#NdranghetaInSardegna

Armati fino ai denti
Durante lo scoppio della pandemia nasce un’alleanza criminale inedita per assaltare portavalori: armi della ‘ndrangheta, base in Corsica, rapinatori dalla Sardegna, escavatori della camorra. L’obiettivo è la Toscana
26 Ottobre 2022

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

Centoventi carabinieri, giunti nella notte da tutta la Sardegna, hanno circondato il paese e aspettano il momento buono per entrare. È ancora buio pesto alle cinque di mattina del 6 gennaio 2021 e a Desulo – duemila anime strette tra le montagne della Barbagia di Nuoro – ha nevicato per giorni. Il freddo e il ghiaccio custodiscono le case dai tetti bianchi e la neve sulle strade, quando questa inizia a scricchiolare sotto le suole di centinaia di scarponi.

Sono i carabinieri dell’intero squadrone eliportato cacciatori di Sardegna, in mimetica, e quelli del nucleo operativo di Carbonia, le cui uniformi nere spiccano sulla neve. In tutto 12 squadre da dieci, che nella notte hanno circondato il paese, controllando ogni movimento.

Desulo ha due soli ingressi: uno a nord, verso Fonni, dove è nascosta una quarantina di militari. L’altro a sud, dove si va per Aritzo e Tonara: da qui provengono altri ottanta uomini armati, in silenzio e a piedi per non farsi notare. Aspettano il segnale per avvicinarsi e colpire. Le ginocchia affondate nella neve, ad attendere in silenzio assoluto nelle ore più fredde della notte, senza poter battere la mani intirizzite nei guanti, scrutando il buio come civette e ripetendo nella testa le parole del comandante: il piano non deve fallire.

Gli obiettivi dell’operazione sono cinque case, anonime e del tutto simili alle altre, ciascuna di una diversa sfumatura di arancione, che rendono Desulo magnificamente fotogenica. Si dorme ancora e nel paese ovattato dalla neve nessuno nota le ombre che si avvicinano. Poi il segnale via radio e i militari sfondano le porte, irrompono nelle case e stringono le manette ai polsi dei ricercati, ancora storditi dal sonno e dal brusco risveglio. Uno di loro riesce a scappare ma le impronte nella neve rendono la fuga breve. Subito dopo arrivano i fuoristrada, poi gli elicotteri. Il paese si sveglia sotto il peso degli arresti e dei fiocchi che hanno ricominciato a scendere in una delle nevicate più memorabili degli ultimi anni, che i desulesi ricordano per più di una ragione.

Non che sia la prima volta che in paese si compiono arresti importanti. In questa zona della Sardegna centrale, all’ombra delle cime del Gennargentu, la montagna si fa più dura e spesso vi cercano rifugio i banditi dell’isola, che da tempo hanno abbandonato i sequestri di persona, trovando più fruttiferi il traffico di droga e le rapine. Proprio a Desulo, undici mesi dopo, verrà arrestato anche Graziano Mesina, il più famoso dei banditi sardi. Ma quella è un’altra storia.

Stavolta i carabinieri cercavano i membri di una delle più temute formazioni di rapinatori d’Italia: la “banda dei desulesi”, autrice di una serie di operazioni contro furgoni blindati e depositi di denaro.

La banda vanta numerosi colpi e una dimestichezza con le armi che preoccupa anche i carabinieri, perciò decidono di chiudere la partita in un solo colpo per evitare sparatorie e tragiche conseguenze. Non una decisione peregrina con il senno del poi: uno degli arrestati nascondeva fucili e dinamite dentro il garage.

Avrebbero tenuto la via di fuga pronta, se avessero sospettato qualcosa. Ma non è stato questo il caso dei rapinatori desulesi, esperti e circospetti, le cui attività sono state svelate solo a causa di alleanze sbagliate.

Mercurio, il federatore

A coordinare l’intervento è il nucleo operativo dei carabinieri di Carbonia, nel sud ovest dell’isola. Una piccola squadra operativa, che si muove senza dare nell’occhio, portando avanti indagini complesse e dalla portata internazionale. L’unità aveva da poco chiuso l’indagine Ichnos, con l’arresto di uno dei principali narcotrafficanti sardi, Sandro Arzu, che si riforniva di stupefacenti dalla ‘ndrangheta a Roma. Ma i carabinieri di Carbonia si rendono conto che il giro continua. Uno dei suoi clienti – rimasto senza droga – si rivolge a un altro fornitore: il 58enne Giovanni Mercurio, proprietario di un ovile a Loculi, comune del Nuorese vicino al famoso golfo di Orosei. Siamo a gennaio 2019.

Mercurio di droga ne spinge molta, in tutta la Sardegna, arrivando fino alla Corsica. È lì che, monitorandone per mesi i traffici, gli inquirenti scoprono qualcosa di molto più preoccupante. Mercurio è un federatore: è in grado di connettere tanto il “mondo di sotto”, quello della criminalità, quanto il “mondo di sopra”, vale a dire imprenditoria e alta società. Quest’ultima la intrattiene gestendo locali nel cuore della movida di Olbia, dove costruisce il suo volto pubblico. Nel frattempo però, segretamente, unisce gli interessi di banditi sardi, trafficanti corsi, camorra, ‘ndrangheta e colletti bianchi. Obiettivo: organizzare una serie di rapine a mano armata.

Barba e capelli rasati, sguardo torvo: Mercurio veste sportivo ma la squadra che dirige non è di calcetto. Dalla sua base nella regione storica della Baronia, come broker della droga ha clienti e collaboratori in tutta la Sardegna. Ma è ambizioso e punta ad ampliare i suoi affari il più possibile.

È un trend consolidato in Sardegna, dove negli ultimi anni il traffico di stupefacenti è cresciuto a ritmi vertiginosi. Ben lungi dall’essere una barriera, il mare è uno spazio difficile da controllare e i trasporti marittimi – cargo o semplici traghetti che siano – sono spesso utilizzati per spostare cocaina ed eroina. Tanto è risultata strategica la Sardegna nel tempo che persino intere ‘ndrine si sono trasferite stabilmente, godendo dell’appoggio della criminalità locale e di un territorio sovente aspro e inaccessibile.

Mercurio fa anche partire i suoi carichi di cocaina, marijuana o hashish all’indirizzo della Corsica. Dall’altro lato delle Bocche di Bonifacio i destinatari della merce sono Francesco Ledda e Dario Azzena – il primo sardo, il secondo corso – che vivono tra Porto Vecchio e Ajaccio.

«Roba buona – dice Mercurio a Ledda. E aggiunge: «È quella a spina di pesce», alludendo a una delle qualità di cocaina più pure, che gli arriva da un fornitore a Fiumicino.

Una volta portata in Corsica, Azzena suggerisce un piano: vendere prima quella vecchia, di qualità inferiore, e poi «la bamba» appena acquistata. Altrimenti poi «l’abitua…l’abituisci [sic] a questa e non ti prende più l’altra».

Con il duo corso Mercurio lavora bene e costruisce un solido rapporto di fiducia. Lui li rifornisce e loro pagano puntualmente. Soldi che Mercurio probabilmente stocca come in passato quando, nel 2009, i carabinieri trovarono 267 mila euro interrati nel giardino del suo ovile a Loculi. Ancora una volta, nel 2014, lo sorprendono mentre con alcuni complici scarica da un camper 50 chili di marijuana proveniente dall’Albania. Perquisiscono l’ovile e sotto un masso di granito trovano 124 mila euro in contanti. L’anno dopo il Tribunale di Nuoro gli sequestra beni per il valore di un milione di euro. Un sequestro che nel 2018 diventa confisca, assieme a una condanna in primo grado a 10 anni di carcere.

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In attesa del processo d’appello Mercurio rimane a piede libero, si ripulisce l’immagine e, almeno apparentemente, si allontana dal mondo del narcotraffico. Tuttavia in questo periodo continua a tessere alleanze, ignaro che i carabinieri di Carbonia stanno seguendo ogni sua mossa. È così che un’indagine per reati di droga diventerà una delicata operazione che ha lo scopo di fermare una pericolosa organizzazione armata.

Dalla droga agli assalti

È il 16 aprile 2019 e i carabinieri stanno monitorando Mercurio da quattro mesi. L’indagine li porta tra le campagne di Carbonia dove, nell’ovile di un suo cliente regolare, notano un furgone Iveco parcheggiato. Il mezzo risulta rubato a Nuoro nel 2017, insieme a un altro identico e impiegato per tentare l’assalto a un furgone portavalori a dicembre dello stesso anno.

Un commando, mai identificato, aveva bloccato la statale all’altezza di Castiadas, località turistica nel sud-est dell’isola, nel tentativo di costringere un blindato con dentro 250 mila euro in contanti a fermarsi.

Così il ritrovamento del furgone Iveco, a due anni e due ore di macchina dall’assalto, richiama l’attenzione del gruppo operativo locale. Da questo momento gli inquirenti non si perdono una mossa di Mercurio, sospettando che stia differenziando gli affari tra narcotraffico e assalti ai portavalori. Lo pedinano, lo filmano e lo ascoltano.

A maggio Mercurio chiama una vecchia conoscenza, Antonio Pagano, imprenditore napoletano che vive a Olbia dai primi anni 2000. Mercurio ha bisogno di mezzi pesanti e chiede aiuto a Pagano per reperirli. Si rafforza il sospetto che stiano organizzando una rapina. Ulteriori conversazioni tra Mercurio, Pagano e il socio corso, Francesca Ledda, fanno emergere che a procurare i mezzi ci penserà la camorra o la ‘ndrangheta.

Gli uomini per la rapina, «i professionisti» devono essere sardi esperti, della zona di Fonni o di Desulo. Un «marchio di qualità» in questo settore, dicono.

Dello stoccaggio e del reperimento di denaro vengono incaricati i corsi. Ledda individua in Jean Louis Cucchi, un quarantenne di Porto Vecchio, l’uomo che dovrà ripulire le «banconote macchiate con l’inchiostro, perché la valigia esploderà, è sicuro. Un milione [di banconote macchiate], ci sono dieci valigie...».

Le valigette dei furgoni portavalori sono progettate per rilasciare inchiostro sulle banconote in caso di rapina, e Cucchi punta a lavarle con dei bagni in vasche di benzene. In alternativa, ci si sarebbe potuti rivolgere a esperti della ‘ndrangheta, dice Ledda.

Il fortino corso

La squadra che Mercurio sta cercando di mettere assieme, fra trafficanti corsi, assaltatori sardi, logisti della camorra e della ‘ndrangheta è una minaccia che preoccupa gli inquirenti. Per quanto non sia ancora noto l’obiettivo, gli assalti armati non sono consegne di droga e i carabinieri non possono lasciare che la rapina avvenga. Il rischio di spargimento di sangue è troppo alto. Tuttavia, i banditi non possono ancora essere arrestati, mancano elementi chiave per incriminarli.

Inizia così una fase delicata dell’indagine, in cui la vigilanza discreta ma costante è fondamentale. Il nucleo operativo decide di tentare di intavolare un accordo inedito. Grazie alla comandante della Compagnia di Carbonia, Lucia Dilio, e alla fiducia dei magistrati della Dda di Cagliari, nasce una Squadra d’investigazione comune (Sic) tra la polizia nazionale francese e i carabinieri, che permette a questi ultimi di pedinare e intercettare gli indagati anche oltre le Bocche di Bonifacio.

Di viaggi in Corsica ne serviranno vari. In abiti civili e “travestiti” da turisti, una coppia di carabinieri di Carbonia spera di apprendere qui, tra i vicoli di Ajaccio e Porto Vecchio, quante e quali armi si stia procurando Mercurio. Girano il paese a piedi, frequentano i bar e i ristoranti locali. E così scorgono Mercurio con i suoi fidati soci corsi, Ledda e Azzena, intenti a discutere. Per muovere i carichi illeciti Ledda e Azzena hanno trovato una buona soluzione. Vogliono usare come copertura i mezzi di una loro ditta di costruzioni a Porto Vecchio, la AZ constructions, che investe nel settore immobiliare. Ma al di là della facciata pulita, i due hanno contatti utili sia per organizzare rapine sull’isola, come vorrebbe Mercurio, sia per procurarsi armi. Uno dei principali è proprio Jean Louis Cucchi.

Uno stralcio della visura camerale dell'azienda di Jean Louis Cucchi, la AZ Construction

Cucchi è in grado di conoscere gli spostamenti dei furgoni carichi di soldi che vanno e vengono dall’aeroporto di Figari, 25 chilometri a nord-ovest di Bonifiacio: il denaro viene spostato a bordo di blindati anonimi, banalizet in francese, mentre un furgone con le insegne dell’azienda fa da esca. Cucchi sa esattamente quali sono i furgoni civetta e quelli che portano realmente il denaro. Si muove come un’ombra e su di lui i carabinieri non riescono a scoprire molto. Su Facebook dichiara di avere diretto un’azienda di pitture per l’edilizia, tuttavia questo non risulta dal registro imprese. Ma una cosa è certa: sa procurarsi armi e tratta con Azzena la cessione di fucili e pistole: «Due (di calibro grosso, ndr) che ho rubato dal sindaco di Figari e che non sono mai state usate», racconta, al posto di un’altra che sarebbe stata troppo «piccola e fine». «È per le donne», ironizza Cucchi.

È qui, tra i tesori di Bonifacio, che la batteria corsa si esercita a sparare. Devono reperire però almeno altri 50-60 fucili d’assalto che servono per l’affare con Mercurio. La Corsica viene quindi trasformata in un fortino isolato e protetto, sia grazie alla morfologia impervia del territorio, sia per la distanza che separa l’isola dalla Francia continentale. Qui intendono stoccare le armi per le rapine e sempre qui intendono riparare dopo averle commesse. All’estero, al riparo dalle rogatorie internazionali, ma sufficientemente vicini alla Sardegna da sentirsi a casa.

Una veduta aerea di Bonifacio, sull’orlo meridionale della Corsica - Foto: Getty

Un incrocio trafficato

Il bersaglio della rapina che Mercurio e Ledda stanno progettando è più ambizioso di un semplice furgone portavalori, come quelli di cui è esperto Cucchi. Puntano più in alto - scoprono gli inquirenti -, direttamente alla sede di un’azienda di sorveglianza e portavalori in Italia, un colpo da «dieci milioni di euro». E prevedono di farlo in modo spettacolare, sfondando i muri a colpi di ruspa. Sono questi i “mezzi pesanti” di cui parlavano e di cui hanno bisogno, oltre alle armi, che Mercurio e Ledda cercano tra i loro contatti con la ‘ndrangheta a Milano. La soluzione viene dal napoletano Antonio Pagano: i caterpillar li può fornire il clan camorristico dei Fabbrocino, che verrà ricompensato con una percentuale del furto.

Il luogo prescelto da Mercurio per concentrare armi (dalla Corsica), mezzi (da Napoli) e assaltatori (dalla Sardegna) è un’azienda agricola nelle campagne toscane dalle parti di Livorno: la Mandra. Qui vive e opera il sardo Robertino Dessì, trafficante e uomo fidato che negli anni è diventato un punto di riferimento per la criminalità proveniente dalla Sardegna, dalla Calabria e dall’Albania. Come già scritto da IrpiMedia e Indip, è nella sua fattoria che nel 2017 viene organizzata un’operazione di recupero di oltre 200 chili di cocaina della ‘ndrangheta di Guardavalle e destinata ai narcotrafficanti del sud Sardegna. Ma sarà sempre Dessì, dalla sua base in Toscana, a intermediare tra i produttori di marijuana del nuorese e i narcotrafficanti albanesi.

La Mandra di Robertino Dessì e il camion con cui spostano le armi

Troppo traffico in quell’ovile toscano perché non venisse notato. Lo intuisce il Maggiore Michele Morelli che all’epoca guida il nucleo investigativo dei carabinieri di Livorno e che da quel momento non perderà mai di vista l’azienda di Dessì. Ha già chiesto l’aiuto del nucleo di Carbonia per indagare i suoi traffici con i calabresi e gli albanesi, ma questa volta l’impressione è che siano i carabinieri toscani a poter aiutare i colleghi sardi. E così lo pedinano, spalla a spalla, fino al porto di Livorno. Qui, recupera un uomo appena sbarcato e lo porta fino a Braccagni, cittadina vicino a Grosseto, a un’ora e mezzo di auto dal porto. Cosa ci fanno lì? Un summit tra sardi: tra i partecipanti, i carabinieri di Carbonia riconoscono Mercurio. Non ci sono più dubbi: la rapina si farà in Toscana e il gruppo di Mercurio si appoggerà a Dessì. È infatti proprio a Braccagni che l’indomani i camorristi parcheggiano, nel piazzale di un ristorante, un furgone con sopra un piccolo escavatore. I mezzi per la rapina sono arrivati.

Il misterioso uomo che sbarca a Livorno il 7 luglio e sale sull’auto di Dessì è raggiunto, il giorno successivo, da altre due persone partite sempre da Olbia. Sono passeggeri che viaggiano senza essere registrati, segno che godono di un contatto al porto sardo. Giunti a Livorno, i due nuovi arrivati si incamminano a piedi, seguiti a distanza dai carabinieri. Raggiunta la campagna però, prendono le vie dei campi, dove i pedinatori non hanno più possibilità di seguirli senza essere visti. Appariranno ore dopo alla fattoria di Dessì, dove le telecamere dei carabinieri di Livorno ne immortalano i volti. È una storica banda di rapinatori desulesi: sono Ilio Mannu, Alessio Maccioni e il capo, Andrea Luca Littarru. Si muovono a piedi e senza telefoni cellulari: delle ombre che vanno e vengono dalla Sardegna senza lasciare tracce.

Un’importante missione

I desulesi e Dessì hanno tre missioni da compiere. La prima: fare il sopralluogo per le vie di fuga, come svela un’intercettazione ambientale ottenuta grazie a un malware (software spia che, una volta installato su uno smartphone, è in grado di leggerne i contenuti e attivare da remoto il microfono) installato sul telefono di Dessì. La seconda: recuperare le armi che Mercurio ha fatto arrivare dalla Corsica alle campagne di Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano, dove un altro basista sardo le tiene nascoste. Infine la terza: controllare l’escavatore portato dai camorristi.

«Già non sarà questo piccolo carrettino?», esclamano una volta arrivati allo spiazzo di Braccagni dove era parcheggiato il mezzo con cui avrebbero dovuto fare la rapina. «Con quello ti puoi prendere un gelato!», protesta uno dei desulesi, al quale l’escavatore sembra più una paletta per gelato che un braccio con cui sfondare un edificio. Non è possibile, devono essersi sbagliati - dicono - quello giusto l’avranno scaricato altrove, ipotizzano. Dessì dà a Littarru un telefono - è un’utenza dedicata esclusivamente a parlare con Pagano - al quale dicono che il mezzo non c’è.

Al trasecolare di Pagano capiscono che è proprio quello il mezzo procurato dai camorristi. «Hanno pensato che dobbiamo fare roba così (piccola, ndr)… Si sono impegnati ma non hanno saputo eseguire l’ordine», concludono i desulesi. Che chiedono comunque a Dessì di «bloccare il capannone», un magazzino procurato dal fonnese (naturalizzato toscano) lì vicino, dove poter nascondere i mezzi pesanti in attesa della rapina. Ritornata in Sardegna, la banda incontra Mercurio per aggiornarlo.

Uno dei mezzi usati dai desulesi

«Bella cagata Antonio eh! - si lamenta Mercurio con Pagano - hanno mandato un affare per togliere le patate Anto’…abbiamo parlato di un 200 quintali in su. Ma pensi di giocare con i ragazzini?», sbotta adirato.

Pagano mestamente si attiva per risolvere il problema, mandando i napoletani a ritirare il mezzo non idoneo e sostituirlo con un escavatore più grande. È il 23 luglio e i preparativi per la rapina fervono: da una parte i desulesi che viaggiano per la Toscana, dall'altra i napoletani che cercano il mezzo giusto.

Per capire se i desulesi sono in Toscana, visto che viaggiano senza telefoni cellulari, per i carabinieri c’è un solo modo: chiedere ai giovanissimi colleghi della stazione dei carabinieri del paese di monitorarli notte e giorno. Se non sono a Desulo, immaginano, devono essere in Toscana.

I desulesi non si rendono conto di essere seguiti, né dai carabinieri di Livorno né da quelli di Carbonia. Così si arriva alla fine di luglio 2019, quando insieme a Dessì lasciano la Mandra per un sopralluogo che svelerà il luogo dove programmano la rapina: la sede di Cecina della Mondialpol, uno delle più grandi aziende specializzate in servizi di vigilanza e custodia di valori.

Nel frattempo il capitolo napoletano dell’impresa collettiva ha trovato un nuovo mezzo, che il gruppo va a recuperare. Si tratta di un escavatore, più grande del precedente, caricato sopra un camion. Tuttavia durante il trasporto le sponde del rimorchio si rompono, obbligando i sardi ad abbandonare il mezzo lungo una strada statale, visibilmente innervositi. «Prima portano un carretto, poi ne portano un altro».

Passata l’estate, i rapporti tra i napoletani, i desulesi e il trio Mercurio-Ledda-Pagano ormai sono incrinati. Uno dei desulesi vuole tirarsi indietro, gli sembra troppo rischioso. Dessì, dal canto suo, non vuole più stare «con tutte le cianfrusaglie addosso» (le armi stoccate presso la sua fattoria in Toscana) la cui presenza da sola è sufficiente a fargli meritare una condanna a vent’anni di reclusione, come riconosce lui stesso.

Mercurio però non vuole rinunciare: ha investito troppo per desistere e non vuole perdere il suo ruolo da federatore di diversi mondi. Invia un emissario alla Mandra di Dessì per fare un nuovo sopralluogo alla sede della Mondialpol di Cecina. È «arrabbiatissimo - lo descrive Dessì - . Perché la devono mandare a monte (la rapina, ndr) dopo tutto quello che si è fatto?». Così viene fissato un summit alla Mandra con la batteria desulese, per cercare di negoziare un nuovo accordo.

I desulesi si definiscono «gente di paese che capiscono (di rapine, ndr)». D’altronde - si vantano - ne hanno già fatte varie in passato, tra furgoni portavalori e rapine in banca. Nessuna di queste è stata direttamente ricondotta a loro (per ora), ma il modus operandi è sempre lo stesso e ricorda la rapina rimasta senza responsabili che nel 2016 assicurò a una banda dieci milioni di euro grazie allo sfondamento della Mondialpol di Sassari a botte di ruspa. «Tutti bravi eh…la batteria che siamo [...] non ne sgarra uno», dice Andrea Luca Littarru, il capo, nel descrivere la propria organizzazione a Dessì. «E gli altri non capiscono delle rapine!», ovvero i napoletani, che ben due volte avevano reperito mezzi non affidabili. Così viene deciso di puntare a un altro colpo, riportando le armi in Sardegna tramite il fratello di Littarru, Giovannino, che è camionista. «Cercate di farne una (di rapina, ndr) che cazzo!», dice Dessì nel salutare i desulesi carichi di armi in ripartenza dalla Mandra.

Non poteva immaginare che i carabinieri di Carbonia erano pronti a fermare quel rimorchio. Arrivato al porto di Cagliari, il 31 luglio 2020 Littarru viene fermato (con la scusa di un controllo casuale) con un vero e proprio arsenale da guerra. Pistole, fucili d’assalto, bombe a mano, tritolo, esplosivo plastico, centinaia di munizioni.

Armati fino ai denti

L'arsenale sequestrato ai desulesi dai carabinieri di Carbonia

Assalto agli assaltatori

Andrea Luca Littarru è un vero capo. Dopo l’arresto del fratello e del carico di armi, le telefonate tra i membri della banda cessano del tutto. Si vedono solo di persona e Littarru in visita al fratello dietro le sbarre lo ammonisce: «Anche in cella, silenzio». Il sequestro della santabarbara fornisce ai carabinieri nuove prove, svelando l’incredibile capacità dei sardi di procurarsi grandi quantità di armi da guerra.

Perso il primo arsenale per via del sequestro, Mercurio si attiva per procurare nuove armi. A luglio 2020 con Ledda tratta l’acquisto di un intero container di Kalashnikov forniti dalla ‘ndrangheta di Africo e da nascondere in Corsica. Il gancio, che passa dal socio napoletano Antonio Pagano, è un misterioso imprenditore milanese in buoni rapporti con le cosche calabresi.

Di lui non si sa molto. Secondo quanto scoperto da IrpiMedia e Indip, l’imprenditore è stato titolare di una serie di aziende che lo mettono in collegamento con Pagano. «Scatole vuote che fanno da testa di ponte per investimenti misteriosi», riferisce un professionista coinvolto nella liquidazione di una delle aziende. A risalire la china degli intrecci societari, si arriva anche a una società di ristorazione di Palau, in Costa Smeralda, in passato amministrata da Pagano. Questa e altre imprese che Pagano possiede tra Olbia e la Campania sono i canali ufficiali attraverso cui si muovono i soldi. Ironicamente, poi, Pagano ha anche posseduto quote di una società di sorveglianza armata e trasporto valori a Napoli.

Forti del contatto milanese di Pagano, le trattative per portare le armi della ‘ndrangheta fino in Corsica continuano, mentre la banda di Mercurio cerca di imbastire operazioni alternative all’assalto fallito a Cecina. Ma appena in tempo per il cenone della vigilia di Natale 2020, il gip di Cagliari Giorgio Altieri firma un’ordinanza di custodia cautelare per tutti gli indagati. Resterà cristallizzata fino a quella notte di gennaio, quando al posto della calza della Befana i cinque assaltatori desulesi troveranno le manette al risveglio. E con loro, tutti gli altri.

A luglio 2022 il gruppo di fuoco desulese è stato condannato in abbreviato con pene dai 10 ai 12 anni di carcere dal Tribunale di Cagliari. Azzena, Cucchi, Ledda (estradati in Italia), Mercurio, Dessì, Pagano e tutti gli altri soci sono a processo ordinario al Tribunale di Tempio Pausania. La prossima udienza è oggi, 26 ottobre 2022.

CREDITI

Autori

Cecilia Anesi
Raffaele Angius

Editing

Giulio Rubino

Infografiche & Mappe

Lorenzo Bodrero

Illustrazione