Le Mani su Siena
Il potere senese per quanto locale ha sempre avuto riflessi anche in chiave nazionale. Il dissesto del Monte dei Paschi nel 2013 e le sue conseguenze ne sono uno specchio fedele: chi sono e chi vorrebbero essere i nuovi padroni di Siena

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LÈ dal 1125 che Siena è una repubblica. Da allora, ha sempre avuto una sua alterità dall’odiata Firenze e dal resto d’Italia, che fosse per le guarentigie di qualche imperatore venuto da lontano oppure, in tempi più recenti, per la potenza economica della banca locale. Dal 1339 l’Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo – ciclo di affreschi del maestro senese Ambrogio Lorenzetti che si trova nella Sala del Consiglio dei Nove al Palazzo Pubblico, sede del Municipio – predice i possibili governi della città.

Maneggiare il potere, a Siena, è stato spesso affare degli appartenenti all’Arte della Mercanzia, la corporazione che rappresentava il ceto produttivo.

Ci sono stati i Bonsignori, i “Rothschild del Duecento”, come li ha soprannominati qualche storico; i Piccolomini, nobili del Sacro Romano Impero che, al contempo, hanno infarcito le schiere degli alti prelati della Chiesa; i Tolomei, di cui la dolce ereditiera Pia – forse nominata da Dante nella Commedia – ha avuto in sorte di morire per mano del marito, il podestà di Volterra, che l’ha scaraventata dal balcone di un suo castello in Maremma per punirla di un presunto atto d’infedeltà oppure per liberarsi di una sposa non voluta.

Intrighi, soldi, misteri: la storia di allora si rispecchia nelle più recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena, la banca crocevia dei destini della città, che naviga a vista dal dissesto del 2013. Senza i suoi denari, la città è diventata oggetto di scorribande di investitori rapaci, che hanno cercato – senza fortuna – di aggiudicarsi le sue ricchezze.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Sara Lucaroni

Editing

Luca Rinaldi

Infografiche

Lorenzo Bodrero