#NdranghetaInSardegna

I narco Mori
Per oltre vent’anni la criminalità sarda e la ‘ndrangheta hanno stretto solidi rapporti di affari, con l’obiettivo di trasformare l’isola in una centrale del commercio di droga nel Mediterraneo
07 Settembre 2022

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

Giugno 1999. In una sera calma e senza vento, al porto di Civitavecchia, tre uomini si imbarcano su una motonave della Tirrenia diretta verso Olbia. Mario Serra e due suoi compagni entrano in cabina portando una modesta quantità di cocaina. «Il tempo è brutto, qui sta piovendo molto», anticipa Mario preoccupato, mentre preparano una striscia da consumare sul momento. Il tempo in realtà, quella sera sul Tirreno, è ottimale per la navigazione e per le riunioni di lavoro. A rompere il ghiaccio è uno dei due, preoccupato di aver avuto meno dei 200 grammi pattuiti: «Almeno 20 – precisa – me l’ha detto Ciccio e non me l’ha fatta nemmeno pesare. Mi ha detto: “non ti fidi di me?” Così mi ha detto e così ti dico».

Il riferimento è a Francesco Parisi, alias “U Dottori”. All’epoca venticinquenne, è uno dei figli del più noto Antonio Parisi, ritenuto a capo della ‘ndrina di Natile, paesino di mille anime arroccato nella Locride tra Platì e San Luca. Da qui vengono alcuni dei più abili broker del narcotraffico internazionale.

Mario Serra – Nato a Villacidro nel 1971, è uno dei principali animatori di un’organizzazione criminale che nasce per portare la droga dei calabresi fino alla Sardegna. Il suo rapporto con le cosche della Locride nasce a Bologna negli anni ‘90, quando è uno studente fuorisede nella facoltà di agraria. Secondo gli inquirenti ha un rapporto di comparatico con Giuseppe Parisi.

Tuttavia nel ‘99 Francesco la Locride l’ha lasciata già da tempo per stabilirsi a Bologna. La città è un importante centro universitario internazionale: in quegli anni ospita i lavori per l’uniformazione dei sistemi universitari dell’Unione europea, Pagliuca gioca ancora come portiere del Bologna football club 1909 e gli Skiantos hanno appena pubblicato il loro decimo disco, Doppia dose. Tra i tanti giovani che affollano la città delle torri c’è anche Mario Serra, ventottenne e studente universitario di Villacidro, paese di 13 mila abitanti a cinquanta minuti di automobile da Cagliari e importante centro per l’agricoltura e l’allevamento. È probabilmente questa la ragione per la quale è iscritto alla facoltà di agraria.

Ma qui Mario scopre un’altra vocazione, legata a lavori meno umili e senz’altro più redditizi. Come in tutta Italia, anche in Sardegna cocaina ed eroina sono molto richieste, nonostante l’altissima incidenza di morti per overdose. Solamente nel 1999 sull’isola ne viene sequestrato l’8% di quanto fermato in tutto il Sud Italia, ma a fronte di una popolazione di appena 1,6 milioni di abitanti, la metà di quelli di Napoli.

La lucrosa opportunità non sfugge a Mario, che a Bologna fa la conoscenza di Francesco Parisi e con lui fonda le basi per una solida alleanza tra Sardegna e Calabria, dando origine a una sinergia ventennale tra l’isola e alcune tra le maggiori ‘ndrine. Ma quando il trio si imbarca per tornare in Sardegna, con quei 200 grammi scarsi di cocaina in tasca, brucia ancora l’aver dovuto annullare una più sostanziosa spedizione di droga che sarebbe dovuta arrivare in Sardegna nei giorni seguenti. Mario aveva notato qualcosa di sospetto durante il viaggio e non si era sentito tranquillo: «Il tempo è brutto e non si può mettere la testa fuori di casa».

I Parisi

Francesco, Giuseppe e Pietro sono figli di Antonio Parisi, che stando alle dichiarazioni del pentito di Platì, Rocco Varacalli, sarebbe a capo dell’omonima ‘ndrina di Natile e sarebbe anche parte della società Maggiore di Natile di Careri con la dote di Santa, una delle cariche più alte della ‘ndrangheta.

Grazie anche alla parentela con la potente ‘ndrina Ietto di Natile i Parisi dal 2001 cresceranno di importanza arrivando a importare, tramite il Belgio, molta cocaina. Grazie ad accordi diretti con i guerriglieri colombiani delle Farc, la cocaina entra a tonnellate a Gioia Tauro, oppure via Spagna e Nord Europa.

I Parisi sono nati nel posto che conta all’epoca. E come tanti giovani che aspiravano a una vita migliore, i tre iniziano a muoversi fuori da Natile, verso il nord, costruendo una solida base a Bologna. Città universitaria per eccellenza, è anche il bacino giusto da dove spingere le droghe.

Giuseppe resta in Calabria, e manda i carichi. Francesco fa base a Bologna, Pietro invece dopo la detenzione per l’indagine San Gavino, decide di restare in Sardegna. È qui che costruirà una serie di contatti, anche oltre i Serra, diventando il punto di riferimento per varie famiglie calabresi che, trasferite in Sardegna per stare vicino a familiari detenuti lì, hanno bisogno di contatti sul campo per i propri traffici.

I Parisi hanno una lunga scia di precedenti per traffico di droga. Nel 2001 Pietro Parisi è latitante, ricercato dal Tribunale di Cagliari per l’indagine San Gavino. Viene arrestato a marzo, in Sicilia, assieme ad un trafficante di Bagheria, con ottimi contatti in Francia e Olanda. Ad aprile 2008, da poco scarcerato per San Gavino, viene arrestato in Locride con i fratelli per detenzione e spaccio di sostanza stupefacente. Pietro spicca sugli altri due: è sorvegliato speciale con obbligo di dimora. Nel 2013 viene arrestato nuovamente per traffico di droga a Palermo, e liberato torna a trafficare. Ad aprile 2021 viene arrestato di nuovo in Sardegna, dove collaborava con le cosche di San Luca. A maggio di quest’anno poi viene colpito nuovamente da ordinanza di custodia cautelare in carcere per avere rifornito di droga il mandamento di Brancaccio, a Palermo.

Una vedura aerea di Villacidro - Foto: Elisa Locci/Getty

Una veduta aerea di Villacidro. – Foto: Elisa Locci/Getty

Compari

L’alleanza con Parisi, però, regge. Lo mette nero su bianco, per la prima volta nel 2000, l’operazione San Gavino, condotta dai carabinieri del Ros di Cagliari e da quelli di Villacidro. L’indagine ha origine proprio nel paese del sud Sardegna, snodo del mercato ortofrutticolo per la zona. Da qui le merci partono e qui arrivano. Eppure la cittadina mantiene la sua natura liminale, relegata a un arcipelago di paesi immersi nella campagna tra Sanluri, San Gavino (da cui prende il nome l’operazione dei carabinieri) e Pabillonis.

Pietro Parisi – Originario di Natile, paesino dell’Aspromonte stretto tra Platì e San Luca e figlio di un boss, assieme ai fratelli Giuseppe e Francesco, già dagli anni ‘90 aveva avviato una fiorente attività di narcotraffico per cui è stato arrestato varie volte in 20 anni. Ormai basato in Sardegna, collabora con i Serra ma anche con altri suoi conterranei sull’isola, oltre che rifornire la mafia palermitana.

Ma se la campagna può nasconderti alla polizia, non può fare altrettanto agli occhi dei compaesani. Le voci corrono e all’inizio del 1999 si chiacchiera della nuova ricchezza di Mario Serra – studente fuorisede – e dei suoi amici. Viaggi costosi, auto di lusso e serate nei night club non passano inosservate nemmeno ai carabinieri, che di lì a poco iniziano a monitorare spostamenti e conversazioni del gruppo di sardi.

Nel frattempo, per un’operazione annullata decine di altre vanno a segno, seguendo sempre lo stesso schema: prima gli incontri a Bologna, poi le verifiche sulla merce e il trasporto tramite corrieri fidati che, tra Civitavecchia e Piombino, imbarcano camion carichi di stupefacente alla volta della Sardegna. Il traffico è reso più facile dalla collaborazione di Giuseppe Parisi, fratello di Francesco, ben disposto a portare la droga persino in macchina direttamente dalla Calabria, pur di soddisfare le richieste degli amici villacidresi.

Nella cabina del traghetto il trio parla di quanto ha versato per avere «la bianca» e «la niedda» (nera in sardo, ndr): almeno 265 milioni di lire tra il saldo di una vecchia fornitura, l’anticipo per un carico che verrà e i 200 grammi dai quali mancano «almeno 20 grammi». Ma si tratta di poca roba rispetto alle merci che il gruppo sarebbe in grado di movimentare: dalle intercettazioni i carabinieri arrivano a stimare ripetuti carichi del valore di centinaia di milioni. D’altronde, sia Mario Serra sia i suoi accoliti non sono più dei novizi secondo gli inquirenti e la triangolazione del narcotraffico Natile-Bologna-Campidano sarebbe attivo già almeno dal 1997.

La zona di Villacidro è in realtà, fin dagli anni ‘70, la porta sull’isola per i carichi di eroina provenienti dalla Turchia. Ma erano solamente narcos “indipendenti”, che si rifornivano dalla ‘ndrangheta a Milano. Fino ai primi anni 2000 nessuno era riuscito a creare una piattaforma stabile per il traffico, con tanto di incarichi e relazioni internazionali. Ce l’ha fatta Serra, che negli anni è diventato di casa in Locride, dove i rapporti si stringono sia con gli affari sia con legami familiari – il cosiddetto comparatico, cioè il “diventare compari” (in quanto testimone di nozze o padrino di battesimo) – che suggellano le alleanze più durature nel tempo. È questo il caso con Giuseppe Parisi, legato a Mario Serra per comparatico, secondo informazioni raccolte dai carabinieri. Ma tale confidenza crea anche un presupposto eccezionalmente propizio per Andrea Serra, di due anni più giovane del fratello Mario, al quale presto si affiancherà al vertice dell’organizzazione criminale.

Andrea Serra – È il fratello minore di Mario e uno dei suoi alleati più fidati. Il ruolo di Andrea spicca dopo un primo tentativo delle forze dell’ordine di cogliere in flagranza la banda sardo-calabrese, quando le sue doti di leadership diventano fondamentali per mandare avanti gli “affari di famiglia”. Da allora si muove tra la Sardegna e il Marocco. È legato in particolare a Vincenzo Vitale, padrino di battesimo del figlio.

Il giovane villacidrese, grazie all’amicizia con Parisi, negli anni impara a valutare la qualità dei vari stupefacenti, dimostrando di saper organizzare la logistica dei carichi e della distribuzione sul terreno. È sempre Andrea a tenere le fila dell’organizzazione dopo il luglio del 1999, quando un’incursione dei carabinieri rischia di cogliere con le mani nel sacco Mario Serra e Giuseppe Parisi, durante un incontro nelle campagne di Pabillonis. Da questo momento Andrea Serra diventa il principale interlocutore dei calabresi, addirittura costretti a passare da lui per comunicare con il fratello Mario.

Il paese d’ombre

Oggi, dal carcere di Uta, a mezz’ora da Cagliari, Andrea Serra probabilmente ripensa a tutta la strada che ha fatto, ai successi, alla famiglia lontana. Per uno che si è fatto da solo, nato e cresciuto nel remoto sud-ovest della Sardegna, essere considerato un membro del gotha del narcotraffico internazionale non è scontato.

Eppure lui, stando alle recenti accuse della Direzione distrettuale Aantimafia di Firenze, ci è riuscito. Ha lavorato spalla a spalla con alcune delle famiglie più pericolose della ‘ndrangheta, intessendo rapporti diretti con personaggi del calibro di Francesco “Ciccio” Riitano. Un percorso, quello di Andrea, che è partito da lontano per dipanarsi poi tra Sardegna, Emilia-Romagna, Toscana, Calabria, Marocco, i grandi porti del nord Europa e l’America Latina.

A seguito dell’operazione San Gavino, il 3 luglio 2003, Andrea e Mario Serra vengono condannati in via definitiva per narcotraffico dalla Corte di Appello di Cagliari. Ma dal carcere i due fratelli continuano a tessere rapporti per il traffico di cocaina, e almeno dal 2008 è stato documentato un accordo tra Andrea e la cosca di ‘ndrangheta Gallace di Guardavalle, importante attore sulla scacchiera del narcotraffico internazionale.

A certificare l’asse Guardavalle-Villacidro è l’operazione La notte dei tempi, che dimostra gli stretti rapporti familiari e professionali tra i Serra e Vincenzo Vitale, ‘ndranghetista di alto livello e nipote di Domenico Vitale, che ha scontato ventidue anni di carcere per omicidio plurimo nella faida nota come “Strage di Guardavalle”.

Una veduta dell’Aspromonte.

Foto: Michele Amoruso

Una veduta dell'Aspromonte - Foto: Michele Amoruso
Una veduta dell’Aspromonte – Foto: Michele Amoruso

Guardavalle è un paesino arroccato nel Parco delle Serre, in provincia di Catanzaro. Con un comune sciolto più volte per mafia, è la roccaforte della cosca di ‘ndrangheta Gallace-Novella, per cui il narco Ciccio Riitano trafficava tonnellate di cocaina da Arluno, in provincia di Milano. È proprio da Arluno che, nel 2008, sono partiti 12 chili di cocaina diretti ai Serra in Sardegna, come ha documentato la Squadra Mobile di Cagliari nell’indagine La Notte dei Tempi. Il processo di primo grado è alle prime battute.

Vincenzo Vitale – Originario di Guardavalle, Calabria, è affiliato alla cosca Gallace della ‘ndrangheta. Nipote di Domenico Vitale, è stato catturato nel 2016 per mafia e lavora come narcotrafficante per la cosca. È padrino di battesimo del figlio di Andrea Serra.

Alla famiglia calabrese i Serra vengono introdotti per effetto di un accordo tra le cosche di Guardavalle e quelle della Locride, da cui provengono i Parisi. Ma il legame di Andrea Serra con i Vitale diventerà ancora più stretto, come dimostra il fatto che, nel 2011, è lo stesso Vincenzo a diventare padrino di battesimo del figlio di Andrea Serra.

Mario e Andrea Serra pensano in grande: il primo vive a Rotterdam, da dove secondo gli inquirenti mantiene importanti relazioni con i narcotrafficanti che orbitano intorno al principale porto d’Europa. Il secondo si divide tra il Campidano e il Marocco, Paese d’origine della moglie nel quale, come hanno scoperto IrpiMedia e Indip, ha condotto nel tempo diverse aziende.

I Quattro Mori, costituita nel 2011, e Dimensione Casa, del 2016, sono due società immobiliari liquidate poi nel 2018. La terza invece si occupa di ristorazione e almeno fino a pochi mesi fa gestiva “Dall’Italiano”, uno dei principali ristoranti del lussuoso lungomare di Tangeri. Lo stesso Mario Serra lo consigliava su Facebook: «Un locale diverso dal solito. Italiano al 100%, a partire dagli chef dei vari reparti sino all’utilizzo di prodotti importati di altissima qualità. […] Consiglio? Da provare…..».

Ma a interessare davvero Serra sembrano essere più che altro le relazioni strategiche che può gestire dal più occidentale dei Paesi islamici. Da qui mantiene infatti importanti contatti diretti con fornitori a Santo Domingo e nel Suriname, dove le merci più scottanti sono manovrate appunto da musulmani. «Vi sembrerà strano questo mese di Ramadan: ci sono tanti che lavorano e tanti che non fanno niente, proprio chiudono e per trenta giorni non ne vogliono neanche sentire», spiega Serra nelle intercettazioni: «Perché chi carica, chi vuole fare il lavoro in Suriname sono musulmani».

A rivelare il contenuto di questa conversazione è l’attività di Geppo, un’indagine antidroga della Dda di Firenze che trae origine da un curioso ritrovamento, risalente a maggio del 2017, quando un ignaro insegnante di vela, al largo di Livorno, incappa in un borsone contenente 17 chili di cocaina divisi in panetti. Su questi il marchio della famosa casa automobilistica tedesca Porsche.

La cocaina rinvenuta dall’insegnante di vela e consegnata ai carabinieri di Livorno
La cocaina rinvenuta dall’insegnante di vela e consegnata ai carabinieri di Livorno

Consegnata la sacca alle autorità, non passa più di qualche ora prima che la Capitaneria di porto ritrovi, ormai quasi a riva, cinque borsoni simili al primo e contenenti altri 165 chili di prezioso stupefacente. Niente lascia comunque intuire la provenienza della droga, ma all’esame dei borsoni le autorità deducono che il carico è finito contro l’elica di una nave. E non sbagliano. Ma facciamo un passo indietro.

Francesco “Ciccio” Riitano – Narcotrafficante di professione, è originario di Guardavalle ed è stato il narco di punta della cosca Gallace. Ha lavorato fianco a fianco con Mario Palamara di Africo, ad oggi ancora latitante, rifornendo di tonnellate di cocaina una serie di ‘ndrine della Locride. Aveva come base operativa Arluno, in provincia di Milano, ed è poi rimasto nascosto come latitante a Rapallo, in Liguria, fino alla cattura in Sicilia nel 2019.

La striscia di mare

È la sera del 2 maggio 2017. Una barca a vela lascia il porto di Livorno per andare a pesca. A bordo Giuseppina Nieddu, sarda di origine e proprietaria dell’imbarcazione, un narcotrafficante colombiano e un referente della cosca Gallace di Guardavalle. I tre, condotti dallo skipper “Geppo”, che ha dato il nome all’indagine, e da un militare corrotto della capitaneria di porto, affrontano le onde e il mare grosso per condurre la loro missione. Ma non cercano spigole o muggini, quanto piuttosto una zattera galleggiante carica di panetti di cocaina che qualcuno da una portacontainer di passaggio ha lasciato cadere dal ponte in modo che i cinque la trovassero.

Il carico era stato inviato da due abili broker: Francesco “Ciccio” Riitano e Mario “Benito” Palamara, entrambi latitanti e per questo costretti a monitorare da lontano le operazioni di recupero.

Tanto ingegnoso è il piano quanto maldestra è l’esecuzione: un marinaio complice imbarcato sulla portacontainer deve lanciare dal ponte una sorta di zattera galleggiante ricavata dai borsoni legati tra loro, con tanto di boe e luci di segnalazione.

«L’ha buttata, stanno andando al punto per pescarla. Speriamo non se la mangi qualche balena», dice Palamara, che è in contatto telefonico con il marinaio. Ma l’equipaggio a bordo della barca a vela non riesce ad avvistare il carico: «Attendete, lasciategli il tempo di risalire in superficie», ordina Riitano. Ma dopo tre ore di ricerca in mare, al buio e con il vento sferzante che agita il mare, sono costretti ad abortire la missione. I duecento chili di cocaina sono smarriti tra i flutti.

La cocaina rinvenuta dalla Guardia Costiera nei borsoni galleggianti nel mare di Livorno
La cocaina rinvenuta dalla Guardia Costiera nei borsoni galleggianti nel mare di Livorno
La Oceanis 411 con cui i narcos hanno provato a recuperare la cocaina galleggiante nel mare di Livorno
La Oceanis 411 con cui i narcos hanno provato a recuperare la cocaina galleggiante nel mare di Livorno

Un segreto lunghissimo

Passa più di un anno prima che il nucleo investigativo dei carabinieri di Livorno, guidato dal Maggiore Michele Morelli, identifichi i proprietari del carico e tutti i soggetti coinvolti. La svolta arriva quando la polizia olandese condivide con il Ros di Roma 90 mila messaggi di chat di un servizio di messaggistica cifrata usato anche da narcotrafficanti italiani.

Si tratta di PGP Safe, fornito da quattro olandesi che riadattavano telefoni BlackBerry in modo da inviare e ricevere esclusivamente conversazioni cifrate via email attraverso un server in Costa Rica. Decriptato dalla polizia olandese – che ne ha poi arrestato i gestori – il sistema informatico ha rivelato le conversazioni di migliaia di narcotrafficanti e criminali internazionali.

È proprio dall’analisi dei messaggi scambiati tramite PGP Safe che il Ros capisce di avere in mano le risposte al mistero delle centinaia di chili di cocaina “galleggiante” trovati a Livorno. Dall’analisi delle chat emergono due nuovi dati: in primis l’importanza strategica della Toscana – e soprattutto del porto di Livorno – come snodo logistico del narcotraffico, e in secundis un’alleanza stabile della ‘ndrangheta con la criminalità sarda. Una piramide di comando che vede alla base i logisti sardi in Toscana con i narcotrafficanti sardi; a metà i broker calabresi come Riitano e Palamara e in cima i boss delle ‘ndrine di riferimento.

La premiata ditta Riitano e Palamara

Tre indagini (Squadra Mobile di Brescia, carabinieri di Milano e Guardia di Finanza di Venezia) tra il 2015 e il 2019 avevano dimostrato come Riitano e Palamara, seppure legati il primo alla ‘ndrina Gallace e l’altro alla ‘ndrina Morabito di Africo, lavorassero in coppia rifornendo di fiumi di cocaina una serie di cosche di ‘ndrangheta, muovendosi tra il nord Europa, Barcellona, Milano, il Veneto e la Calabria. Per anni i due sembravano imprendibili. Ma a tradire Riitano, a settembre 2019, è stato l’amore per i figli. “Carlino”, come veniva chiamato Riitano, viene scovato quando la figlia lo chiama così in una conversazione captata da una cimice in un’auto. I figli stanno andando in Sicilia a trovare il padre, che ha lasciato la base di Rapallo (in Liguria) dove viveva sotto falsa identità ed è nascosto in un appartamento appositamente per vederli. Ed è lì, a Giardini Naxos, che dopo giorni di appostamento i carabinieri riescono a catturarlo.

Ci sono il comandante Morelli e i suoi a fargli la posta: una sera, tradito dal caldo estremo, esce in balcone. Così cade Riitano, che finirà in galera. Negli anni di latitanza, usava un passaporto a nome Andrea Frascà, che era riuscito ad ottenere alla Questura di Milano usando la carta di identità di un indigente di Guardavalle, a cui aveva sostituito la propria fotografia. Una volta ottenuto il passaporto a nome Frascà, aveva viaggiato indisturbato tra Italia, Nord Europa e perfino America Latina. Palamara, anche lui sicuramente sotto falsa identità, è invece ancora latitante.

Sulle tracce dei due broker, tra i tanti, è stato anche il Gruppo operativo antidroga (Goa) della Guardia di finanza di Catanzaro, che in contemporanea ai carabinieri di Livorno ha portato avanti un’indagine sulla capacità della cosca Gallace di Guardavalle di sfruttare in modo stabile il porto di Livorno per importare cocaina in grandissime quantità dall’America Latina fino anche alla Sardegna.

A rendere strategica la Toscana è prima di tutto la presenza di Domenico Vitale che all’epoca dei fatti abita a Volterra, dove aveva precedentemente scontato una lunga pena. Socio di Riitano – essendo affiliati alla stessa cosca – è lui a procurare i contatti con i logisti sardi della Maremma. In particolare quello di Robertino Dessì, pastore di origine sarda e proprietario di un’azienda agricola nelle campagne del livornese, che diventerà appoggio logistico per stoccare la cocaina dei Serra. “La Mandra” – parola che indica il recinto per il bestiame – è anche il luogo dove verrà organizzato il recupero della zattera di cocaina a maggio 2017.

È sempre Dessì infatti a procurare il contatto di Giuseppina Nieddu, armatrice di barche a vela e dal 2012 trasferita in Toscana, che propone la sua flotta per trasportare grandi carichi di cocaina dal Suriname e da Santo Domingo, dove proprio Andrea Serra avrebbe contatti diretti con i fornitori.

Pietracappa, il monolite più alto d’Europa. Divide San Luca, Platì e Natile di Careri.

Foto: Michele Amoruso
Pietracappa, il monolite più antico d’Europa. Divide San Luca, Platì e Natile di Careri
Pietracappa, il monolite più antico d’Europa. Divide San Luca, Platì e Natile di Careri – Foto: Michele Amoruso

La rete internazionale

Dopo il rinvenimento della cocaina al largo di Livorno, le indagini si concentrano sul gruppo sardo-calabrese. Da qui emerge il peso di Andrea Serra, confermando che a diciassette anni dal primo arresto non solo non ha mai abbandonato il mondo del narcotraffico ma che anzi ci è cresciuto dentro.

Lo testimoniano gli stretti rapporti di Serra con la Calabria, i frequenti contatti con Vincenzo Vitale e una serie di viaggi che il sardo farà, assieme al fratello Mario, tra la primavera e l’autunno del 2019 proprio a Guardavalle. Le indagini rivelano una nuova trattativa, volta a importare dal Suriname 400 chili per volta di cocaina, più altre centinaia da Santo Domingo. Il trasporto dovrebbe essere organizzato utilizzando le barche di Giuseppina Nieddu.

A Santo Domingo ci sarebbe già una barca a vela con una tonnellata a bordo, e bisognerebbe solo inviare un equipaggio abile. La Nieddu però non è convinta, vuole sapere chi sono i «proprietari», cioè i responsabili del carico. Lo rivela un’intercettazione ambientale di maggio 2019, quando Serra incontra Dessì e Nieddu in un bar di Livorno. Qui racconta di essere stato in Marocco con la famiglia, per poi partire d’urgenza alla volta dell’Olanda perché «è arrivato il carico» (di cocaina, ndr). «Mi mandano un messaggio: vieni subito in Olanda, è arrivato il carico – spiega – ho lasciato moglie e figlio e sono partito subito».

Mentre non è chiaro se i Serra abbiano avviato in Marocco anche relazioni utili al narcotraffico (anche se Andrea parla di traffico di droga proprio con il Marocco), dall’indagine Geppo emerge certamente una relazione con narcotrafficanti marocchini in Olanda.

«Che ci fate voi sardi con la gente del Suriname?», chiede Nieddu. Così Serra spiega che i surinamesi lavorano per i marocchini, i quali controllano i porti del Nord Europa: «Hanno in mano loro lo scarico» e racconta come ormai loro (i Serra) ne abbiano ottenuto la fiducia. «Noi siamo partiti così, quasi per gioco si può dire, ci hanno dato fiducia, hanno visto che noi siamo responsabili degli impegni che prendiamo e ci hanno dato in mano tre milioni di euro (il valore della cocaina, ndr) in mano così».

Il 10 giugno Andrea Serra torna nuovamente in Olanda, ad Amsterdam. Il Ramadan è finito ed è ora di organizzare. Le acque evidentemente si smuovono ed è il momento di coinvolgere la ‘ndrangheta, così il 19 luglio i due fratelli Serra vanno a trovare i Vitale in Calabria.

Domenico Vitale – Originario di Guardavalle, Calabria, e affiliato alla cosca Gallace della ‘ndrangheta, Vitale è stato condannato per omicidio plurimo e ha scontato 22 anni di carcere a Volterra, dove è poi rimasto a vivere. È zio di Vincenzo Vitale.

Entrando nell’auto dei Vitale, Andrea Serra sbotta: «Un casino dappertutto sta diventando, un casino dappertutto sta diventando eh, non scherzo», ma Vincenzo Vitale gli fa immediatamente cenno di non parlare, mimando con i gesti che nella sua auto potrebbero esserci microspie. Ha ragione: le fiamme gialle hanno già piazzato sia cimici che telecamere nell’auto. E così, pur non riuscendo ad ascoltarli, gli inquirenti hanno le prove dell’incontro tra i sardi e gli ‘ndranghetisti. E qualcosa viene certamente deciso in quell’occasione, perché subito dopo Andrea Serra va ad Amsterdam, «verosimile preludio», secondo gli inquirenti «di una nuova serie di consegne di droga».

Nel frattempo Domenico Vitale sale a Rapallo a incontrare il latitante Ciccio Riitano proprio per discutere di un nuovo carico di cocaina. Pochi giorni dopo in Toscana, Vitale incontra Robertino Dessì, evidenziando così l’interesse dei calabresi per l’affare dell’importazione tramite barche a vela. Dessì però suggerisce di escludere la Nieddu, perché è troppo impaziente e insistente. E alla fine anche lui se ne chiama fuori: preferisce «tenere il pescato», ovvero continuare con traffici minori a cui è più abituato.

Mario Serra

I traffici, comunque, continuano. Il 2 ottobre 2019 i sardi, pedinati dagli agenti del Gruppo operativo antidroga di Catanzaro, incontrano uno dei boss di Guardavalle, Cosimo Damiano Gallace. Da un mese è stato arrestato Riitano, e ci sono probabilmente strategie e nuovi equilibri da discutere, soprattutto rispetto agli approvvigionamenti di cocaina dall’America Latina e ai rapporti con chi controlla i porti del Nord Europa. Come quello di Rotterdam, dove vive Mario Serra, che può contare su contatti strategici con marocchini al porto per l’ingresso di grandi quantitativi di cocaina.

I due sono abbastanza cauti da utilizzare telefoni cifrati, forniti dai calabresi, così i finanzieri non riescono a intercettarne le conversazioni. Tuttavia seguono i loro spostamenti tra Guardavalle e la Locride, subito prima di ripartire per il Marocco, dove vive Andrea.

Il 24 marzo 2021 il Gip del Tribunale di Firenze Sara Farini firma un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Francesco Riitano e degli altri broker calabresi, Domenico Vitale, Andrea Serra, Roberto Dessì, Giuseppina Nieddu e i corrieri sardi. Le accuse sono di associazione a delinquere con il fine di agevolare la ‘ndrangheta e narcotraffico internazionale. Il processo deve ancora iniziare. Dessì, Nieddu, Mario e Andrea Serra non hanno risposto alla richiesta di un commento. Non è stato possibile rintracciare Pietro Parisi.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

Editing

Giulio Rubino

In partnership con

Illustrazioni

Foto

Michele Amoruso

Mappe

Lorenzo Bodrero