanti, erano di cittadini privi di passaporto, o macedoni o albanesi che non avevano idea del furto di identità.

I narcos invece arrivavano a Skopje per farsi fotografare in questura senza alcun timore, mostrando una finta documentazione anagrafica con il nome dello sfortunato di turno. Poche ore ed erano pronti a viaggiare senza che nessuno li fermasse più.

Come Florjan Musaj, leader di un cartello del narcotraffico albanese che a luglio 2019 ha ottenuto un passaporto macedone a nome di Naum Filo. «Ha viaggiato liberamente in Europa, fino a quando a ottobre 2019 non è partito per l’America Latina», ha dichiarato il leader dell’opposizione.

Musaj è ricercato da agosto 2018 quando la Guardia di Finanza di Trento, in collaborazione con le autorità tedesche e olandesi, lo aveva indagato per un traffico di droga dal Belgio e Olanda all’Austria e Nord Italia. Le indagini avevano appurato come le due gang dei Bushi e Baruti, di cui Musaj faceva parte, avesse trafficato in due anni 120 chili tra cocaina, eroina e marijuana per un valore di 20 milioni di euro.

Ma è anche la storia di un vecchio lupo del narcotraffico, Valid Isa Hmais (come lo scrivono i macedoni) o meglio Waleed Issa Khamays, come è conosciuto in Italia e in America Latina. Giordano di nascita, classe 1961, descritto come “il palestinese” per avere militato nel Fronte popolare di lotta palestinese, inizia la sua “carriera” con la ‘ndrangheta calabrese a metà anni ‘80. Vive a Bovalino – in Locride – dove la ‘ndrangheta tenta di comprargli un permesso di soggiorno falso.

Un articolo di Repubblica dell’epoca racconta come da lì era emigrato a Milano sposando una prostituta milanese ma, colpito da un provvedimento di espulsione, era potuto rientrare in Italia solo dopo una plastica facciale. A fine anni ‘80, a Milano e Roma, era stato visto in compagnia di mafiosi calabresi e di trafficanti d’armi giordani. Ma è solo nel 1992, quando viene arrestato in Brasile per narcotraffico, che trapela un nuovo aspetto inquietante: grazie al confronto tra le impronte digitali in possesso degli inquirenti italiani e quelle prese al “palestinese” oltreoceano, viene identificato come il killer incaricato dalle cosche siciliane e calabresi di alcuni omicidi eccellenti, poi mai avvenuti (i Ministri Martelli e Andò e il Generale dei Carabinieri, Enrico Messina).

L’indagine che aveva portato al suo arresto era la storica Fortaleza, della procura di Milano, che dimostra come già dai primi anni ‘90 il giordano lavorasse fianco a fianco alla primula rossa e pezzo da novanta del narcotraffico mondiale, Rocco Morabito alias U’Tamunga, africota e punto di riferimento per tutta la potente ‘ndrangheta della Locride. I due, dopo avere stabilito una base presso il mercato ortofrutticolo di Milano, erano andati in Brasile da dove avevano organizzato carichi di centinaia di chili di cocaina per l’Europa. Il legame tra Morabito e Khamays sembra indissolubile, e secondo recenti indagini brasiliane Khamays è servito da ponte con due organizzazioni di narcotrafficanti strategiche, da una parte il più potente cartello del Brasile, il Primer Comando Capital, e da un’altra la mafia serba di Darko Saric.

Dopo essere fuggito dal carcere negli anni ‘90 Khamays esce dai radar costruendosi una valida copertura (apre un’azienda siderurgica e una di costruzioni nel distretto di San Paolo) ma in realtà, secondo la procura federale, ha sempre continuato a negoziare droga come ponte tra il PCC e la ‘ndrangheta.

Nel settembre 2017, la polizia federale lancia l’operazione Brabo contro 127 persone sospettate di far parte di un cartello internazionale di traffico di droga, guidato dal PCC e con la partecipazione dei serbi di Darko Saric, per inviare cocaina in paesi in Africa e in Europa. Tra questi c’è Waleed Khamays.

La polizia si è così resa conto che dal 1991, momento in cui avevano iniziato a indagare sul narco, poco era cambiato. La logistica internazionale del traffico di droga dal Brasile resta gestita dalle cellule in capo a Khamays e U’Tamunga. E non si parla solo di carichi, ma di assistenza mutuale. Un episodio nel giugno 2017 lo conferma. Viene arrestato in Brasile Vincenzo Macrì, narco di Siderno. Viaggia con passaporto falso, è in transito verso il Venezuela. E allora interviene Waleed Khamays che manda il suo avvocato di fiducia ad assisterlo nelle prime ore in carcere.

Un legame, quello con la Calabria, confermato anche dall’indagine Brabo: Khamays organizzava carichi con il PCC e i serbi di Darko Saric anche verso l’Italia, tra cui 384 chili sequestrati al porto di Gioia Tauro il 19 ottobre 2016.

Da allora, Khamays è latitante. Ma sulla bilancia dei favori è chiaro che il giordano era in credito sia con la ‘ndrangheta sia con le mafie balcaniche. È così che ottiene accesso al “passaportificio” di Skopje, che a gennaio 2019 gli regala una nuova identità a nome dell’albanese Vurmo Takjo, nato nel 1965 nella quieta cittadina di Corizza. Un lasciapassare per viaggiare in Europa e per tornare, si presume, in Brasile.

Hanno collaborato: Luis Adorno (UOL), Saska Cvetkovska (Investigative Reporting Lab Macedonia) | Editing: Giulio Rubino | Foto: Waleed Issa Khamays

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