14 Maggio 2020 | di Lorenzo Bagnoli
Il Forte Village Resort di Santa Margherita di Pula, in Sardegna, non è solo uno dei più esclusivi villaggi vacanze d’Italia, è anche uno tra i luoghi più gettonati per meeting istituzionali di imprenditori, politici e vip. Quasi una succursale estiva non ufficiale di Palazzo Chigi, già dagli anni di Silvio Berlusconi. È sede di vertici bilaterali, come quello tra Matteo Renzi e il presidente Xi Jinping nel 2016 e 2017; dei summit di Confindustria; delle Business School per diventare manager di alberghi (in collaborazione con la Luiss Guido Carli, l’università dell’associazione degli imprenditori); del più importante forum annuale del turismo nel Mediterraneo.
D’altronde il Forte Village è un’istituzione. È stato premiato per 22 volte come miglior resort di lusso al mondo, soprattutto grazie all’uomo che dal 1995 ne è l’anima: Lorenzo Giannuzzi, laurea ad honorem all’Accademia del turismo di Mosca nel 2007. Sono cambiate le stagioni e le proprietà, ma lui è rimasto sempre al suo posto. E ha visto il Forte Village diventare negli anni un tempio del potere, un angolo di paradiso dove parlare di affari mentre i figli giocano all’Academy del Chelsea, che ha scelto questa come sede della sua scuola calcio estiva.
Quando però le vicende economiche del Forte Village sembravano metterne in pericolo l’esistenza, proprio i suoi clienti più abbienti si sono mobilitati per comprarlo.
Oggi il resort è in mano a un’importante famiglia di oligarchi russi, con interessi nel settore petrolifero e in quello estrattivo e con un grande amore, apparentemente, per la Sardegna, tanto che hanno donato ad aprile 500mila euro per fronteggiare l’emergenza covid. È diventata la seconda casa dei più importanti uomini d’affari russi, che qui intrecciano le loro relazioni con le élite italiane. Anni fa nel suo conto corrente sono entrati soldi provenienti da quello che per diverse procure europee è stato per anni il meccanismo permanente di riciclaggio usato dal fisco russo e da alcuni magnati vicini al Cremlino per ripulire denaro di origine ignota e investirlo in Europa.
La gestione Mita resort srl
L’ascesa del Forte Village comincia tredici anni fa, nel 2007, quando è stato acquistato da tre fondi della Fimit Sgr (poi Idea Sgr), allora diretta dal manager Massimo Caputi. In contemporanea, il fondo immobiliare ha affidato la gestione del resort alla Mita resort srl, società oggi in liquidazione, le cui quote sono divise al 50% tra il Gruppo Marcegaglia e Andrea Donà delle Rose (famiglia nobile nel settore abbigliamento insieme ai Marzotto dal 2007). Fino al 2010 lo stesso Caputi è stato socio e membro del consiglio di amministrazione della società.
La vendita è stata gestita da Caputi insieme ad Emma Marcegaglia, dal 2008 al 2012 presidente di Confindustria e dal 2010 al 2019 alla guida dell’università Luiss, due istituzioni ancora molto legate al resort.
Quello stesso 2007, l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi aveva annunciato che il G8 del 2009 si sarebbe tenuto in Sardegna, precisamente a La Maddalena. La Mita resort si è aggiudicata una delle gare indette dalla Protezione civile nel 2008 per la gestione degli alberghi di lusso che avrebbero ospitato il maxi evento: presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi. Nonostante il noto amore per la Sardegna, il primo ministro decise all’ultimo momento di spostare il vertice a L’Aquila, dove c’era appena stato il terremoto.
Sull’affidamento delle opere in Sardegna, costate circa 300 milioni di euro, ha però indagato la Procura di Roma, scoprendo quella che sui giornali venne definita La Cricca, un «sistema gelatinoso» di corruzione e malaffare con cui costruttori vicini alla politica si spartivano le gare. Per Mita resort, non invischiata in quell’inchiesta, sono seguiti anni di contenziosi giudiziari con Protezione civile e Regione Sardegna: la vicenda si è chiusa solo nel 2017, con la restituzione dell’Arsenale de La Maddalena, ormai abbandonato all’incuria, alla Regione Sardegna (a cui toccherà bonificare), e un risarcimento da 21 milioni di euro alla Mita resort.
Questa disfatta economica ha messo in discussione l’utilità di Mita Resort per i suoi proprietari e gestori, che iniziano a pensare di venderla. A novembre 2012 Panorama scriveva che il Gruppo Marcegaglia stava razionalizzando i suoi investimenti, mentre la famiglia Donà delle Rose aveva da gestire un’inchiesta per evasione fiscale conclusasi nel 2013 con un patteggiamento da 164 mila euro. Le offerte per rilevare il resort non mancavano: due da gruppi russi, i Bazhaev e la Gazprom, una dalla Qatar Holding, veicolo di investimenti immobiliari dell’emirato. Alla fine l’hanno spuntata i Bazhaev con un’offerta da 180 milioni di euro, leggermente inferiore al valore stimato secondo la stampa locale, conclusasi nell’ottobre del 2014.
Cinque mesi prima, Emma Marcegaglia era diventata presidente di Eni, carica che non ricopre più dal 13 maggio. Una famiglia di petrolieri russi ha preso così il posto di quella che era appena diventata la presidente del più importante gruppo oil&gas d’Italia, su nomina del governo all’epoca guidato da Matteo Renzi.
I fratelli Bazhaev, per gestire il loro nuovo gioiello, si sono appoggiati a una struttura piuttosto intricata di aziende, e a dei soci implicati in vicende giudiziarie di una certa importanza.
Forte Village è infatti ufficialmente di proprietà della Progetto Esmeralda Srl, a sua volta di proprietà di una società lussemburghese, a sua volta controllata da una holding a Cipro, la Quarmine Limited. La Quaramine, come una matrioska, contiene altre tre società: una di maggioranza, una holding in cui, finalmente, compaiono i nomi dei Bazhaev, Musa e il nipote Deni. Le quote di minoranza sono invece spartite fra una fiduciaria italiana che fa capo a Rossano Ruggeri, indagato a Palermo per autoriciclaggio, e un’altra società completamente anonima registrata alle Isole Vergini Britanniche. Nulla di illegale, anche se l’assetto societario pare molto articolato per la gestione di un resort.
I soldi dalla lavanderia russa
Difficile valutare se i Bazhaev abbiano o meno fatto un affare, strappando un prezzo ritenuto fra i 10 e i 16 milioni più basso del valore reale del resort, ma non è la prima volta che al Forte Village arrivano soldi russi attraverso società con sede in paradisi fiscali.
Già all’epoca della gestione Mita Resort, infatti, clienti russi hanno fatto bonifici via società anonime con sede a Hong Kong, nelle Isole Vergini Britanniche, a Panama, in Nuova Zelanda. In tutto sono oltre due milioni di euro divisi in 50 pagamenti dal 2006 al 2012. Di questi 33 bonifici per un totale di 1,5 milioni di euro sono stati versati tra il 2011 e il 2012, quando Marcegaglia era presidente di Mita e di Confindustria. Le causali per questi bonifici sono estremamente generiche, e il Forte Village, contattato da IrpiMedia, non ha voluto rispondere nel merito. Queste società offshore si appoggiano su conti bancari della succursale lettone di Ukio Bankas, istituto di credito lituano che ha svolto un ruolo chiave nella Troika Laundromat, uno degli schemi che compone la “lavanderia russa” di cui abbiamo parlato nella terza puntata di Operazione Matrioska.
Per questo, nonostante l’assenza dei nomi dei proprietari, si può almeno stabilire che i soldi sono di provenienza russa.
La Ukio Banks, chiusa dalla Banca centrale di Vilnius per «operazioni sospette» nel 2013, è stata usata per aprire almeno 35 conti correnti di società offshore utilizzate per ripulire denaro. Secondo quanto scoperto dai giornalisti di Occrp, lo schema a cui partecipava la Ukios era gestito e congegnato da un istituto di credito russo, la Troika Dialog. Non è stata l’unica banca dei Paesi baltici che si è prestata all’operazione.
Lo schema prevedeva che i rubli dalla Russia arrivassero nei conti lettoni delle società offshore, qui diventavano Lats lettoni (l’euro è stato introdotto solo nel 2014) e potevano essere immessi nel mercato europeo. Senza una banca compiacente che avesse permesso questo primo passaggio, acquistare beni in Europa sarebbe stato più complicato, ecco perché Ukios è stata tanto importante.
Presunto ideatore dello schema di riciclaggio e fondatore della Troika Dialog è Ruben Vardanyan, filantropo russo-armeno che dal 2010 è tra le personalità di spicco del World Economic Forum di Davos, il tavolo più importante della finanza mondiale. Ha sempre negato di essere a conoscenza dello schema. Anche il Cremlino, lo scorso anno, in una nota ha dichiarato di essere del tutto estraneo alla vicenda Troika Laundromat.
Un incontro tra Vladimir Putin e Musa Bazhaev il 18 novembre 2019 – Foto: kremlin.ru
Chi ha incassato, come Mita resort, non ha commesso illeciti, ma non si è fatto scrupoli sull’origine dei soldi dei suoi clienti. Sarebbero invece dovuti scattare controlli antiriciclaggio presso gli istituti di credito d’origine e destinatari del denaro, cosa che non si è mai verificata.
Nel 2012, a lavanderia ancora attiva, Troika Dialog è stata acquisita dalla principale banca privata russa, Sberbank, il cui azionista di maggioranza è la Banca centrale moscovita. Sberbank è tra le «entità russe» sanzionate dall’Unione Europea dal 2014 perché accusata di aver finanziato organizzazioni filorusse durante l’annessione della Crimea.
La famiglia Bazhaev
I creatori dell’impero industriale dei Bazhaev sono quattro fratelli: Musa, Mavit, Isa e soprattutto Zia. Quest’ultimo è rimasto vittima di un incidente aereo nel 2000 mentre tornava da Kiev con il suo aereo privato, a bordo del quale viaggiava anche un giornalista investigativo, Artyom Borovik. Secondo una fonte dei servizi segreti russi citata in un articolo del New York Times uscito il giorno dopo l’incidente, Zia Bazhaev «aveva ricevuto minacce perché si era rifiutato di fornire armi ai ribelli della guerra in Cecenia». La famiglia è originaria di Grozny, dove ha ancora business importanti.
Dopo Zia, il timone delle aziende familiari è passato per lo più a Musa, il più grande dei fratelli. È lui a mantenere i rapporti con il Cremlino, è lui ad essersi aggiudicato importanti prestiti con le due principali banche di Mosca, VTB e Sberbank. In particolare con la VTB il rapporto dei Bazhaev sembra molto stretto: Quarmine Limited, la holding familiare di base a Cipro, tra il 2017 e il 2019 è finanziata dalla VTB, come dimostrano i 17 pagamenti da 350mila euro fatti con regolarità a favore della banca cipriota.
Il legame con il presidente Vladimir Putin sembra ancora saldo. L’ultima testimonianza è un incontro del novembre 2019 al Cremlino durante il quale Putin ha rinnovato il sostegno a un progetto che Musa Bazhaev sta conducendo nell’Artico per l’estrazione di palladio, un metallo prezioso le cui quotazioni nell’arco degli ultimi due anni sono salite alle stelle. L’imprenditore è anche nel Board of Trustee della Moscow State Institute of International Relations (Mgimo), l’università dei futuri diplomatici russi.
Tra le amicizie più importanti dei Bazhaev c’è quella con Arkady Dvorkovich, consigliere economico e vice di Dmitry Medvedev dal 2008 alla nomina a presidente della Fide, la lega mondiale degli scacchi, nel 2018. In carriere, Dvorkovich ha ricoperto ruoli nel Supervisory board sia di VTB sia di Sberbank.
L’anello di congiunzione tra i Bazhaev e la galassia della “lavanderia russa”
Finora la famiglia Bazhaev non è mai stata accostata a transazioni finanziarie opache. C’è un personaggio di secondo livello che però li avvicina molto al mondo di Ruben Vardanyan, il banchiere-filantropo ritenuto l’ideatore del Troika Laundromat.
È un avvocato, si chiama Alexey Komov, solo omonimo del ben più famoso uomo d’affari in contatto con ambienti della Lega. Questo Komov tra il 2010 e il 2014 è stato numero due dell’ufficio legale della Russia Platinum, la holding della famiglia Bazhaev. Nel novembre del 2014, un mese dopo l’acquisto del Forte Village da parte dei Bazhaev, Komov è andato a lavorare all’ufficio legale della fondazione RVVZ, organizzazione benefica familiare di Ruben Vardanyan e della moglie Veronika Zonabend. Non è stato possibile ottenere un commento da Alexey Komov riguardo le sue relazioni con Vardanyan e i Bazhaev.
Da quel momento in avanti il nome di Komov compare tra i sostenitori delle organizzazioni filantropiche del banchiere. È anche nel board of trustee di Re-Apaga, un progetto per migliorare il sistema per riciclare rifiuti elettronici in Armenia. Tra i fiduciari si leggono i nomi della signora Vardanyan e altri dirigenti delle organizzazioni filantropiche della famiglia. Lo studio in cui lavora dagli ultimi due anni è stato fondato dall’ex legale del Gruppo Renova, il cui presidente Viktor Vekselberg è un altro dei nomi importanti dell’Operazione Matrioska.
Vardanyan e Vekselberg sono stati entrambi fondatori della Skolkovo, la Silicon Valley moscovita, campus universitario all’avanguardia in cui si trova una delle più blasonate Business School del mondo. L’hanno fondata venti tra le personalità più importanti della finanza russa, alcuni dei quali amanti dell’isola dei Quattro mori. Tra questi, oltre ai citati Vardanyan e Vekselberg, anche Valentin Zavadnikov, altro magnate che ha fatto transitare pagamenti dalla lavanderia russa, questa volta per pagarsi vacanze a Porto Cervo, e Roman Abramovich, magnate dell’acciaio famoso in Europa più che altro per essere il patron del Chelsea.
Storia di un padrino politico in rovina: Viktor Ishayev
Viktor Ishayev è l’uomo di Stato a cui la famiglia Bazhaev deve l’inizio del suo successo. Tra il 1991 e il 2009 è stato governatore dello Stato di Chabarovsk, la parte di Russia affacciata sul mare di Okhotsk, a Nord del Giappone, ricca di materie prime. In questo ruolo ha aiutato i Bazhaev ad acquisire la raffineria regionale, perno sul quale è nato il loro impero, e li ha introdotti ai principali attori dell’oil&gas in Russia.
Ishayev aveva ottime relazioni: dopo la carriera come amministratore, è stato fino al 2013 delegato del presidente Putin in Estremo Oriente, poi, fino al 2018, vicepresidente di Rosneft, il colosso statale dell’industria petrolifera. Il gruppo era già allora guidato da Igor Sechin, dal 1994 tra i principali alleati di Vladimir Putin.
La carriera senza macchia di Ishayev si è però interrotta bruscamente il 28 marzo 2019 quando è stato arrestato con l’accusa di appropriazione indebita. Il sito di cronaca giudiziaria russo RAPSI riporta che il danno provocato all’azienda sarebbe di 80mila dollari, quindi non una cifra particolarmente alta, eppure Ishayev sarebbe ancora agli arresti domiciliari. Secondo il Moscow Times, dall’indagine risulterebbe che Ishayev avrebbe abusato della sua posizione in Rosneft per favorire aziende di famiglia, per lo più guidate dal figlio Dmitry.