Venezia, l’addio mai detto alle grandi navi
La costruzione di un porto temporaneo a Venezia per accogliere le grandi navi ha riaperto un dibattito che lacera la città da decenni, tra chi si batte per la salvaguardia della laguna e chi spinge per la crescita economica a tutti i costi
20 Settembre 2023

Giada Santana

Se dalle finestre arcuate del campanile di San Marco vedeste un uomo su un piccolo motoscafo che sfreccia verso l’orizzonte, non lo riconoscereste. Sebastiano Bergamaschi, cofondatore del movimento Fridays for Future di Venezia, 24 anni, è coperto dalla testa ai piedi da un passamontagna nero e da una pesante giacca scura. Solo i suoi occhi si muovono, contro il vento freddo che gli sferza il viso. Intanto, la barca attraversa il canale Malamocco Marghera, a pochi chilometri dal centro di Venezia. È il 27 Novembre 2022 e l’attivista è in missione per verificare la presenza di anomalie: lavori edilizi non annunciati, o il passaggio non autorizzato di crociere. «Vedete, è da qui che passano ora le navi», dice mentre ci mostra i contorni sfocati di una imbarcazione all’orizzonte. «I giganti non sono più dentro casa, li hanno spostati lontano dagli occhi», aggiunge Ruggero Tallon, attivista del Comitato No Grandi Navi che ci accompagna nel viaggio.
L'inchiesta in breve
  • Per proteggere il business delle grandi navi a Venezia, l’Autorità portuale sta costruendo un sistema di approdi provvisori che richiederà interventi sull’ecosistema lagunare
  • Le crociere passeranno per il canale Malamocco Marghera, che già versa in condizioni critiche dovute all’impatto del traffico marittimo degli anni sessanta
  • Parallelamente, le casse di colmata, un biotopo naturale nell’area, verranno rinforzate con barriere rigide e sopra vi verranno depositati chili di fanghi dragati dal canale
  • L’ultima volta che il canale è stato dragato, negli anni Sessanta, la città ha vissuto la più grande acqua alta di sempre (194 cm)
  • L’Autorità Portuale vuole alzare il numero di crocieristi ad un milione al 2027.
    Scienziati, organizzazioni ambientali e la Commissione europea hanno espresso preoccupazione per l’effetto che questo progetto avrà sulla sopravvivenza della città

Come la maggior parte dei residenti della città, giovani attivisti come Tallon e Bergamaschi hanno un attaccamento quasi religioso a Venezia. Entrambi si sono dati all’attivismo politico da studenti e si sono subito uniti al movimento per il clima. «La prima volta che sono saltato davanti a una barca avevo diciassette anni», racconta Sebastiano. Una volta terminato il liceo, i due sono passati da essere compagni di scuola a organizzatori di proteste, mentre i sindaci diventavano via via più indifferenti alla causa ambientale, secondo Ruggero.

I due sono in allerta a causa dell’espansione del porto “provvisorio” che aprirà una nuova strada alle grandi navi nella Laguna di Venezia.

Gli attivisti Sebastiano Bergamaschi (Fridays for Future Venezia) e Ruggero Tallon (Comitato No Grandi Navi) in barca – Foto: Cynthia Boll

I sì e i no alle grandi navi

Dopo un’ampia mobilitazione cittadina, alle grandi navi era stato vietato l’ingresso in città a Marzo 2021: il decreto Draghi, per le navi da crociera in particolare, impartiva la costruzione di un porto offshore fuori dalle acque protette di Venezia. Le onde e la movimentazione delle acque poco profonde della laguna sono infatti la causa principale dell’alterazione delle fondamenta della città. Per salvare il business non peggiorando la situazione, fino al completamento del nuovo porto, si suggeriva l’implementazione di soluzioni temporanee.

A due anni di distanza dalla promulgazione della legge, il concorso di idee per la costruzione del porto fuori dalla laguna è stato annullato per peripezie legali, e l’Autorità portuale ha investito 158 milioni nello sviluppo di una soluzione “provvisoria” basata su accosti temporanei sparsi per la laguna. E con successo. Quest’anno, il Porto ha riaperto la stagione crocieristica con l’arrivo di quasi 300 navi che sono passate e passano, ancora, vicino Venezia.
Questo grazie allo sviluppo, già in atto, di attracchi per navi in piena laguna, nelle prossimità della città – a Marghera, a ridosso della zona industriale della città, Marittima e Chioggia. Il quarto, a Fusina è in costruzione.

Il tema delle grandi navi continua a spaccare in due la città. Da un lato, coloro che credono che la protezione di Venezia coincida con la protezione dell’ambiente lagunare e dunque, con soluzioni che siano in primis sostenibili a lungo termine per la città e per il suo ecosistema. Dall’altro, coloro che, inclusa l’amministrazione comunale, vedono nella città un’incredibile risorsa economica, la quale frutta più di tre miliardi l’anno grazie al turismo di massa. Questa seconda fazione non solo non si oppone al blocco del turismo crocieristico ma vorrebbe negli anni vederlo crescere.

In alto a sinistra, l’area di Porto Marghera dove si trovano gli approdi temporanei
L’area all’esterno della Laguna, che coincide con le acque territoriali italiane, su cui è autorizzata la costruzione del porto offshore

L’impatto ambientale

Aumentare il traffico marittimo non è un intervento senza conseguenze, specialmente finchè si conta sugli attracchi “temporanei”, comporterà dragaggi e modifiche al canale e alle aree naturali protette che vi si trovano. Infatti, lo stato attuale del canale Malamocco Marghera non consente l’accesso alle grandi navi. Secondo il ricercatore Zaggia, «il canale è già in condizioni critiche» a causa della rotta delle navi che negli ultimi sessant’anni ne hanno alterato il delicato equilibrio geologico.

Molteplici sono le criticità legate ad uno scavo del canale Malamocco Marghera, a partire da quelle già delineatesi negli anni del boom industriale. L’ultima volta che questo canale è stato scavato risale agli anni Sessanta, quando la città ha sperimentato la prima e più distruttiva alta marea nella storia del veneziano, l’”Acqua Granda”. La ricerca scientifica ha dimostrato infatti che lo scavo del canale fu direttamente correlato alla frequenza dell’acqua alta in laguna: tra gli anni Sessanta e Settanta, gli episodi di inondazioni raddoppiarono rispetto ai cento anni precedenti.

Come sottolineato dalla commissione di valutazione ambientale (Via) stessa, la costruzione del canale è stata «un acceleratore di fenomeni che sarebbero comunque avvenuti, ma in un tempo più lungo». Lo scavo ed il conseguente passaggio di navi commerciali hanno portato all’erosione di più di 15 milioni di metri cubi di sedimenti. Ciò ha contribuito a incrementare la profondità del canale, aumentare la quantità d’acqua che fluisce in laguna e a diminuire la qualità dell’acqua stessa, intrisa di sedimenti che dovrebbero essere stabili sul fondo. È improbabile che un aumento del loro numero o delle loro dimensioni sia sostenibile a lungo termine.

È importante sottolineare che anche le imbarcazioni di piccole e medie dimensioni costituiscono una fonte di stress per l’ecosistema: il loro passaggio crea onde sottomarine che si infrangono contro le fragili fondamenta in legno della città. Al momento, non esistono metodi di controllo sparsi sul territorio per regolarne la velocità. «Il modello abituale è ignorare che i problemi ci sono», dice una fonte dell’amministrazione comunale.

Secondo gli attivisti di Fridays for Future e Comitato No Grandi Navi, la natura invasiva di questi lavori rappresenta un pericolo concreto per la biodiversità dell’ecosistema lagunare e, potenzialmente, per la sopravvivenza della città.

Una nave da crociera attraversa il canale della Giudecca a giugno 2021 scortata dalla polizia per le proteste degli attivisti locali contro il passaggio delle grandi navi nei canali della Laguna – Foto: NurPhoto/Getty

Lo studio del Porto che sostiene le grandi navi in laguna

L’autorità portuale di Venezia, che dal traffico crocieristico ha guadagnato più di 16 milioni nel 2022, sostiene che le conseguenze delle grandi navi dentro la laguna siano mitigabili, e ha commissionato uno studio che lo conferma. «Le navi, comunque, devono in qualche maniera arrivare, allora, tentiamo di studiare come farle entrare», spiega Menegazzo, project manager dello studio.

Menegazzo si riferisce a Channeling the Green Deal for Venice, uno studio da 1,7 milioni di euro, finanziato da un programma comunitario, i cui risultati sono stati presentati a Bruxelles a luglio. Un lavoro congiunto di vari studi privati internazionali, il progetto ha dato luce ad un programma di calcolo in grado di valutare l’impatto delle navi sulle fondamenta della città e sul fondale del canale Malamocco Marghera, sulla base di una raccolta di dati storici di condizioni meteo-marine. Secondo i dati raccolti, sarebbe possibile, attraverso la diminuzione della velocità navale (di poco meno di 4 km/ora), dimezzare lo stress sul canale dovuto alle grandi navi. Per ridurre ulteriormente l’impatto creato dalle onde, lo studio raccomanda di intervenire sul canale stesso nei punti più critici.

Ma anche all’interno dello stesso team che ha prodotto questo studio non mancano le perplessità: secondo il ricercatore Luca Zaggia, parte del consiglio consultivo dello studio, «è stato annunciato che questo progetto prevede delle piccole trasformazioni del canale, che però non sono veramente piccole». Per quanto la direzione sia di una prima vera presa di coscienza rispetto all’impatto ambientale del traffico marittimo da parte del porto, Zaggia sottolinea la mancanza di una visione a lungo termine. «Non è un sistema che risolve il traffico per i prossimi cinquant’anni», conclude.

Scavi o lavori di manutenzione?

Già prima del blocco delle navi da crociera, il porto aveva avviato uno studio sui lavori «di manutenzione» affini alla riapertura del traffico del canale Malamocco Marghera, con l’intenzione di spostare le navi dal più visibile Canale della Giudecca, e allontanare le critiche che già c’erano rispetto al traffico crocieristico. Un anno dopo, il Provveditorato propose, oltre allo scavo, la ricostituzione di isole artificiali, chiamate casse di colmata che, negli ultimi sessant’anni, si erano trasformate in preziose aree abitate da rare specie di uccelli.

Le casse di colmata furono in origine realizzate negli anni Sessanta con materiale di scavo del canale. Gradualmente, la pressione delle onde mosse dall’intenso traffico navale ne causò l’erosione. Questi sedimenti, depositandosi sul fondo, rendono, ad oggi, il canale meno adatto al passaggio di grandi navi. Di qui la decisione del Provveditorato di intervenire con barriere rigide per porre fine al problema e migliorare le condizioni del traffico.

Porto Marghera, dove risiedono alcuni degli attracchi provvisori per le grandi navi – Foto: Cynthia Boll

A febbraio del 2021, però, la commissione nazionale per la Valutazione di impatti ambientali (Via) blocca i lavori, sottolineando come le conseguenze ambientali di questo progetto siano potenzialmente negative, soprattutto se cumulate con il dragaggio del canale. Secondo la Via, «le informazioni fornite non appaiono sufficienti» per dimostrare che il progetto si concili con la salvaguardia della laguna. L’Autorità portuale ha deciso di impugnare la sentenza, facendo ricorso al Tar.

L’ecosistema a rischio

Nel frattempo, il Provveditorato ha presentato un nuovo progetto ad agosto dell’estate scorsa. Il nome del quale è molto simile al precedente, bocciato dalla Via. La differenza sta nell’impatto geografico, limitato alla sponda ovest del canale, oltre all’abbandono della proposta di intervento di dragaggio del canale. Questo dovrebbe limitare i danni, ma alla cittadinanza appare piuttosto una strategia per aggirare il blocco della commissione VIA: «È più facile rovinare una tessera alla volta, piuttosto che l’insieme del mosaico», dice Marco Zanetti, portavoce dell’associazione Venezia Cambia.

Nella stessa Commissione salvaguardia di Venezia la questione fu molto dibattuta. Nel verbale della discussione si può leggere come più di un commissario avesse infatti suggerito di rinviare il giudizio a quando la commissione ambientale Via si fosse espressa, oltre a sottolineare come il progetto non coincidesse con la difesa di queste zone, in quanto non ci può essere protezione delle casse di colmata finchè c’è navigazione marittima nel canale Malamocco Marghera. Il moto ondoso, infatti, è il principale motivo per cui queste aree sono soggette ad erosione. Di fronte a queste perplessità, la presidente della Commissione rispose di essere disposta a «fare una forzatura» per velocizzare la messa in opera del progetto. La Commissione per la salvaguardia di Venezia finì per approvare il progetto nonostante un voto contrario, quello di Antonio Rusconi, e quattro astenuti, tra cui i rappresentanti del ministero dell’Ambiente e del ministero della Cultura.

Per l’associazione Venezia Cambia, si tratta dell’ennesimo progetto che mette a rischio l’ambiente a favore della navigazione portuale. Il piano, infatti, prevede l’applicazione di barriere rigide e l’utilizzo di materiali industriali, per ovviare all’impatto del passaggio delle navi, che contribuisce all’erosione delle casse di colmata. L’intervento prevede anche di utilizzare le casse di colmata come luogo di deposito dei fanghi dragati dai canali. Secondo Zanetti, un intervento di natura industriale su queste zone protette «va contro la protezione ambientale e la rinaturalizzazione di queste zone».

Anche fra gli esperti, si respira preoccupazione: secondo Zaggia, è probabile che la ricostituzione artificiale di queste isole causi «condizioni critiche che potrebbero peraltro ripercuotersi nel lato est, quello in cui ci sono i bassi fondali». Negli anni, in risposta allo stress del traffico industriale, il canale è infatti aumentato di profondità. Riportare le casse di colmata alla posizione originale riduce lo spazio necessario a consentire il movimento dell’acqua dopo il passaggio delle navi, senza grandi ripercussioni sul canale. Secondo Zaggia, dunque, questo intervento indebolisce l’efficacia degli interventi proposti dallo stesso studio Channelling del Porto di Venezia, che ha lo scopo di mitigare le conseguenze della circolazione navale.

Una volta che le Ong ambientali veneziane ne sono venute a conoscenza, racconta Zanetti, era ormai troppo tardi per effettuare ricorso. Allora, assieme ad altre cinque associazioni, Zanetti ha co-firmato due esposti al ministero dell’Ambiente, sottolineando le somiglianze tra i due progetti ed il tentativo di sorpassare la necessità di sottoporre alla Via l’intervento nel suo insieme. Secondo le associazioni firmatarie, il progetto «non consiste in opere di mera manutenzione e ripristino, trattandosi invece di interventi del tutto nuovi».

Piccole imbarcazioni sfrecciano vicino alla fondamenta, sullo sfondo il porto commerciale dove attraccano le grandi navi – Foto: Giada Santana

La Commissione europea stessa ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia, parlando di «mancanze significative» nell’implementazione della Direttiva Piano Acque 2000/60/EC in più regioni sul territorio, facendo riferimento alla soluzione del porto provvisorio, e alla potenziale costruzione di barriere rigide che potrebbero modificare irreparabilmente la morfologia della laguna. Quando abbiamo chiesto un commento al presidente dell’Autorità portuale Di Blasio, ha dichiarato di non essere a conoscenza del fatto.

Nonostante le criticità sottolineate dall’organo europeo, il ministero dell’Ambiente incaricato dal governo Meloni ha confermato la viabilità del nuovo progetto, senza prima assoggettarlo al parere della commissione ambientale. La stessa Autorità portuale ribadisce che «non c’è bisogno della commissione». La resistenza contro la valutazione risulta, però, quasi paradossale, tenendo a mente che si conta di ultimare l’opera, dal costo di poco meno di venti milioni di euro, entro i prossimi tre anni e grazie a fondi Pnrr destinati a «infrastrutture per una mobilità sostenibile« e «resilienza delle infrastrutture portuali ai cambiamenti climatici».

Il costo economico

Per il presidente dell’Autorità portuale, l’obiettivo rimane espandere la capacità del Porto. Entro la fine del suo mandato nel 2027, Di Blasio si ripropone di espandere la capacità di accoglienza di Venezia ad un milione di crocieristi. «Siamo passati da l’annus horribilis a quest’anno, in cui abbiamo 380 mila passeggeri», dice Di Blasio, «gli ormeggi diffusi sono la soluzione che ha salvato la città».

D’altronde, una peculiarità di Venezia è sempre stata il suo essere un home port crocieristico. Prima del decreto Draghi, il porto accoglieva fino a 10 navi da crociera contemporaneamente, grazie a 3,5 chilometri di banchine dedicate, 290.000 metri quadrati di superficie complessiva, 10 terminal crocieristici e 11 accosti complessivi. Si parlava di fino a 502 toccate all’anno per un totale di 1,56 milioni di crocieristi ed un guadagno complessivo di 286,6 milioni di euro all’anno che creava lavoro per 13.000 addetti portuali. Il decreto ha drasticamente ridotto tutte le attività: se la città fino al 2019 svettava in testa alla classifica degli scali crocieristici, ora rimane fuori dai primi cinquanta, secondo Leggo.

Proprio per questo, la notizia di un ampliamento del porto provvisorio è stata accolta con favore da molti, soprattutto da coloro che erano rimasti disoccupati dopo il divieto di passaggio delle grandi navi. Secondo le stime dell’Autorità portuale, a Marghera, tra le 1.600 e le 1.700 aziende lavorano nel settore, con un totale di 21.000 impiegati.

Futuro a breve termine

Nonostante l’imperativo del decreto Draghi, rimane lontano il prospetto di un porto fuori dalle acque protette della laguna. Il concorso di idee è ormai bloccato da aprile dell’anno scorso. Dopo il ricorso da parte di due compagnie il cui progetto era stato escluso, il Tribunale del Veneto ha decretato l’annullamento del concorso. In risposta, l’Autorità portuale ha deciso di impugnare la sentenza. Rimane dunque difficile a dirsi quando l’opportunità di spostare il traffico marittimo fuori dal vulnerabile ecosistema della laguna si farà concreta. Nel frattempo, l’ampliamento del porto cosiddetto provvisorio continua.

A fronte di questi sviluppi, attivisti come Tallon organizzano regolarmente conferenze e proteste a Venezia per informare i residenti dei rischi che la città dovrà affrontare. Ad inizio Settembre, il Comitato No Grandi Navi terrà un climate camp, una settimana di incontri informativi per sensibilizzare i giovani a tematiche di cambiamento climatico in tutto il mondo. Tallon nega di essere ottimista, eppure continua a sognare un futuro diverso. «Prima lottavamo per cacciare i giganti dalla città», dice l’attivista, «ora lottiamo perchè non ci tornino, quindi siamo in vantaggio».

CREDITI

Autori

Giada Santana

Editing

Giulio Rubino

Mappe

Lorenzo Bodrero

Con il sostegno di

JournalismFund

Foto di copertina

Miguele Medina/Getty