4 Luglio 2022 | di Edoardo Anziano
Il 27 giugno 2022 i giudici del Tribunale Penale Federale di Bellinzona, nel Canton Ticino, hanno emesso una sentenza storica. La banca Credit Suisse è stata dichiarata colpevole di aver aiutato l’organizzazione criminale del narcotrafficante bulgaro Evelin Banev, alias “Brendo”, a ripulire soldi sporchi guadagnati con il contrabbando di cocaina. È la prima volta che un istituto bancario viene dichiarato colpevole di riciclaggio in Svizzera.
Fra il 2004 e il 2008 i mafiosi bulgari, con a capo Banev, avevano aperto decine di conti cifrati in Credit Suisse – simili a quelli di cui IrpiMedia aveva già raccontato nell’inchiesta SuisseSecrets. Su questi conti sono poi affluiti centinaia di milioni di euro, i proventi di un gigantesco traffico internazionale di droga, senza che la banca provvedesse a effettuare un’adeguata due diligence per controllare l’origine dei soldi.
Secondo le accuse dei pubblici ministeri gli indizi sull’origine illecita dei fondi erano chiari. Nonostante ciò, in Credit Suisse non è scattato nessun allarme. Anzi, le transazioni con l’organizzazione di Banev sembravano deliberatamente organizzate in modo da non destare alcun sospetto di riciclaggio.
Il Tribunale ha accertato «carenze all’interno della banca nel periodo in questione [fra luglio 2007 e dicembre 2008; i fatti antecedenti sono caduti in prescrizione ndr], sia per quanto riguarda la gestione dei rapporti con i clienti dell’organizzazione criminale, sia per quanto riguarda il monitoraggio dell’attuazione delle norme antiriciclaggio». Per questo motivo, Credit Suisse è stata multata per due milioni di franchi svizzeri, poco più di due milioni di euro, e costretta a risarcire il governo cantonale per 18.6 milioni di euro. Dopo il verdetto, l’istituto ha annunciato che ricorrerà in appello, prendendo atto «di questa decisione relativa a precedenti carenze organizzative».
#SuisseSecrets, il progetto d'inchiesta
#SuisseSecrets, il progetto
Suisse Secrets è un progetto di giornalismo collaborativo basato sui dati forniti da una fonte anonima al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung. I dati sono stati condivisi con OCCRP e altri 48 media di tutto il mondo. IrpiMedia e La Stampa sono i partner italiani del progetto.
Centocinquantadue giornalisti nei cinque continenti hanno rastrellato migliaia di dati bancari e intervistato decine di banchieri, legislatori, procuratori, esperti e accademici, e ottenuto centinaia di documenti giudiziari e finanziari. Il leak contiene più di 18mila conti bancari aperti dagli anni Quaranta fino all’ultima decade degli anni Duemila. In totale, lo scrigno è di oltre 88 miliardi di euro.
«Ritengo le leggi sul segreto bancario svizzero immorali – ha dichiarato la fonte ai giornalisti-. Il pretesto di proteggere la privacy finanziaria è semplicemente una foglia di fico che nasconde il vergognoso ruolo delle banche svizzere quali collaboratori degli evasori fiscali. Questa situazione facilita la corruzione e affama i Paesi in via di sviluppo che tanto dovrebbero ricevere i proventi delle tasse. Questi sono i Paesi che più hanno sofferto del ruolo di Robin Hood invertito della Svizzera».
Nel database di Suiss Secrets ci sono politici, faccendieri, trafficanti, funzionari pubblici accusati di aver sottratto denaro alle casse del loro Paese, uomini d’affari coinvolti in casi di corruzione, agenti di servizi segreti. Ci sono anche molti nomi sconosciuti alle cronache giudiziarie.
Oltre alla banca fondata nel 1856, sono stati riconosciuti colpevoli due cittadini bulgari – considerati i faccendieri in Svizzera del boss Banev, non indagato -, e due ex funzionari di banca, fra cui la consulente alla clientela della sede zurighese di Credit Suisse all’epoca dei fatti: colei che avrebbe materialmente aiutato i trafficanti ad aprire i conti correnti. Tutte le pene carcerarie sono state sospese, tranne quella di uno degli uomini di fiducia di Banev, condannato a tre anni (di cui solo metà sospesa) per associazione a delinquere, riciclaggio e tentato riciclaggio.
I giudici svizzeri, con questa sentenza, hanno portato a conclusione una vicenda processuale che era cominciata nel 2013, ma che affonda le proprie radici in un piccolo sequestro di cocaina avvenuto in Italia oltre 15 anni fa.
L’alleanza mafia fra mafia bulgara e ‘ndrangheta
Sono le 13 del 7 novembre 2005. Al casello autostradale di Agrate Brianza, 20 chilometri da Milano, i Carabinieri del Nucleo radiomobile fermano una Lancia Y per un controllo. Alla guida c’è Paolo Fenu, ispettore capo di Polizia presso la Questura di Venezia. All’interno dell’auto i militari trovano circa un chilo e mezzo di cocaina, e arrestano Fenu. Dal piccolo sequestro al casello di Agrate, il Ros di Torino, col coordinamento della Dda di Milano, segue le tracce di un fiume di cocaina che si dipana tra Veneto e Piemonte. In tre anni ne vengono sequestrate 10 tonnellate.
Gli investigatori scoprono che Fenu era stato assunto come corriere da un cittadino bulgaro nato a Padova. Così, rivelano, con lunghe indagini che durano fino al 2012, l’esistenza di un sodalizio tra la mafia bulgara e una locale di ‘ndrangheta in Piemonte, collegata alla ‘ndrina Bellocco di Rosarno. L’organizzazione criminale si avvaleva di una rete di spacciatori veneti e piemontesi per distribuire la cocaina, che veniva importata via mare dalla Repubblica Dominicana, passando per Amsterdam e Milano.
Alla testa dell’organizzazione c’è Brendo, il “re della cocaina”. Specializzato in narcotraffico sulla rotta Sud America – Europa occidentale, ha contatti con i guerriglieri delle FARC – le Forze Armate Rivoluzionarie colombiane – e con altri cartelli. Insieme a lui finiscono in manette, per associazione a delinquere e spaccio, altre 29 persone. Tuttavia, l’operazione svela molto di più che una rete transnazionale di traffico di stupefacenti. All’organizzazione la polizia sequestra beni per 30 milioni di euro, fra cui diversi conti cifrati presso la banca svizzera Credit Suisse.
Centinaia di milioni in Credit Suisse
Secondo quanto emerge dalle prime indagini della Dda di Milano, nel 2012, ammonterebbero ad almeno 10 milioni di euro i depositi in conti cifrati presso Credit Suisse riconducibili al clan mafioso di Banev. Un sodalizio che però riesce a importare in Europa una media di 40 tonnellate di cocaina all’anno, piazzandola sul mercato a 30 milioni di euro a tonnellata. E infatti, nei primi conti scoperti nella sede zurighese di Paradeplatz non c’è che una minima frazione della fortuna accumulata dai narcotrafficanti bulgari.
Tra il 2004 e il 2006, Banev – insieme con familiari e affiliati – apre 84 conti e affitta 8 cassette di sicurezza presso Credit Suisse. Su cui iniziano ad affluire decine di milioni di soldi sporchi, sia provenienti da società offshore che depositati direttamente in contanti, come ricostruito dal giornalista svizzero Federico Franchini. Con la protezione del segreto bancario, i mafiosi bulgari consegnano il denaro, anche in trolley pieni di cash, e la banca accetta senza battere ciglio. In tre anni l’istituto di credito aiuta Banev a riciclare più di 70 milioni di franchi. Secondo altre fonti i proventi illeciti riciclati ammonterebbero in totale a 145 milioni di franchi.
«In poco tempo, – scrive Franchini – Zurigo diventa la più importante base finanziaria per l’organizzazione», con il boss Banev che riesce persino a farsi concedere un prestito da 10 milioni di euro da Credit Suisse, per investire nel settore immobiliare. Infatti, proprio nel paese elvetico il “re della cocaina” pensa di trasferirsi con la moglie.
Non fa in tempo. Nell’aprile del 2007 Evelin Banev viene arrestato in Bulgaria perché accusato di frode immobiliare e riciclaggio di denaro per due milioni di euro. Rilasciato su cauzione, viene arrestato di nuovo nel 2012 a Sozopol, in Bulgaria, su ordine del Tribunale di Milano, che smantella la sua rete di trafficanti e apre le porte all’indagine svizzera su Credit Suisse. La Corte della città di Sofia lo condanna a sette anni e sei mesi l’anno seguente, ma le accuse vengono annullate in appello. Sempre nel 2013, i giudici milanesi lo condannano, stavolta a 20 anni di carcere, per associazione a delinquere e traffico internazionale di stupefacenti. Nel frattempo è ricercato anche dalla DIICOT, la Direzione Investigativa contro il Crimine Organizzato e il Terrorismo in Romania, per aver trafficato 50 kg di cocaina.
Il “re” rimane imprendibile
In totale, fra droga e riciclaggio, Banev deve scontare 36 anni di prigione fra Italia, Romania e Bulgaria. Nel 2015, tuttavia, dopo essere stato estradato dall’Italia a Sofia – dove il boss bulgaro ha entrature con i servizi segreti – Banev sparisce.
Per sei anni, “Brendo” si dà alla macchia, finché, nel settembre 2021 viene arrestato in Ucraina, a Kiev. Gli viene però concessa la cittadinanza ucraina, viene rimesso in libertà e la Corte d’appello di Kiev si oppone alla sua estradizione, proprio in quanto cittadino ucraino.
Nel frattempo il processo contro Credit Suisse per la vicenda del riciclaggio del denaro sporco di Banev va avanti. A febbraio 2022 lo stesso Banev, seppur non come indagato, viene chiamato a comparire di fronte ai giudici del Tribunale penale federale di Bellinzona. Il trafficante non si presenta e i magistrati di Kiev affermano di non sapere più dove viva.
Alla fine di giugno 2022, i giudici di Bellinzona condannano i suoi sodali per aver riciclato i soldi della droga con il silenzio della banca svizzera. Eppure, a mancare all’appello è proprio il “Brendo”, il capo dell’organizzazione criminale bulgara alleata dei Bellocco in Piemonte. Forse protetto dalle sue amicizie politiche e istituzionali, Evelin Banev per adesso è sempre riuscito a evitare il carcere, e non ha scontato che una minima parte della sua pena.
Editing: Lorenzo Bagnoli