#RecoveryFiles
Giulio Rubino
Sono già passati oltre due mesi da quando, il 13 aprile scorso, sono arrivati in Italia i primi 21 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). «Complimenti all’Italia», twittava Ursula Von der Leyen annunciando l’approvazione del passaggio.
Già un mese dopo, su Italia Domani – portale del governo che raccoglie dati, bandi e notizie sul Pnrr- veniva pubblicato un primo file di progetti finanziati, corredato dai beneficiari, gli attuatori e i programmatori dei progetti. Il file riporta la data 31/12/2021. Da allora in poi non ci sono più stati aggiornamenti.
I dati, almeno in parte, ci sono. Ma provare a leggerli si rivela presto un’impresa più difficile del previsto. Infatti i dati contenuti sui file di Italia Domani contengono solo una parziale assegnazione di fondi relativi alla “Missione 1”, quella sulla digitalizzazione del paese, e anche ad una ripetuta lettura offrono forse più domande che risposte.
Sarà forse per questo che queste prime erogazioni, nonostante l’enorme quantità di soldi arrivati, non hanno fatto clamore più di tanto. Ci si aspettava forse qualche cerimonia, magari una posa della prima pietra, una bella foto con le alte cariche dello stato, qualcosa da mettere sulle prime pagine insomma.La guerra in Ucraina ha certamente spostato l’attenzione altrove, e dopo di essa, la conseguente crisi energetica, il caro bollette, l’economia ancora a pezzi, poi di nuovo il cambiamento climatico e la siccità di queste settimane. Eppure il Pnrr, con i suoi 191,5 miliardi di euro, sarebbe lo strumento economico (e politico) messo in piedi esattamente per affrontare i problemi appena elencati, anche quelli che non erano previsti all’inizio, del resto significa proprio questo “resilienza”.
Sorprende quindi, specie a chi abbia seguito il dibattito energetico, che la prima risposta a una carenza di combustibili fossili dalla Russia sia di cercare quanti più possibili combustibili fossili altrove (l’ultimo accordo raggiunto è del 21 aprile scorso con la Repubblica Democratica del Congo, per 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno), che dei famosi e famigerati progetti per idrogeno verde, metano sintetico e alternative assortite non si parli più e che non sia stata ancora annunciata neanche una di queste iniziative verdi che i fondi del Pnrr dovrebbero sostenere per circa 80 miliardi, il 40% del totale.
Eppure, ci assicurano i colleghi del team di #RecoveryFiles – progetto di inchiesta guidato dalla testata olandese Follow The Money, che coinvolge oltre 35 giornalisti da 20 paesi europei – in Italia dovremmo ritenerci fortunati.
Stavolta infatti il blocco alla trasparenza, nonché una gigantesca confusione su come i fondi saranno rendicontati, nasce all’origine, direttamente in quei negoziati pre-approvazione del fondo fra la Commissione Europea, il Parlamento e il Consiglio d’Europa che già abbiamo provato a raccontarvi, e su cui vige il massimo riserbo.
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Recovery Files
Questa è la terza uscita di Recovery Files, un progetto di ricerca paneuropeo che indagherà le spese dei fondi di ripresa e resilienza nei mesi a venire. Il progetto è coordinato da Follow the Money, piattaforma di giornalismo olandese. Tutte le inchieste di recovery files sono raccolte qui
Il progetto d’inchiesta è importante non solo in termini di quantità di investimenti pubblici – circa 725 miliardi di euro- ma anche per il preoccupante mancato coinvolgimento dei parlamenti nazionali. Il modo in cui questa enorme quantità di denaro verrà spesa è ovviamente una materia di interesse pubblico per i cittadini di tutta Europa.
Nessun accordo sulla trasparenza
Quando lo scorso febbraio i colleghi di Follow the Money sono andati a intervistare Celine Gauer, alto funzionario della commissione a capo della task force sul Pnrr europeo, non è mancato un momento di reciproco imbarazzo alle nostre domande sulla trasparenza del piano. «Semplicemente non abbiamo mai raggiunto un accordo sui fondamenti legali per la pubblicazione dei beneficiari del fondo di ripresa post-coronavirus – ha risposto -. Quindi [i nomi dei beneficiari n.d.r ] potrebbero come non potrebbero essere pubblicati, ma non fa parte degli accordi presi». La premura dei giornalisti di avere a disposizione dati completi e trasparenti sui beneficiari del Pnrr sembra cogliere Celine Gauer di sorpresa: «Davvero non capisco che tipo di aiuto sarebbe avere una lista di tutti i proprietari di casa che stiano facendo ristrutturazioni», risponde.
Eppure, oramai da almeno una decade, è noto come attorno ai fondi provenienti da Bruxelles ci sia sempre pronta una ondata di avvoltoi pronti a mettere le mani su quello che, secondo il ricercatore ungherese Mihaly Fazekas che da anni fa ricerca su questo tema, è percepito spesso come “denaro gratis”. Secondo i suoi report, infatti, il rischio di frode e corruzione è significativamente maggiore quando si parla di fondi europei piuttosto che fondi nazionali: «Ci si aspetterebbe che il Pnrr affronti questi rischi con un livello maggiore di controlli – ha commentato – ma non è andata così. Nessun tipo di requisito aggiuntivo è stato introdotto per i processi di appalto dei progetti».
E dire che in un primo momento la trasparenza sembrava far parte alla radice delle modalità di gestione previste per questo gigantesco fondo. Già a settembre 2020 il presidente francese Emmanuel Macron aveva dichiarato che «tutti i pacchetti di stimoli all’economia dovrebbero essere disponibili in forma aperta, così che i cittadini possano tracciare il denaro e per prevenire sprechi e corruzione».
È quindi abbastanza incredibile che, dati questi presupposti, oltre che l’acceso dibattito politico che c’è stato in questi anni sui rischi connessi a questo fondo, non sia stato aggiunto alcun obbligo di pubblicazione di dati standardizzati a livello europeo. Se all’inizio “trasparenza” era la parola chiave per allontanare lo spettro della corruzione, oggi sembra essere diventato un sinonimo di inutile sovrabbondanza di dettagli.
Certamente, tornando allo stupore di Gauer per l’interesse dei giornalisti, i nomi dei “committenti” dei vari lavori di ristrutturazione con bonus del 110% (l’unico aspetto forse del Pnrr che già è arrivato alle orecchie di tutti gli italiani, in complicate e tediosissime riunioni di condominio) non sono poi così utili, ma a chiunque segua operazioni antimafia in italia sa benissimo che forse la lista delle ditte che beneficeranno di questo bonus è di gran lunga più interessante.L’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (DIA) infatti solleva l’allarme proprio su questo aspetto, segnalando la necessità di controlli rispetto «le mire della criminalità organizzata che potrebbe essere attirata dall’imponenza di tali flussi di denaro».
Il problema, per quanto spesso l’Europa scelga di chiudere entrambi gli occhi di fronte al problema delle mafie, non è esclusivo al nostro paese: «I sodalizi del vibonese» scrive sempre la DIA, «negli anni, sono stati in grado di realizzare enormi guadagni attraverso complesse attività di riciclaggio e truffe, oltre ad aver messo piede nel settore agroalimentare distinguendosi per la sottrazione indebita di fondi europei di settore».
«I sodalizi del vibonese» scrive la DIA, «negli anni, sono stati in grado di realizzare enormi guadagni attraverso complesse attività di riciclaggio e truffe, oltre ad aver messo piede nel settore agroalimentare distinguendosi per la sottrazione indebita di fondi europei di settore»
I negoziati
I giornalisti non sono i soli a ritenere che i nomi dei beneficiari dei fondi del Pnrr debbano essere aperti e consultabili: ancora risuonavano gli echi degli applausi di congratulazione reciproca al Parlamento Europeo, due anni fa all’approvazione del progetto, quando già alcuni parlamentari cominciavano a preoccuparsi del rischio di potenziali frodi e corruzione. Tana Foarfă, consigliere del deputato europeo Dragoș Pîslaru dei liberali romeni, spiega che «il nostro obiettivo era di creare un database unico dove tutte le informazioni sui beneficiari andassero a confluire» in modo da facilitare i controlli a tutti i livelli.
Ma il progetto non è mai stato approvato. L’autunno del 2020, nonostante l’alto rischio covid, il Parlamento Europeo, la Commissione e il Consiglio d’Europa erano impegnatissimi in lunghe discussioni su questi temi, ma la Germania in particolare, secondo diverse fonti sentite in queste ricerche, si è opposta con forza alla piena trasparenza. Lo conferma anche Damian Boeselager, parlamentare eu dei verdi tedeschi, che ha preso parte ai negoziati e ci ha dichiarato: «Rappresentanti del governo tedesco erano contrari alla pubblicazione dei nomi dei beneficiari, e anche all’uso di sistemi di database che collegassero tutti i dati». Il governo tedesco non ha risposto alle nostre domande sul perché di tale posizione. Boeselager commenta con amarezza l’intero principio «Si è accettato che “se non guardi le mie carte, io non guarderò le tue”. In pratica si accetta che ci sia corruzione».
La decisione finale è stata presa già alla fine del 2020, in una delle sessioni di dialogo a tre fra Commissione, Parlamento e Stati Membri. A influenzare la posizione della Germania sembra abbia pesato molto la resistenza dei singoli stati della federazione, che mal digerivano l’idea che Berlino potesse metter mano ai loro budget. Anche da parte francese non sono mancate le resistenze, con i suoi i rappresentanti che hanno lamentato l’enorme quantità di dati da raccogliere che poi sarebbero stati disponibili anche alla Commissione.
Le rimostranze di molti paesi membri in diversi casi hanno sottolineato che la pubblicazione di tutti questi dati avrebbe violato le leggi sulla privacy. Ma almeno per quanto riguarda le persone giuridiche, le aziende per intenderci, non ci sono regole che ne impediscano la pubblicazione. Krzysztof Izdebski della Open Spending EU Coalition, coalizione di ong che promuove una spesa pubblica più trasparente a livello europeo, lo ha ribadito: «Assistiamo a un aumento dei tentativi di usare il GDPR per restringere l’accesso ai dati sui fondi pubblici. Naturalmente sono a favore del GDPR e della necessità di proteggere la privacy dei cittadini, ma non mi pare una giustificazione adeguata per restringere l’accesso ai dati sui fondi». Nel frattempo i fondi stanno cominciando a muoversi, non solo verso l’Italia. Per la precisione, 66 miliardi di euro di finanziamenti e 33 miliardi di prestiti sono già stati erogati. Per il momento, data l’ostinazione di molti paesi membri, resta un mistero in che mani siano finiti.
Il team di Recovery Files ha provato in tutta Europa a saperne di più. Al momento solo alcuni paesi, come la Slovacchia e la Lituania, sembrano pronti a pubblicare tutti i dati sui beneficiari. La Germania, nonostante l’opposizione ai negoziati, ha continuato a discutere sul tema fino almeno all’anno scorso, secondo le ricerche dei colleghi tedeschi di Die Welt (partner del progetto) sul tema, ma dopo una serie di consultazioni coi vari ministeri, la questione si è chiusa in un nulla di fatto, senza spiegazioni precise. La stessa Francia di Macron, che si era espressa decisamente a favore della piena trasparenza, sembra in difficoltà a offrire dati chiari. Quando Le Monde ha provato a saperne di più, è stato mandato da un sito all’altro, da un ministero all’altro, come il guerriero gallico Asterix degli autori Goscinny-Uderzo ne Le dodici fatiche col lasciapassare A38.
La risposta finale data dal Ministero dell’Economia francese è che un database unico con tutti i dati non verrà mai prodotto, ma che i dati verranno pubblicati spezzettati dagli almeno 25 dipartimenti coinvolti nell’implementazione del piano. Per il momento, nessuno di questi dipartimenti ha condiviso informazioni con il team di Recovery Files.
Per le autorità di vigilanza europee le cose non sembrano andare molto meglio. Già l’anno scorso OLAF, l’agenzia anti-corruzione europea, aveva lanciato l’allarme sui rischi connessi alla mancata cooperazione a livello pan-europeo nella raccolta e pubblicazione dei dati sul Pnrr. La Corte dei conti europea, dal canto suo, ci ha detto che «siamo in un terreno incerto rispetto agli aspetti tecnici degli audit sul Pnrr» dice un portavoce. «I paesi membri dovrebbero mandarci i dati, ma a seconda degli specifici argomenti, potremmo dover consultare direttamente diverse autorità a diversi livelli dei governi».
La complessità senza precedenti del Pnrr sicuramente giustifica alcuni ritardi e imprecisioni. Tanto il contenuto del piano, quanto lo stesso contenitore e i meccanismi che lo rendono possibile sono stati costruiti da zero, con pochissimi esempi simili a cui appoggiarsi. Eppure il valore della trasparenza su questi temi dovrebbe essere, nel nostro continente, un valore acquisito e inviolabile, non solo per ragioni etiche ma anche pratiche e concrete. È infatti un dato fatto acquisito che più le informazioni riguardo un appalto sono trasparenti, meno probabile è che ci sia spreco di risorse.
La situazione italiana
L’Italia, in questo quadro, ha una posizione ambivalente. L’11 maggio 2022 abbiamo inviato una prima richiesta al governo per sapere se renderanno pubblici i beneficiari del Pnrr. Non siamo i soli a richiedere accesso alle informazioni relative alle sei missioni del Pnrr. Già a metà aprile 2022 Openpolis denunciava una mancanza di trasparenza e una carenza di informazioni sullo stato di avanzamento delle misure. Alcuni dati, finalmente, compaiono su Italia Domani il 13 maggio. Sono quelli a cui accennavamo in apertura, relativi solo ed esclusivamente alle prime assegnazioni di fondi per la Missione 1. Le amministrazioni competenti dei progetti sono il Ministero degli Affari Esteri per la maggior parte, segue il il Ministero della Pubblica Amministrazione, poi ultimo il Ministero del Turismo per un solo beneficiario.
Il volume dei dati resta comunque impressionante: si sa al momento di circa 5 mila aziende che prenderanno da un minimo di 100 euro a un massimo di 300 mila. Dalle informazioni presenti sul sito non è chiaro se i beneficiari abbiano già ottenuto una parte dei fondi e a che stato di attuazione siano i progetti. Un altro dato interessante riguarda la coincidenza dei soggetti beneficiari (che affidano il contratto a un soggetto terzo) con i soggetti attuatori (coloro che effettivamente vanno ad attuare il progetto). I soggetti attuatori potrebbero essere gli stessi enti pubblici come i comuni – visto che questi hanno al loro interno uffici per poter attuare le misure – oppure aziende esterne che dovranno essere scelte secondo procedure ancora non precisamente descritte.
Di fronte a questa confusione abbiamo cercato di farci spiegare dai vari Ministeri coinvolti nella M1 quali fossero i criteri di scelta delle aziende indicate nel file e perché fossero stati pubblicati solamente quei soggetti beneficiari e non tutti gli altri. Le nostre richieste al Ministero degli Affari Esteri e a Palazzo Chigi (a cui fa capo il Dipartimento dell’Innovazione) cadono nel vuoto. Finalmente il 22 giugno, dopo alcuni solleciti telefonici, ci confermano di aver preso visione delle nostre domande di cui però non sono arrivate ancora le risposte. Palazzo Chigi ci rimanda ad «altri uffici competenti» dopo oltre un mese dalla nostra richiesta di accesso ai dati. Dei beneficiari che riguardano le altre missioni, nel frattempo, neanche l’ombra.
La situazione che sta prendendo forma in Italia sembra, come quella di diversi altri paesi europei, una in cui i dati verranno pubblicati in forma frammentaria e incompleta. In queste condizioni, sarà estremamente difficile per la società civile mettere in pratica le funzioni di controllo e vigilanza indipendente che tanto spesso sono state il più efficace argine contro tentativi di frode.