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I profitti perduti sull’asse dell’elusione fiscale
Dall’Italia ogni anno escono profitti per 23 miliardi di dollari. Si traducono in perdite fiscali di oltre 6,5 miliardi: In Europa 257 finiscono nei “paradisi fiscali” interni all'UE
08 Febbraio 2021
Luca Rinaldi
Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito e Olanda. I Paesi dell’ “asse dell’elusione”. Così li ha ribattezzati Tax Justice Network in un recente studio che dimostra come gli Stati membri dell’Unione europea stiano perdendo qualcosa come 27 miliardi di dollari l’anno di imposte da parte delle società multinazionali statunitensi. Denari che avrebbero dovuto essere versati dalle stesse nei Paesi in cui generano profitto e che invece approfittando delle scappatoie concesse dalle legislazioni spostano profitti dentro i Paesi dell’asse, i quali garantiscono aliquote di imposta che possono variare tra lo 0,8% e il 10%. Certamente più convenienti degli oltre 35 punti percentuali imposti dalla Francia, dei 22 tedeschi o dei 25 italiani.

Nello studio condotto da Tax Justice Network si sottolinea come questi quattro paesi costino all’intera Unione europea dodici volte il bilancio del Consiglio europeo delle ricerche, ente in grado di finanziare più di 70 mila ricercatori e che ha nutrito sette progetti che si sono aggiudicati il Premio Nobel. Sono in tutto 115 i miliardi di dollari di profitti generati nella Ue ma spostati dalle multinazionali statunitensi tra Regno Unito, Svizzera, Lussemburgo e Paesi Bassi. In questo modo si sottostimano gli utili nei Paesi a tassazione più alta e si pagano meno tasse. «Insieme – scrivono gli autori del rapporto – i Paesi dell’asse dell’elusione sono responsabili della metà dei rischi di elusione fiscale di tutto il mondo». Questo solo per quanto riguarda le multinazionali statunitensi.

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#OpenLux

#OpenLux è un’inchiesta collaborativa, di cui IrpiMedia è partner, che parte da un database raccolto da Le Monde, reso ricercabile da Occrp sulle 124 mila società che popolano il registro delle imprese lussemburghese. Ha permesso di analizzare i nomi dei proprietari delle società registrate nel Granducato, finora schermati da prestanome e professionisti.

L’impatto dei “Paesi dell’asse”

In tutto in Europa, come rilevato da uno studio del National Bureau of Economic Research di Cambridge “The missing profits of Nations” (i profitti perduti delle nazioni), sono 544 i miliardi di profitti spostati all’estero, quello che viene detto “profit shifting”. Di questi, 257 miliardi di euro finiscono tra Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Belgio e Cipro: «Ogni 100 euro di profitti spostati all’estero 80 finiscono in questi sei Paesi», osserva lo studio rifacendosi anche a dati Ocse. Paradisi fiscali che garantiscono una pressione fiscale inferiore al 5%, ma che per dimensione dei profitti spostati fiscalmente incassano proporzionalmente più degli altri. I calcoli li fa Eurostat ed emerge come la raccolta da tassazione del reddito delle società valga il 6% del Pil del Lussemburgo, il 5,5% a Malta e Cipro e poco meno del 4% in Belgio e Olanda. In Italia, per prendere un parametro, è il 2%.

«Insieme i paesi dell’asse dell’elusione sono responsabili della metà dei rischi di elusione fiscale di tutto il mondo»

L'elusione fiscale

L’ordinamento tributario è ispirato al principio fondamentale che tutti partecipino alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva. L’elusione fiscale è tutto l’insieme di pratiche messe in atto da chi sfrutta le lacune e le imperfezioni del sistema normativo di riferimento per conseguire risparmi, indebiti, sulle imposte. Il fenomeno dell’elusione fiscale consiste dunque nell’aggiramento della normativa tributaria attraverso comportamenti che di fatto, a differenza dell’evasione fiscale, non violano apertamente le norme, ma che ne tradiscono i principi fondamentali.

Ma quanto vale, stando ai dati raccolti, il “profit shifting” per l’Italia? Secondo lo stesso studio sono 23 i miliardi di dollari di profitti spostati verso l’estero in Italia, 21 di questi andati a paesi dell’Unione Europea. Meta preferita dagli italiani il Lussemburgo, dove sono finiti 9,6 miliardi di dollari di profitti generati in Italia e spostati poi verso il Granducato. Segue Cipro con 8 miliardi, 5 in Irlanda, 3,4 in Olanda, 2 in Belgio e infine 700 milioni a Malta. Cifre che si traducono in una perdita fiscale per il Belpaese di 6,6 miliardi di dollari, vale a dire 6,6 miliardi di tasse in meno. Stessa cosa viene scontata anche a Berlino e Parigi: Germania e Francia portano all’estero rispettivamente 48,4 e 28,2 miliardi di dollari l’anno che si traducono un mancato introito fiscale di 14 miliardi per i tedeschi e 9,4 miliardi per i francesi.

Elusioni e opacità

Così grandi gruppi italiani approfittano dei meccanismi dell’elusione spostando profitti verso i Paesi a fiscalità privilegiata presenti all’interno dell’Unione Europea. Dalla Ferrero, con la sua Holding Ferrero International radicata in Lussemburgo dall’inizio degli anni ‘70, ai gruppi della famiglia Agnelli Fca ed Exor in Olanda, passando per altri grandi gruppi come Luxottica (la Holding Delfin che controlla il 32% del gruppo ha sede in Lussemburgo) e Tenaris, il colosso siderurgico della famiglia Rocca. Sede legale in Lussemburgo con la Techint, partecipata a sua volta dalla San Faustin, sempre della famiglia Rocca, con sede legale nelle Antille Olandesi. Nel 2017, ricordano le cronache, il gruppo ha risolto un contenzioso col fisco italiano che chiedeva 530 milioni di euro. La pratica si è chiusa col pagamento di 43 milioni.

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Baby-milionari in Lussemburgo

Nonostante siano minorenni, compaiono come titolari effettivi di ricche società. Sono figli di uomini d’affari che hanno conti in sospeso con la giustizia e cercano di nascondersi

Non finisce di certo qui l’elenco degli italiani in Lussemburgo: da una recente fotografia che il consorzio di giornalismo investigativo Occrp ha potuto scattare al registro imprese locale sono più di 5 mila i nostri connazionali che hanno aperto società, holding e finanziarie nel Granducato. Chi per attività economiche realmente radicate sul territorio, chi per approfittare dei meccanismi fiscali vantaggiosi. Questi ultimi spesso creati da un “sovranismo fiscale” degli Stati europei che nonostante 63 anni di Unione economica e 20 di moneta unica, non hanno ancora saputo armonizzare un sistema fiscale realmente unitario.

L’opacità del registro delle imprese lussemburghese è sempre stato un valore per chi è determinato a innescare questi meccanismi. Dal 2020 il cono d’ombra ha visto una diminuzione con la pubblicazione da parte della camera di commercio dell’elenco dei beneficiari effettivi. A oggi l’elenco risulta ancora incompleto: a un anno dalla sua creazione, dimostra un’analisi di Le Monde e Occrp espletata nel corso del progetto #OpenLux di cui IrpiMedia è partner, solo il 52% delle società lussemburghesi riporta il beneficiario effettivo (le autorità lussemburghesi sostengono invece che questa quota sia di circa l’88%).

Tuttavia, stando all’analisi di #OpenLux, il restante 48% delle società non ha dichiarato nessun beneficiario effettivo. 26 mila di queste, ammettono le stesse autorità del Granducato, sono in aperta violazione della legge, tanto che sono state segnalate alle autorità giudiziarie del Paese.

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CREDITI

Autori

Luca Rinaldi

In partnership con

Le Monde
Occrp

Infografiche

Lorenzo Bodrero

Editing

Lorenzo Bagnoli