4 Settembre 2020 | di Cecilia Anesi
Nell’udienza conclusiva del processo di primo grado dell’omicidio Kuciak-Kušnírová i giudici del tribunale di Pezinok, in Slovacchia, hanno deciso per una condanna a 25 anni per l’ex militare Tomas Szabó ma a due assoluzioni eccellenti, quelle dell’imprenditore Marian Kočner e della sua partner Alena Zsuzsová.
Il processo, iniziato a dicembre 2019, doveva stablire i responsabili dell’esecuzione a sangue freddo del giornalista 27enne Jan Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová – uccisi con un colpo di pistola il 21 febbraio 2018 nella loro casa di Velka Maca. L’omicidio nel Paese aveva scatenato il più grande movimento di protesta dai tempi del 1989, forte al punto da spingere alle dimissioni il primo ministro dell’epoca, Robert Fico.
Con la sentenza del tre settembre, però, vengono condannati solo i due killer, Tomas Szabó e suo cugino Miroslav Marček, che si aggiungono a Zoltan Andrusko, condannato a 15 anni dopo aver ammesso il suo coinvolgimento negli omicidi. Anche Marček ad aprile scorso aveva confessato e patteggiato: un colpo di scena inaspettato avvenuto nel corso del processo. Szabó, invece, ha negato tutto fino alla fine, ma la Procura slovacca aveva prove solide nei suoi confronti: i filmati delle telecamere di sorveglianza lo inchiodano mentre fa da autista al cugino killer la sera dell’omicidio, e durante i precedenti sopralluoghi.
Non altrettanto forti sono state invece le prove raccolte per dimostrare il coinvolgimento dell’uomo d’affari Marian Kočner, accusato di avere ordinato l’omicidio del giornalista scomodo. E così il potente imprenditore ha potuto uscire dall’aula da non colpevole. Stessa sorte per Alena Zsuzsová, la sua ex amante, ritenuta vicina ai servizi segreti e accusata di avere ingaggiato i killer.
Per approfondire
Jan Kuciak, due anni dopo
Il 21 febbraio 2020 abbiamo ricordato Jan e Martina con uno speciale. All’interno le fasi del processo sull’omicidio avvenuto a Velka Maca il 21 febbraio 2018 e lo sviluppo del lavoro interrotto di Jan
La Procura slovacca farà appello, ma restano molte domande in sospeso. Seppur assolto in primo grado, Kočner resta una figura controversa. Descritto dai media slovacchi come un imprenditore vicino alla criminalità organizzata, secondo l’indagine sarebbe stato capace di mettere assieme una squadra di ex-spie per creare un dossier su giornalisti scomodi, come Jan Kuciak. Per questo è, dall’inizio dell’indagine, ritenuto il più probabile mandante dell’omicidio, seppur la sentenza di primo grado ora dica il contrario.
Prima di essere ucciso, Jan Kuciak stava portando a termine un’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Slovacchia. I clan, nel Paese, si sono aggiudicati diversi fondi europei per agricoltura e energia rinnovabile.
Chi è Marian Kočner e il suo legame con l’omicidio Kuciak
Tratto da: https://irpimedia.irpi.eu/janproject/#processo
Marian Kočner è uno dei principali e più controversi uomini d’affari del Paese, e viene definito senza mezzi termini da Peter Bardy, direttore di Aktuality, il giornale per cui lavorava Kuciak, «un mafioso».
È coinvolto in una serie di scandali (tra questi, l’acquisizione della tv Markíza nel 1998 e la cosiddetta frode Technopol, su cui Kuciak aveva lavorato documentando la misteriosa scomparsa di centinaia di pagine di atti giudiziari). Tiene sotto scacco diversi uomini delle istituzioni, compreso il Procuratore generale Dobroslav Trnka, e nella sua cassaforte conserva copia delle intercettazioni e dei dossier illegali del cosiddetto “caso Gorilla”, scandalo che travolse i servizi segreti slovacchi.
Kočner aveva ottime ragioni per eliminare Kuciak. E che detestasse quel cronista ragazzino che lo tormentava con le sue inchieste non ne aveva fatto mistero. Lo aveva minacciato al telefono a settembre 2017: «Troverò prove su di te e sulla tua famiglia: tutti hanno uno scheletro nell’armadio». Jan lo aveva denunciato, ma la polizia aveva infilato la pratica in un cassetto, dove era rimasta.
Andrusko, il middleman tra Alena Zsuzsová e i killer, accusa Kočner durante il suo interrogatorio con la polizia slovacca. «Alena – spiega – non mi ha detto il motivo dell’omicidio, ma mi ha fatto il nome di chi lo ha ordinato: è Marian Kočner, ma ho paura a nominarlo perché temo per la mia vita».
Kočner è dunque oggi il principale indiziato quale mandante dell’omicidio di Jan. Lo dice Andrusko nella sua confessione. Lo dice la logica. Lo dicono le solide ragioni per cui avrebbe avuto interesse ad eliminarlo. Lo dice a IRPI e La Repubblica l’avvocato della famiglia Kušnírová, Roman Kvasnica: «Possiamo dire che Kočner sia ufficialmente sospettato, ma non formalmente accusato. Quindi c’è la presunzione d’innocenza, dobbiamo ancora considerarlo innocente». Anche se lui, in carcere, già ci sta da qualche mese. Ma per evasione fiscale.
È evidente che la timidezza dell’indagine slovacca su Kočner sconti una generale paura che l’esplorazione complessiva del movente (e di lì dei possibili mandanti dell’omicidio), porti inevitabilmente nel Palazzo della Politica, nel verminaio dei ricatti che hanno cementato e continuano a cementare classe politica, apparati dello Stato, imprenditoria corrotta e criminalità organizzata della Slovacchia.
Questo spiega il perché dal giorno stesso dell’esecuzione, il lavoro di Kuciak non sia mai stato preso in considerazione nell’indagine come punto di partenza nella ricerca del movente dell’omicidio. Perché se così fosse stato il nome di Kočner si sarebbe illuminato prima che a parlarne fosse il “pentito” intermediario con i killer. E questo spiega anche come e perché sia stata lasciata cadere la pista – anche questa documentata dall’ultima inchiesta cui Jan stava lavorando – che portava ai rapporti tra l’ex Primo Ministro Roberto Fico e la ‘ndrangheta, nell’ambito delle truffe ai fondi europei per l’agricoltura e le energie rinnovabili.
«Andrebbe considerata la possibilità che l’omicidio sia stato ordinato da una sorta di cartello, che unisce più interessi», dice Peter Bardy di Aktuality. In un’allusione voluta a un “patto di sistema” tra imprenditori, politica, criminalità organizzata. Che appunto gli inquirenti slovacchi hanno abbandonato. Al punto che il protocollo di collaborazione firmato un anno fa con la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e la nostra Polizia è rimasto lettera morta.
La giustificazione ufficiale, dichiarata durante una conferenza stampa, è stata quantomeno anodina: «Non c’è alcuna pista italiana per l’omicidio e quindi non abbiamo bisogno dell’aiuto della magistratura italiana». Un modo di procedere che a Reggio Calabria ha sollevato qualche perplessità, per dirla con un eufemismo. Perché – osservano – ignorare il lavoro di Kuciak ha significato precludersi la possibilità di illuminare un grumo di potere corrotto e infiltrato dalle famiglie di ‘ndrangheta su cui sarebbe valsa la pena fare luce. E di cui vale la pena ricordare le coordinate.
Quello che sembra essere mancato finora nelle indagini è un’analisi più approfondita di quel sistema di potere con ramificazioni criminali internazionali che invece era il cuore dell’inchiesta di Kuciak e con ogni probabilità il motivo per cui è stato ucciso.
Chi ha beneficiato della morte di Jan? Indubbiamente in molti. La sentenza di primo grado decreta chi sia stato a sparare, ma lascia un enorme vuoto sui mandanti. Zsuzsová e Kočner sono stati assolti per uno di questi due motivi: o non c’erano abbastanza prove per condannarli oppure sono davvero innocenti. I contrasti passati con Jan fanno pensare che non siano finiti per sbaglio in un processo del genere, il più importante della storia della Slovacchia per il grande peso sociale e politico: la prima volta che un giornalista viene ucciso per avere indagato il sistema di potere. Se non direttamente responsabili, entrambi rispondono a delle logiche di potere – le stesse con cui dialoga la ‘ndrangheta – i cui interessi nell’omicidio Kuciak sono ancora da indagare a fondo per arrivare, così, ai veri responsabili.