#FraudFactory

Il marketing delle frodi, tra false recensioni e il mercato dei lead
Migliaia di siti riempiono il web di contenuti che all’apparenza sembrano recensioni. Sono pubblicità mascherate di prodotti che non esistono. Ecco come si reclutano nuovi utenti dei finti software per il trading
04 Dicembre 2020

Lorenzo Bagnoli
Lorenzo Bodrero

«Èproprio una truffa?». La domanda, sparata a caratteri cubitali nel titolo, è preceduta dal nome di un “software automatico” per investimenti in bitcoin, “bitcoin revolution” e simili. Segue una recensione che si atteggia a smaschera-bufale, costruita seguendo in modo pedissequo le regole di posizionamento nei motori di ricerca. È uno dei contenuti che ha reso i vari robot per l’investimento online virali. In mezzo all’“articolo” sono disseminati link che portano alla piattaforma oggetto della recensione.

Sempre uguali a se stessi, negli stilemi e nella veste grafica, sono migliaia i siti così. Sono costruiti in modo da accomodare i lettori in un ambiente che appare autorevole e familiare: hanno spesso una gabbia che riassume i contenuti del pezzo che ricorda, vagamente, l’impaginato di Wikipedia. Alle recensioni finte, si accostano a volte approfondimenti “veri”, mentre altre volte il sito produce solo recensioni-spazzatura.

Uno, nessuno e centomila Finixio

Il soggetto di «è proprio una truffa?» in questo caso è “bitcoin revolution”. La recensione che riguarda il “bot” è lunga per gli standard della lettura online. Le parti importanti, però, sono ben evidenziate: «Quello che possiamo dire è che sono riusciti a farlo, Bitcoin Revolution è molto popolare perché è prima di tutto facile da usare, permette di fare soldi online senza molto sforzo», si legge in un box giallo, a cui è difficile non prestare attenzione. Altre volte, per esempio in una recensione su “bitcoin fortune” si legge un inequivocabile «Secondo la nostra indagine, Bitcoin Fortune è affidabile».

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Il sito che ospita entrambi gli “articoli” si chiama cripto-valuta.net, indirizzo popolare nel mare magnum dei risultati di Google di chi cerca una guida agli investimenti in bitcoin.

Bisogna scrollare la homepage del sito fino in fondo per trovare la parola “pubblicità”, salvo poi leggere nel “chi siamo” che il sito si è un «portale d’informazione». In inglese c’è qualche dettaglio in più: «I nostri non sono consigli finanziari ma notizie e spiegazioni circa le oscillazioni di mercato, vendere e comprare». La natura del sito, quindi, non è comunicata in modo chiaro ai lettori, c’è sempre ambiguità tra notizie e pubblicità.

Nel footer, così si chiama il blocco in basso che contiene le informazioni sulla società che gestisce un sito, c’è l’indirizzo inglese della proprietaria: Finixio Limited.

La sede dell’azienda è a Londra in una palazzina rosa smunto che si specchia nel Tamigi. Sull’ingresso degli uffici si allungano le ombre dei grattacieli della City, tanto è vicino il cuore finanziario del Regno Unito. Specializzata in «finanza, criptovalute e tecnologia», Finixio si definisce «media company», casa di produzione di contenuti multimediali. Dichiara già incassi annuali per 15 milioni di sterline (circa 16,6 milioni di euro).

Il suo oggetto sociale permette di capire di più dei siti collegati alla società: Finixio propone soluzioni per «condurre traffico targettizzato e clienti al tuo brand» attraverso oltre 15 siti dedicati, tra cui cripto-valuta.net. Il nome della casa di produzione fa capolino in decine di realtà diverse: la Forex School Online, corso multimediale per aspiranti broker finanziari; siti di giochi e scommesse online come GoldenCasinoNews; il sito di rating dei servizi di delivery Family Food And Travel, dove si assegnano da uno a cinque stelle per i migliori servizi di consegna pasti a domicilio e si testano gli effetti di pillole per perdere peso.

Finixio è uno dei mille ingranaggi della gig economy di cui abbiamo già parlato in #InvisibleWorkers: la catena produttiva dell’azienda è costituita per lo più da recensori seriali, che vivono di “lavoretti” su commissione. Alcune delle realtà che promuove appartengono anch’esse a parte dello stesso mondo economico. Per tutti la prima chiave del successo è una buona reputazione online.

Dopo che un utente, passando attraverso una recensione dei siti di Finixio, si registra con un broker, qualcuno lo chiamerà per finalizzare il contratto e lasciare, di conseguenza, i dati della sua carta di credito per cominciare a investire

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Come si casca nella Fabbrica delle Frodi

Le pubblicità fanno leva sull’emozione e le vittime sono il più delle volte già state bersaglio di altre truffe: ecco perché questo sistema è tanto difficile da interrompere

Lo scopo degli articoli, quindi, è puramente pubblicitario, dato che il fine di Finixio è far aumentare il traffico a chi si rivolge a loro. Finixio e le altre fatturano sui nuovi clienti che procurano agli inserzionisti, tra cui una parte importante la giocano le piattaforme di trading. In pratica, dopo che un utente, passando attraverso una recensione dei siti di Finixio, si registra con un broker, per restare nel campo di cui si occupa l’inchiesta, qualcuno lo chiamerà per finalizzare il contratto e lasciare, di conseguenza, i dati della sua carta di credito per cominciare a investire. Chi chiama può essere direttamente la società di trading oppure degli altri intermediari come il Milton Group, la società multiservizi da cui è scaturita questa inchiesta, che gestiva i siti che promuovevano i “bot del trading” e i call center, ma non l’ambiente online dove gli utenti investivano.

Wealthadvisor, ovvero come spacciare pubblicità per marchi di bitcoin

Tra i siti di Finixio che comparano servizi c’è anche wealthadvisor.me, sito che offre consulenze su diversi settori, dai metodi di pagamento alle proprietà, passando ovviamente per gli investimenti online. Digitando solo il nome del sito si finisce su una pagina che mostra i “top brand” tra le piattaforme di investimento online. I primi tre per Wealthadvisor sono ForexTB, Ubroker e 24Option, marchi che abbiamo incontrato lungo questa serie di inchieste. Le recensioni di ristoranti, di hotel, di un professionista, di un sistema di trading o di qualunque altro prodotto, dopo l’avvento di servizi come Tripadvisor sono popolarissimi.

Wealthadvisor, secondo quanto abbiamo potuto ricostruire, ha speso, da marzo, sette milioni di dollari in AdSense, il servizio di sponsorizzazioni di Google. Tra le piattaforme di trading recensite, ci sono anche bot dei bitcoin, come “bitcoin code”, “bitcoin evolution”, “bitcoin future”. Queste parole chiave sono tra le più sponsorizzate dal sito. Eppure le stesse piattaforme di trading hanno spiegato ai giornalisti che quei nomi sono solo pubblicità, non aziende né piattaforme a sé stanti.

Ai giornalisti che si sono registrati su altri “programmi” recensiti sui siti del gruppo, come ad esempio Bitcoin Up, chiave di ricerca molto popolare in Gran Bretagna, arrivano in automatico (cioè senza che nessun reporter sia consapevole di aver approvato la cessione dei suoi dati a enti terzi) email da caselle di posta di WealthAdvisor. Le nuove normative sulle privacy e l’introduzione della Gdpr hanno imposto un giro di vite alla cessione dei dati a terze parti, eppure la pratica è ancora molto diffusa.

Il Gdpr, cos'è?

Il General data protection regulation è un regolamento europeo volto a disciplinare il trattamento e la circolazione dei dati personali di cittadini e organizzazioni. In vigore dal 25 maggio 2018 in tutta l’Unione europea, ha lo scopo da un lato di accrescere la fiducia nei cittadini sull’utilizzo delle nuove tecnologie e dall’altro di spingere le società a trattare i dati personali con la stessa cura di altri processi aziendali. All’interno del termine “dati” rientrano non solo informazioni anagrafiche e di contatto ma anche informazioni sanitarie, numeri di carte di credito, coordinate geografiche, informazioni storiche sulla nostra vita online, l’orientamento sessuale, le appartenenze politiche o religiose e molto altro.

Un piccolo esempio di spamming in Italia

Sergio Brizzo, classe 1989, è stato più volte riconosciuto tra i guru del marketing nostrano, capace di moltiplicare i possibili clienti di un’azienda grazie alla Rete. A Torino è tra i fondatori di un piccolo impero di diverse società. Tra queste c’è una microsocietà, Yonkana srl, di cui online si trovano siti quali ilmagodelweb.eu, special-email.net, chenotizie.com, e così via, a decine. Sono tutti siti monopagina, solo con un form nel quale immettere i propri dati per ricevere “promozioni”, “extra sconti”, suggerimenti per avere “entrate extra”, qualunque cosa voglia dire. Di fatto, si incentiva un utente un po’ credulone a lasciare i propri dati.

Le note su privacy e norme antispam previsti dalla legge sono ben in vista, ma è difficile che un utente medio vi presti grande attenzione. Il comportamento dell’utente, quindi, sul piano formale non è un problema di Brizzo, il quale precisa a La Stampa che le norme sono rispettate: «I dati che abbiamo sono tutti recuperati da utenti che hanno dato il loro assenso, tutto è gestito con la massima trasparenza. Peraltro noi siamo un’azienda italiana, con sede a Torino, che svolge tutte le sue attività nel nostro Paese e con la massima pulizia possibile». Quei dati, profilati, compongono il pubblico conosciuto da Yonkana verso il quale indirizzare le campagne di marketing. «Noi siamo intermediari, il più delle volte ci sono altri soggetti che ci comprano il traffico su un certo tipo di utenti – aggiunge -. I contatti sono nostri oppure arrivano da altre società che danno in gestione degli indirizzi mail».

Per quanto Yonkana dica di non intasare di spam le email dei propri iscritti, Paolo Attivissimo, giornalista esperto di informatica, già nel 2018 riceveva da loro email non richieste. Allora il quadro normativo era differente e meno stringente sul piano della privacy, quindi ancora una volta formalmente non scorretta, ma la pratica non è certo virtuosa. Yonkana, nel suo come in altri casi, appariva come proprietaria dei dati. Significa che per conto di un inserzionista Yonkana spediva le mail a scopo pubblicitario. Destinatario della mail era Deborah Unker, pseudonimo che Attivissimo aveva usato in precedenza per smascherare un altro spamming. Lo scopo del messaggio era proporgli «il sistema di investimento dei BITCOIN che sto usando per arrivare a fine mese più tranquillo». Yonkana, in questo caso, dà solo voce a un messaggio ingannevole, nemmeno fraudolento: in termini di gravità, è una situazione molto meno grave delle campagne con i volti dei vip. Tuttavia contribuisce all’inquinamento della Rete con messaggi-spazzatura, fatti circolare solo perché l’inserzionista paga.

Ci sarebbe un modo per prevenire questa situazione: servirebbe un maggiore filtro sugli inserzionisti da parte di chi diffonde le pubblicità, grandi piattaforme come Google e Facebook comprese.

Da lead ad acquirenti

Quando il marketing fa bene il suo mestiere raccoglie nuovi acquirenti. Un potenziale acquirente si chiama lead. Nel marketing, quindi, i lead sono la materia prima, l’acquirente finale il “prodotto”. Un potenziale acquirente è definito da “verticali”, settori d’interesse, e da “geo”, Paesi di provenienza. I settori di interesse “bitcoin”, “trading” e “forex” in questo momento storico sono particolarmente ricercati. Le società di marketing per ampliare la loro potenza di fuoco possono stringere collaborazioni con produttori di contenuti – stile Finixio – per promuovere dei prodotti. Offrono quelli che nel marketing online si chiamano “programmi di affiliazione”: un affiliato ha un contratto per promuovere certi contenuti e a ogni utente guadagnato, incassa.

In una precedente puntata della nostra inchiesta abbiamo parlato di 247Traffic, società del gruppo 24Option che fa affiliate marketing per i marchi di trading del gruppo ForexTB, Ubroker e Investous. I programmi di affiliazione sono un consolidato strumento di marketing, a volte un po’ occulto – si presentano come articoli invece sono pubblicità – ma non per questo illegale. Qualunque azienda online ha programmi di affiliazione, compresi i giganti come Amazon o eBay.

Le Monde, partner di questa inchiesta, è entrato in possesso di un contratto tra un committente bulgaro e Trafficasa, agenzia che offre programmi di affiliazione «per più di 70 marchi» nel settore finanziario. Sulle sue pagine Facebook si trovano anche banner che pubblicizzano “bitcoin revolution”. In questo contratto, Trafficasa s’impegna a trovare nuovi lead, ovvero potenziali clienti (fino a un massimo di tremila), per 1,5 dollari ciascuno. Nel contratto è specificato che il committente ha dieci minuti di tempo dal momento in cui l’utente si registra su un sito di Trafficasa, diventando un lead, per chiamarlo.

L’accordo tra le parti non specifica la commissione per un “qualified lead”, ossia un potenziale acquirente che è diventato acquirente, quindi che ha registrato la sua carta di credito e versato denaro per cominciare a fare i presunti investimenti automatici. Nel settore del trading di bitcoin, la commissione arriva anche a 600 dollari. Semplificando all’osso, un utente cede i propri dati ogni volta che li inserisce in un form online oppure ogni volta che accetta i cookie di un sito, file che memorizzano la sua visita, tenendo quindi traccia del suo comportamento online. Nel caso dei portali di “bitcoin code” e parenti, un utente diventa lead quando si registra e diventa acquirente, ovvero caricando dei soldi sul conto della piattaforma di trading.

Nel gran bazar dei dati esiste però anche un sottobosco di rivenditori dei database raccolti di cui non è nemmeno chiara quale sia la provenienza. Li si trova nascosti tra acquirenti e venditori del tutto legittimi, su bacheche online che mettono in contatto domanda e offerta. È qui che abbiamo trovato Leo, un venditore di lead con settori di interesse quali “forex” e “trading”. Il prezzo a lead (potenziale acquirente) che offre è di 2,5 euro per il primo e due euro per il secondo. Quando gli chiediamo se è possibile avere qualche lead di esempio gratuitamente, risponde negativamente: «Troppi truffatori che chiedono database gratis su questa pagina», commenta.

«Ogni endorsement di una celebrità sarebbe un errore inconsapevole del management. Direi che a fare soldi sono le piattaforme pubblicitarie come Facebook e Google Ads, che sono anche le fonti principali delle truffe dei bitcoin»
Adam Grunwerg, fondatore di Finixio

Adam Grunwerg è l’imprenditore che ha fondato Finixio nel 2018. Fino al 2013 gestiva sull’edizione inglese dello Huffington Post un blog in cui parlava di marketing e comunicazione digitale. Ammette che la sua azienda gestisce diverse «pagine d’atterraggio per bitcoin» che conducono a piattaforme di trading online usando parole chiave come “bitcoin revolution” e gli altri bot ma aggiunge che l’azienda non ha alcuna relazione con chi promuove schemi d’investimento fraudolenti.

Inoltre, si difende ricordando che le piattaforme a cui puntano i suoi link «sono tutte autorizzate» e «alcune sponsorizzano club di calcio, come il Manchester City o la Juventus». La società bianconera, però, come abbiamo riportato in una delle precedenti puntate dell’inchiesta non ha più sponsor nel settore trading dal 2019. L’ultimo è stato 24Option che la Consob ha segnalato lo scorso dicembre.

Grunwerg aggiunge che a Finixio «chiariamo molto bene che le celebrità non sostengono questi prodotti». E aggiunge: «Ogni endorsement di una celebrità sarebbe un errore inconsapevole del management». Su cripto-valute.net in una pagina in inglese alla domanda «Bitcoin Fortune è raccomandato dalle celebrità?» si legge come risposta: «Si è parlato di questa popolare piattaforma a più livelli. Scopriamo cosa dicono le celebrità che l’hanno provato». E sotto compaiono i nomi di Fabio Fazio, Flavio Briatore e Lorenzo Jovanotti. A volte, invece, gli articoli fanno riferimento a «voci». Nella recensione di “bitcoin fortune” il testimonial è l’ex calciatore Ivan Zamorano: «Al momento non ci sono notizie che ci facciano capire se le voci che collegano Ivan Zamorano e Bitcoin Revolution e altri siano, appunto, solo voci [o altro]». Seguono raccomandazioni al buon senso e il rimando alla recensione di “bitcoin revolution”. Mai una parola chiara sul fatto che siano truffe. Più che informare, il messaggio confonde.

Grunwerg però ha ragione – e fornisce anche le prove – a dire che non è l’unico che si comporta in questo modo. L’imprenditore scrive: «Direi che a fare soldi siano piattaforme pubblicitarie come Facebook e Google Ads, che sono anche le fonti principali delle truffe dei bitcoin». Le big tech, come riportato nello scorso episodio di questa inchiesta, dicono di essere corse già ai ripari. Google, per esempio, ha risposto di aver cancellato pubblicità «sensazionaliste» dai suoi canali per un valore di 50 milioni di dollari a causa del mancato rispetto delle loro politiche sulle inserzioni. Al netto di tutto, però, la rete trabocca ancora di falsi contenuti.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Lorenzo Bodrero

Ha collaborato

Gianluca Paolucci

Editing

Luca Rinaldi

In partnership con

Dagens Nyheter
OCCRP
Helsingin Sanomat
Le Monde
Direkt36
The Guardian
Buzzfeed News
La Stampa

Foto

La sede di Finixio a Londra