22 Settembre 2023 | di Giada Santana
In un bar affollato, vicino alla stazione dei vaporetti di Venezia, quattro signori anziani dai capelli brizzolati siedono ad un tavolo. La “banda”, come fu poi soprannominato il gruppo formato da ex dirigenti di Stato, ingegneri e architetti, sta scrivendo una bozza di osservazioni riguardo alla futura legge sull’Autorità della Laguna di Venezia. È il caldo agosto del 2020, e i quattro hanno fretta. Il tempo, prima che il decreto sia convertito in legge, stringe e con questo la possibilità di influenzare il futuro della salvaguardia della città che vedono affondare sotto il peso di politiche ambientali fuorvianti.
Fra questi pensionati veneziani ci sono l’ingegnere idraulico ed ex Commissario dell’Autorità di bacino e dei fiumi Antonio Rusconi, l’ex Segretario regionale per l’Ambiente e territorio Roberto Casarin, il professore Stefano Boato e l’ex dirigente regionale Marco Zanetti. Facendosi spazio tra la confusione di caffè e croissant, Rusconi scrive e gli altri discutono animatamente. Da questa tabellina abbozzata al bar, i quattro riescono a far sì che sei punti vengano effettivamente discussi in Parlamento e poi integrati nella legge ufficiale, inclusi precisi riferimenti allo stato ecologico delle acque, e la creazione di uno specifica Autorità per la Laguna di Venezia.
A più di tre anni dalla sua promulgazione, la carica rimane ancora vuota. Nulla di concreto è ancora stato fatto, complice l’avvicendarsi di più governi. E Venezia continua a mancare di un piano a lungo termine per la protezione del proprio patrimonio ambientale, artistico e culturale.
Come l’acqua minaccia Venezia
Nella città, l’intensità e la frequenza dell’acqua alta sono in aumento, influenzate dal cambiamento climatico e dalla subsidenza, un fenomeno per cui la terra sprofonda rispetto al livello del mare. Come tutti i bacini idrici in giro per il mondo, la laguna posa su territori alluvionali che tendono a schiacciarsi, e quindi a ridursi di volume. Questo fattore naturale, però, ha un impatto significativamente minore rispetto a ciò che lo sviluppo industriale ha causato al territorio.
Nel suo sviluppo post Seconda guerra mondiale, la zona della limitrofa Marghera venne attraversata dal boom industriale. La rapida ascesa dell’industria, unita alla mancanza di acquedotti nella zona, spinse gli industriali a prelevare acqua degli acquiferi. In pochi anni, il sovrasfruttamento degli stessi provocò uno schiacciamento dei primi 300 metri del terreno, che li sovrastava. Ciò causò un abbassamento della città pari a 15 centimetri circa sul livello del mare. Venezia divenne così vulnerabile all’acqua alta come non lo era mai stata. Negli anni Sessanta, si verificò la più imponente acqua alta mai registrata, l’Acqua Granda, che irruppe distruggendo larga parte della città di Venezia e le isole del Lido e Pellestrina.
Antonio Rusconi aveva diciotto anni quando le luci di Venezia andarono in corto circuito. «Uscii per andare a vedere con lampada a petrolio e stivali, l’acqua mi arrivava all’ombelico», racconta.
Lo scandalo spinse il governo alla rapida promulgazione di una legge che limitasse gli emungimenti dagli acquiferi. Da allora, la subsidenza rimane sotto controllo, mentre nulla sembra bastare a contrastare l’innalzamento del mare. I due fenomeni non hanno più lo stesso peso. «Se andiamo a vedere gli ultimissimi trend registrati ai mareografi, sembra che effettivamente il medio mare stia aumentando ad una velocità più elevata», spiega Pietro Teatini, dell’Iniziativa internazionale Unesco sulla subsidenza.
Oltre il MOSE
Teatini ha da anni un’idea per prendere tempo di fronte all’avanzare del cambiamento climatico. I risultati della sua ricerca scientifica, approvati a livello internazionale, riconvertono principi propri dell’ingegneria dell’estrazione petrolifera a favore della Laguna. Così come esistono pompe per estrarre, solitamente il petrolio, in profondità, così se ne possono costruire per riempire gli acquiferi della città sotto i mille metri e dargli volume, secondo Teatini. “Sulla base dei numeri che abbiamo, riuscirei ad alzare la città in maniera abbastanza uniforme di 20, 25 centimetri, nell’arco dei dieci anni”, dice lo scienziato.
Un progetto pilota, teso a verificare se l’ipotesi è corretta o errata, costerebbe nell’ordine dei 10 milioni di euro, grazie al basso costo della tecnologia utilizzata, oltre che al riutilizzo di acqua salina per l’intervento sugli acquiferi. Teatini pensa al crowdfunding come unica soluzione per finanziare il progetto. La sua implementazione, infatti, non ha mai suscitato l’interesse delle autorità veneziane. “Quando lo presentammo all’epoca, ci fu detto che ci avrebbero pensato dopo aver concluso il MOSE”, spiega.
La diga del MOSE rimane ad oggi l’unica opera ingegneristica a salvaguardia della città. I lavori non sono ancora stati ultimati: la fine era stata prevista per il 2016, poi rimandata al 2020, e ora, a fine 2023. L’opera, incompiuta, è già anacronistica: avrà una durata stimata di circa un secolo. Per quell’anno, le più recenti stime della commissione ONU IPCC parlano di un aumento del livello del medio mare, in paragone al 2005, tra 45 e 84 cm. Teatini è pessimista. “Tra cent’anni, la Laguna cosa sarà?”, chiede, prima di concludere che “certamente non è il Mose che la farà rimanere così come è adesso.”
Anche Omar Tommasi, direttore del Dipartimento urbanistica del comune di Venezia, non è affatto convinto che la diga sia una soluzione al problema. La città potrebbe comunque subire inondazioni, in caso l’acqua del mare passasse attraverso le vicine isole del Lido o di Pellestrina, poste più lontano dal MOSE. Lì, le dune non sono state rinforzate e rimodellate come in altre isole della Laguna. “L’evento potrebbe essere catastrofico”, afferma il direttore. Lo scienziato del CNR Luca Zaggia si aggiunge al coro di coloro che vedono nella diga un espediente di breve durata rispetto ai numerosi ostacoli che la Laguna deve affrontare. Primo tra tutti: il turismo di massa.
Turismo di massa
Per Zaggia, il tentativo di far fronte al cambiamento climatico acquista senso solo di fronte ad un piano risolutivo per ridurre il flusso di oltre 30 milioni di turisti che visitano la città ogni anno. “Ha senso salvare Venezia solamente se riusciamo a renderla abitabile,” ribadisce. La stessa UNESCO ha suggerito, ora per la seconda volta, di aggiungere la città alla lista di patrimoni artistici in pericolo.
Nell’immaginario collettivo, i maggiori responsabili dell’afflusso di turisti sono le crociere. Ma queste, soprattutto da quando la legge italiana ne impedisce l’accesso diretto a Venezia, portano appena 400 mila crocieristi in città all’anno. Neanche l’uno percento del totale dei turisti. Alla radice del problema del turismo di massa, secondo Tommasi, si pone l’antiquato piano urbano che regola gli edifici del centro storico di Venezia, concepito negli anni novanta. Al tempo, “gli alberghi erano elementi qualificanti del tessuto urbano da salvaguardare e da mantenere,” spiega Tommasi, “proprio come la parte pubblica, scuole e ospedali”. Per quasi vent’anni, il business turistico a Venezia ha proliferato con pochissime restrizioni. La rettifica del suddetto piano, volta a fermarne il progresso, arriva tardi, nel 2018, quando ormai il paradigma si è ribaltato. “Adesso la città soffre il turismo”, conclude il direttore.
Il glossario: le autorità competenti a Venezia
Commissione salvaguardia: organo tecnico con il mandato di esprimere parere vincolante su tutti gli interventi edilizi sul territorio, inclusi progetti di trasformazione e di modifica del territorio per la realizzazione di opere sia private sia pubbliche.
Porto di Venezia (Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico settentrionale): ente pubblico con il compito di indirizzare, programmare, coordinare, promuovere e controllare le operazioni portuali nei porti di Venezia e Chioggia.
Commissario straordinario crociere: figura incaricata alla progettazione e all’esecuzione di interventi di realizzazione di attracchi temporanei, manutenzione dei canali esistenti e miglioramento dell’accessibilità nautica, previa valutazione di impatto ambientale.
Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Ex Magistrato alle acque: parte del ministero delle Infrastrutture e Trasporti, fra le cui competenze vi è la salvaguardia, la sicurezza e la protezione idraulica dell’area compresa tra le regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige.
Sempre più residenti lasciano l’isola per mancanza di servizi, come scuole e asili nido, e per il costante aumento dei prezzi nel mercato immobiliare. Quando Zanetti era ancora un bambino, al primo anno delle elementari, 50 mila ragazzini e ragazzine si preparavano ad entrare alla scuola dell’obbligo nel comune di Venezia. Ora, il totale degli abitanti dell’isola sfiora appena quella cifra. Secondo i dati, i residenti si sono ridotti ad un terzo dagli anni sessanta, quando la popolazione arrivava quasi a 150 mila. Intanto, l’acqua continua a salire, corrodendo lo smalto dei mattoni e trasformando i piani terra in cantine ammuffite.
La mancanza di una visione d’insieme
Negli ultimi otto anni, l’amministrazione locale ha tagliato risorse sostanziali volte ad azioni di sensibilizzazione, educazione ambientale e studi sul cambiamento climatico. Nel 2015 è stato chiuso l’Osservatorio della Laguna e del territorio, un importante servizio comunale che per un decennio ha raccolto dati scientifici e ambientali sulla Laguna di Venezia. Una sorte simile è toccata ai cicli di seminari e attività educative organizzati per divulgare alla popolazione importanti informazioni sull’ambiente lagunare e sui cambiamenti climatici a Venezia. All’interno dell’amministrazione veneziana, l’ufficio che si occupa di clima e qualità dell’aria è stato smantellato ad agosto 2022 e solo a febbraio ne è stato istituito uno nuovo. Ad oggi, il nuovo ufficio conta una sola dipendente, impiegata per valutare i rischi ambientali e climatici che i veneziani dovranno affrontare in futuro ed elaborare raccomandazioni.
La città è stata anche recentemente esclusa dalla rete C40, un consorzio internazionale a cui i sindaci possono partecipare a patto che si impegnino contro il cambiamento climatico. L’assessore all’Ambiente De Martin ha commentato che la rete non aveva alcun motivo per estromettere la città, mentre la dirigente della sezione Europa del C40 Julia Lopez commenta che Venezia non è riuscita neppure a soddisfare i requisiti minimi per rimanere all’interno del C40. Nel frattempo, l’amministrazione non ha ancora approvato il piano di Azione per l’energia sostenibile ed il clima (PAESC). Il documento include una lunga serie di proposte per la salvaguardia della Laguna: dall’innalzamento delle rive contro l’acqua alta alla creazione di un centro internazionale sugli studi climatici. “Stiamo aspettando di approvare questo documento da ormai due anni,” dice una fonte all’interno dell’amministrazione comunale.
Aspirazioni dolciamare
Molti veneziani rimangono all’oscuro dalle complicate dinamiche che giocano un ruolo cruciale nella sopravvivenza della città. Antonio Rusconi e Marco Zanetti, invece, vi hanno dedicato decenni di vita. Ricorso dopo ricorso, Zanetti ha fatto della coscienza cittadina un rituale che traduce in parole ogni domenica, nella newsletter La Domenicale per gli abbonati della sua associazione. Su carta come di persona, si mostra determinato nelle parole, seppure nostalgico. Sorride pensando “ai tempi della banda”. Da allora, il compagno di attivismo Roberto Casarin è scomparso e gli anni che passano pesano ormai sulle sue ambizioni per la città.
Lo stesso vale per l’amico di lunga data Rusconi. Mentre discute dei piani per la Laguna, l’uomo consulta plichi e plichi di documenti. Nel parlare, guarda il mare, e i suoi occhi celesti riflettono il verde dell’Adriatico. Sembra scomparire, diventando un tutt’uno con la Laguna che ha a lungo cercato di proteggere. D’altronde, non ha nipoti, e nessuno della famiglia, oltre alla moglie, vive più in Laguna. “Anche se mia figlia ne scrive, non credo alle poesie”, dice con tono amaro, “non quando si tratta della salvaguardia di Venezia”.
Foto: Piazza San Marco a novembre 2019 quando il livello massimo dell’acqua ha raggiunto i 155 cm – Roberto Silvino/Getty
Editing: Giulio Rubino
Mappe: Lorenzo Bodrero
Con il sostegno di: JournalismFund