#OpenLux

Baby-milionari in Lussemburgo
Nonostante siano minorenni, compaiono come titolari effettivi di ricche società. Sono figli di uomini d’affari che hanno conti in sospeso con la giustizia e cercano di nascondersi
11 Febbraio 2022

Lorenzo Bagnoli
Luc Caregari
Daniela Castro
Maxime Vaudano
Jonny Wrate

In Lussemburgo ci sono almeno 291 minorenni titolari effettivi di una società. Sono parenti di intermediari condannati per corruzione, oligarchi, uomini d’affari vicino a personaggi politici discutibili. A questi se ne aggiungono altri 290 che avevano 18 o 19 anni nel momento in cui sono stati iscritti nel registro lussemburghese dei titolari effettivi. Costituito nel 2019, il registro rende obbligatoria la dichiarazione del titolare effettivo di un’azienda registrata nel Granducato. L’inchiesta #OpenLux lo scorso anno ha scoperchiato tutti i limiti della sua implementazione: poco personale per fare i controlli, nessun potere di sanzione per chi non rispetta le regole di registrazione, numeri ancora troppo elevati di società senza titolare dichiarato. Limiti prima negati, poi ammessi dalle stesse autorità lussemburghesi.

L’iscrizione dei minori nel registro dei titolari effettivi può essere utilizzata come l’ultima scappatoia per fingere di mostrarsi trasparenti: si iscrive nel registro un nome senza che corrisponda a chi davvero ha in mano le redini della società. Nonostante la dichiarazione del titolare effettivo sia obbligatoria chi dovesse essere a rischio di subire minacce, richieste di estorsioni, sequestri o molestie può chiedere di non comparire nel registro per tre anni. I minorenni sono tra coloro che possono usufruire di questa esenzione.

«In Lussemburgo si trovano quote societarie in mano a neonati o criminali ricercati dall’Fbi: quando il capitale delle società è conferito in beni e non in liquidità i controlli vengono meno»

- Roman Borisovich, imprenditore e attivista per la trasparenza

Il Lussemburgo ha un regime fiscale particolarmente vantaggioso per le holding, società il cui scopo è controllare altre società. È uno dei motivi per i quali viene scelta in ottica della cosiddetta ottimizzazione fiscale: «Le autorità che regolano il mondo bancario lussemburghese – dice Roman Borisovich, imprenditore e attivista per la trasparenza – sono scrupolose quando si parla di denaro, non quando si parla di quote. Così – continua Borisovich – si trovano quote societarie in mano a neonati o criminali ricercati dall’Fbi: quando il capitale delle società è conferito in beni e non in liquidità i controlli vengono meno»

Riforme a metà

«Il governo lussemburghese prende atto della pubblicazione di una serie di articoli sulla stampa internazionale riguardanti presunte carenze nelle disposizioni antiriciclaggio del Granducato e confuta le varie accuse», scriveva il governo lussemburghese in un comunicato di risposta alle rivelazioni di Openlux. Eppure nell’agosto 2021 la ministra della Giustizia del Granducato, Sam Tanson, ha dichiarato attraverso il suo ufficio stampa di essere intenzionata a concedere maggiori poteri al registro lussemburghese, in modo che possa sanzionare in autonomia chi abusa del sistema fiscale del Granducato per attività di riciclaggio ed evasione fiscale. Contattato da Reporter.lu, partner dell’inchiesta #Openlux, il ministero di Tanson ha poi aggiunto che molti Paesi consentono ai minorenni di essere titolari effettivi di società. Yves Gonner, direttore del registro imprese ha aggiunto che «i regolamenti per i minorenni sono gli stessi dei maggiorenni, non ci sono controlli ulteriori».

Per approfondire

OpenLux

Politici, imprenditori, uomini legati alla criminalità organizzata: cosa c’è nel forziere del Granducato di Lussemburgo

«È questo il problema, non subiscono alcun controllo – commenta Maira Martini, esperta di flussi illeciti di denaro che lavora per Transparency International -. Questi registri sono utili solo dal momento in cui contengono delle informazioni. #OpenLux dovrebbe servire a tutti per darsi una mossa». Le voci contrarie a una riforma del registro per portare più trasparenza in Lussemburgo, si richiamano alla tutela della privacy. Ricorda Martini che le informazioni disponibili a chi controlla il registro omettono dati personali come l’ indirizzo di residenza. Si trovano nome, cognome, insieme a data e luogo di nascita. «Una società dovrebbe servire a investire, a far crescere l’economia. Se non volete che la gente sappia quanti soldi avete – dice Oliver Bullough, autore di Moneyland, un libro inchiesta del 2018 sul modo in cui gli ultraricchi eludono il fisco a livello globale – non aprite una società».

Le proprietà di famiglia in Marocco

A partire dal 2005, Stefano Martinazzo, dottore commercialista e forensic accountant (termine che definisce chi indaga le dinamiche interne alle aziende a livello contabile, economica e finanziarie per individuarne le anomalie, ndr), ha seguito per oltre quattro anni i soldi di Silvio Berlusconi. È stato consulente dei procuratori di Milano Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo nella ricostruzione del flusso di denaro attraverso cui il gruppo Mediaset ha acquistato dalle major del cinema americano i diritti per trasmettere in Italia film e storiche serie televisive come Happy Days. Le indagini si sono concentrate negli anni tra il 1994 e il 2003 e sono servite a istruire il processo noto come Mediatrade nel quale Berlusconi, da presidente del Consiglio in carica, è stato inquisito per frode fiscale, e successivamente condannato in via definitiva nel 2013 a quattro anni di carcere, convertiti in dieci mesi di servizi sociali.

«Abbiamo accertato che l’acquisizione di diritti televisivi è avvenuta mediante l’intermediazione di una “catena” di varie società prevalentemente costituite in paradisi fiscali», ricorda Martinazzo. Tra un anello e l’altro della catena, il prezzo si gonfiava. «La differenza tra il prezzo del diritto tv pagato alla major e quello pagato dal cliente finale Mediaset, cioè il profitto dell’operazione, era accumulato in questi paradisi fiscali», aggiunge il commercialista. Una struttura del genere non aveva alcun motivo economico per esistere, se non quella di avere una fiscalità più favorevole sui profitti, secondo quanto riscontrato dalla pubblica accusa. Martinazzo ricorda che le perizie avevano stabilito una cifra tra i 500 e i 700 milioni di dollari depositati nelle società offshore. «L’aver fatto transitare i diritti tv nella loro centrifuga non poteva che avere ragioni riconducibili all’evasione fiscale e, naturalmente, per accumulare “fondi neri”».

Daniele Lorenzano è stato uno dei manager che ha lavorato per le società del gruppo Fininvest. Il suo nome si lega a Berlusconi negli anni Ottanta, momento in cui ha iniziato a intermediare le acquisizioni dei diritti tv delle major americane. Dal 1979 almeno al 2001 è stato nella cerchia dei fedelissimi dell’ex Cavaliere. È stato condannato nell’ambito del processo Mediatrade insieme a Berlusconi e come l’ex presidente del Consiglio ha commutato la pena in servizi socialmente utili. «Mi ricordo di una testimonianza rilasciataci da Francesco Tatò, ex amministratore delegato di Fininvest negli anni ‘93 e ‘94, nella quale si affermava che i vertici del gruppo erano addirittura “angosciati” per gli ampi compensi riconosciuti a Lorenzano – prosegue Martinazzo -. Ha ricevuto una somma almeno pari a 20 milioni di dollari nel periodo 1994-2003».

La caccia al tesoro di Frank Agrama

La vicenda della frode fiscale del gruppo Mediaset non è ancora finita. Dal 2016 l’Internal Revenue Service (Irs) – il fisco americano – cerca di mettere le mani su 185 milioni di dollari del produttore americano di origine egiziana Frank Agrama, protagonista insieme a Lorenzano delle intermediazione per i diritti televisivi. Come ha raccontato Giovanna Faggionato su Domani, nel 2009 Agrama ha aderito a una voluntary disclosure con l’Irs, che da allora ha cominciato a scandagliare tra i conti svizzeri dell’ex intermediario di Berlusconi. Le società di riferimento di Agrama sono a Hong Kong, Malta, nelle Isole Vergini Britanniche e in altri paradisi fiscali. Alcune di queste hanno ricevuto denaro dalla Svizzera dopo che si è chiuso l’ultimo filone del processo nel 2016, con l’assoluzione del figlio di Piersilvio Berlusconi (vicepresidente di Mediaset) e Fedele Confalonieri (presidente). A febbraio del 2021, il tribunale civile di Milano ha respinto la richiesta di risarcimento dello stesso Berlusconi che voleva da Agrama 113 milioni di euro.

Quando nel 1994 Berlusconi è «sceso in campo», è stata costituita nelle Isole Vergini Britanniche una holding immobiliare, Najis Real Estate Sa, che nel 2003 si è spostata in Lussemburgo, portando con sé 3,6 milioni di dollari di proprietà immobiliari in Marocco. Lorenzano da anni vive infatti a Marrakech.

Non si conosce il nome del titolare della Najis dell’epoca, ma nel 2019 è comparsa una società fiduciaria che gestiva la società per conto delle figlie di Lorenzano, che erano minorenni. La terza figlia ancora non era nata quando Najis è stato spostata in Lussemburgo. Il trust di famiglia è uno strumento impiegato di frequente per evitare eventuali tasse patrimoniali e ritardi nell’acquisizione dell’eredità.

Oggi Najis ha un patrimonio di due milioni di dollari e un debito di 10,8 milioni di dollari, che è andato aumentando di anno in anno. Al registro dei titolari effettivi oggi si trova anche il nome dell’ex manager del Gruppo Mediaset. Almeno dal momento in cui è stata spostata in Lussemburgo, a rappresentare Lorenzano era Filippo Dollfus de Volckersberg, il nobile svizzero rinviato a giudizio in un procedimento per evasione fiscale, nel 2019, dove è accusato di essere a capo di una struttura con sedi a Lugano e Panama finalizzata a evadere il fisco. Lorenzano risulta essere uno dei suoi clienti, così come costruttori del calibro di Francesco Caltagirone Bellavista e Massimo Pessina, oppure gli eredi della famiglia Borromeo proprietari delle isole sul Lago Maggiore, Gilberto e Vitaliano.

L’imprenditore del gas, tra Azerbaijan e Turkmenistan

Altri genitori hanno lasciato solo ai figli la proprietà delle loro imprese lussemburghesi. Come l’imprenditore azero Baylar Mammadov, conosciuto come uomo d’affari che frequenta spesso la famiglia del presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, di cui però nessun giornale è stato mai in grado di nominare il nome di una società. Attraverso #OpenLux, invece, i giornalisti di Occrp sono riusciti a stabilire che sua moglie e i suoi tre figli sono i proprietari della Canley Finance Sa.

Quando è stata aperta, nel 2008, i figli di Mammadov avevano 17, 9 e tre anni. I bilanci di Canley mostrano che la società ha ottenuto un prestito da 21 mila dollari a nome di Baylar Mammadov: è l’unico riferimento all’imprenditore nella storia della società. Nel 2012 Canley Finance Sa ha acquistato sei milioni di dollari di quote in Unibank, il principale istituto di credito azero. Controlla inoltre un’azienda maltese, Lenstor Enterprises Ltd, di cui Baylar Mammadov è direttore. Da quando esiste – anno domini 2009 – ha ottenuto 43 milioni di dollari di appalti per il gas in Turkmenistan.

L’oligarca russo con cittadinanza bulgara, una villa in Francia e la società in Lussemburgo

Era il 2014 quando le autorità francesi avevano cominciato a indagare la lussemburghese Felicity International Sa, società coinvolta in una presunta frode milionaria. Il caso è stato abbandonato perché non si riusciva a scoprire le persone fisiche dietro alle società delle Isole Vergini Britanniche e di Panama che l’avevano posseduta fino al momento in cui sono state chiuse, nel 2011. La società possiede una villa dal valore di 25 milioni di euro nella splendida Cap d’Ail, località turistica della Costa Azzurra che si trova al confine con il Principato di Monaco.

«Una società dovrebbe servire a investire, a far crescere l’economia. Se non volete che la gente sappia quanti soldi avete non aprite una società»

- Oliver Bullough, autore di Moneyland

I nomi dei proprietari sono noti dal 2019, cioè dall’entrata in vigore del registro lussemburghese dei titolari effettivi. All’epoca dell’apertura, nel 2006, il più giovane dei tre aveva 15 anni. Sono i figli dell’uomo d’affari russo Sergei Adoniev, cittadino bulgaro da quando nel 2008 ha acquistato il titolo attraverso il sistema della vendita dei passaporti. Nel 2018 la Bulgaria è stata costretta a revocargliela dopo aver scoperto che era stato indagato dall’Fbi per traffico di cocaina dal Sudamerica ai confini tra Russia e Finlandia tra il 1999 e il 2000. Costretto a rientrare in Russia per evitare la condanna, ha costruito un impero nel settore delle telecomunicazioni grazie all’appoggio di uomini ritenuti molto vicini a Vladimir Putin.

L’imprenditore del gas messicano multato per evasione fiscale

Miguel Zaragoza Fuentes nel 1977 ha fondato il Grupo Zeta, conglomerato messicano che si occupa di estrazione del gas. Parte del gruppo è controllato da due controllanti lussemburghesi, Belgrave Sa e Vaurigard Sa, che secondo il registro dei titolari effettivi appartengono alla figlia teenager almeno dal 2019. Le due società lussemburghesi hanno un patrimonio da 73 milioni di dollari di cui fanno parte partecipazioni in società in Perù, Guatemala, Spagna, Paesi Bassi, Bahamas e Belize. Alcune di queste si sa che appartengono al Grupo Zeta ma altre non si sa se abbiano mai dichiarato nulla al fisco messicano. Due di queste condividono la sede legale con un’altra società del Grupo Zeta che il Guatemala ha sanzionato per evasione fiscale.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Jonny Wrate, Daniela Castro (Occrp)
Luc Caregari (reporter.lu)
Maxime Vaudano (Le Monde)

Hanno collaborato

Raul Olmons (MCCI)
Ruslan Myatiev⁩ (turkmen.news)
Mika Velikovsky (IStories)
Amra Džonlić, Karina Shedrovsky (Occrp ID)
Kelly Bloss (Occrp)

Editing

Luca Rinaldi

Foto di copertina

Occrp