30 Novembre 2022 | di Giulio Rubino
Si è conclusa la settimana scorsa l’annuale riunione di Iccat a Lisbona.
Iccat, organismo intergovernativo che regola gli accordi internazionali per la pesca ai grandi pelagici migratori, in particolare del tonno rosso (bluefin tuna), è un entità intergovernativa e gode, nella sua sede di Madrid, di uno status diplomatico simile a quello delle ambasciate.
Non è quindi interrogabile con richieste di accesso agli atti e, a parte alcuni specifici “osservatori” accreditati come il WWF, opera al di sopra della maggior parte degli scrutini possibili alla società civile.
Dalla conferenza di quest’anno sono usciti fuori comunicati con toni di soddisfazione, che annunciano una nuova strategia per “ garantire pesca sostenibile e redditizia a lungo termine” nella gestione dello stock ittico.
Forti dell’indiscutibile crescita degli stock di tonno rosso, che solo 15 anni fa appariva quasi a rischio estinzione, è facile vedere nella gestione Iccat della risorsa “tonno rosso” un modello di successo. Ma ci sono ombre scure su questa idilliaca rappresentazione dei fatti.
Sostenibilità infatti, come dichiara la stessa Iccat, non ha solo a che vedere con la sopravvivenza del tonno rosso, ma anche con quella della millenaria pratica della pesca a questa specie, una pesca che è profondamente legata alla cultura di tutto il Mediterraneo.
Quella che state per leggere è un’inchiesta che svela quanti tonni muoiano davvero nel corso delle battute di pesca, un numero che potrebbe essere anche il doppio di quanto dichiarato dagli armatori e “permesso” da Iccat.
Ma se, nonostante ciò, i banchi di tonno sono in ripresa, dov’è il problema?
Il problema non è più sulla sopravvivenza dei tonni, quanto sulla sostenibilità sociale ed umana dell’attuale modello industriale di pesca. Iccat, bisogna riconoscerlo, non ha creato la pesca industriale, anzi, è stata creata proprio per regolamentarne gli eccessi ed evitare danni irreparabili all’ecosistema. Ma nel perseguire questo obiettivo non ha potuto evitare che nel sistema pesca al tonno si creassero e rinforzassero degli oligopoli molto ristretti.
Avere il privilegio di una quota di, per esempio, 100 tonnellate di tonno all’anno è cosa rara e difficile da ottenere per un pescatore del nostro Paese.
La maggior parte dei piccoli pescatori è quasi terrorizzata dalla prospettiva di pescare “per sbaglio” tonni perché, senza diritto a pescarli, saranno costretti a buttar via i pesci presi o a entrare, inevitabilmente, nel circuito dell’illecito.
Centinaia di piccoli pescatori ogni anno sono quindi costretti all’illegalità da un sistema che permette a pochissimi di pescare tonni e, in teoria, anch’essi con regole molto rigide.
Ma se anche una quota da appena cinque tonnellate, come molte piccole barche hanno in concessione dal Dipartimento Pesca del Mipaaf, è un privilegio prezioso, come si può accettare che barche che hanno quote sopra le 200 tonnellate lascino morire così tanti pesci, mandandoli sprecati sul fondo del mare?
Per approfondire
La mattanza invisibile
Un sommozzatore svela le conseguenze della pesca al tonno rosso nel Mediterraneo. Gli esemplari morti sono molti di più di quanto dichiarato e le quote di trasferimento vengono sforate senza alcuna preoccupazione. In un settore impregnato di omertà
Com’è possibile che pochissimi attori abbiano messo in piedi un’industria che regala profitti milionari, e che questa industria sia anche considerata “sostenibile” solo in virtù della “quantità di tonni nel mare”, se il sistema continua ad escludere chiunque non sia parte del circuito “industriale” preferito, quello che cattura tonni vivi, li porta a ingrassare in allevamenti a Malta o in Spagna, per venderlo a caro prezzo ai giapponesi?
Che significato diamo alla parola “sostenibile”, di gran moda in questi tempi, se di fatto il sistema è “sostenibile” solo per un elite che si concede anche il lusso di sprecare una buona parte della risorsa su cui lavora, grazie all’esclusione di così tanti altri soggetti?
Sostenibile è un’attività che in cui ci sia armonia fra l’uomo e il mondo in cui vive, dove i soprusi sui lavoratori di cui leggerete non possano avvenire, e dove una stretta cerchia di privilegiati (ed è particolarmente pertinente l’etimologia del termine “legge privata”) non sia in grado di chiudere l’accesso a tutti gli altri a risorse che, per la loro natura, non appartengono a nessuno.
Crediamo quindi che ci sia ancora moltissimo da fare in questo settore, anche se siamo felici di sapere che i tonni rossi continueranno a nuotare nei nostri mari. Aspettiamo, per festeggiare, che le baronie industriali del tonno siano definitivamente scardinate.