#RussianAssetTracker

Gli effetti delle sanzioni sugli oligarchi
I patrimoni degli ultraricchi russi sono immensi, gli sforzi per “bloccarli” senza precedenti. Riusciranno però nell’obiettivo di interromprere l’invasione dell’Ucraina?
22 Marzo 2022

Giulio Rubino

In una conversazione con Ezra Klein nel suo podcast del New York Times “The Ezra Klein Show”, il giornalista russo-americano Masha Gessen, noto critico del governo Putin e attivista del movimento LGBT russo (lui stesso si definisce nonbinario e transgender) dice che «la narrativa che si propone riguardo le sanzioni ricorda la definizione della follia: è una strategia che non funziona, ma che l’Occidente si ostina a fare e rifare aspettandosi risultati diversi». Di sanzioni e delle loro conseguenze si parla moltissimo in questi giorni. L’obiettivo dichiarato, che non è affatto chiaro se si stia raggiungendo o meno, sarebbe quello di creare su Vladimir Putin pressioni tali da portarlo a riconsiderare i suoi piani in Ucraina, idealmente forzandolo a porre fine all’invasione.

La logica dietro questa strategia è abbastanza chiara e la scala delle sanzioni applicate questa volta è senza precedenti. Anche Gessen, nonostante il suo scetticismo, ammette che «forse la differenza quantitativa questa volta diventerà qualitativa, quando nel giro di alcuni mesi la vita in Russia cambierà del tutto». Ma ci sono almeno due limiti a questo approccio e ai risultati che può produrre: il primo ha a che vedere con la visione del mondo dei Paesi che stanno applicando sanzioni, e il secondo ha a che vedere con la reale efficacia della misura.

La guerra di Putin contro l’Ucraina, secondo le sue stesse dichiarazioni, non è tanto motivata dalla pressione a est della NATO, né da ragioni geopolitiche in senso classico. «L’Ucraina non è solamente un Paese confinante, ma una parte inalienabile della nostra storia, cultura e spazio spirituale», aveva dichiarato il presidente russo il 21 febbraio scorso.

La storia vista dal Cremlino

In una reinterpretazione personale della storia della “Grande Madre Russia”, dove colloca se stesso nella diretta discendenza di una serie di leader da Ivan il Terribile a Stalin, Putin sembra piuttosto considerare l’esistenza stessa dell’Ucraina come stato indipendente poco più di un “errore di percorso” commesso da Lenin, e ha invece predicato la sua visione di una Russia di stampo imperiale con tutta la forza della sua macchina propagandistica; fino al punto che la maggior parte degli analisti non riesce più a tracciare il confine fra quanto questa retorica sia uno strumento di manipolazione dell’opinione pubblica e quanto sia diventata, nel progressivo isolamento di un capo sempre più onnipotente e sempre più solo, una sua stessa radicata convinzione.

IrpiMedia è gratuito

Ogni donazione è indispensabile per lo sviluppo di IrpiMedia

È altrettanto difficile comprendere quanto efficace sia stata questa propaganda nel portare sostegno popolare a favore della guerra, che in Russia non è neppure permesso chiamare tale ma solo «operazione militare speciale». Gessen, che era a Mosca nei primi giorni dopo l’invasione, nota come già da subito si era creata una distanza incolmabile fra il tono del dibattito pubblico e le preoccupazioni espresse nel privato delle proprie case dai cittadini russi.

È comunque molto probabile, a giudicare dalla narrativa dominante sui media russi, che per l’opinione pubblica russa, le sanzioni siano lette semplicemente come una forma di ingiustificato attacco occidentale contro il loro Paese, e che abbiano l’effetto opposto di facilitare la propaganda di regime e stringere ancor di più il popolo russo attorno al suo leader. D’altra parte non è la prima volta che i russi sono costretti ad affrontare privazioni e difficoltà a causa delle sanzioni e se da un lato sono pronti ad affrontare un periodo difficile con molto più stoicismo di quanto non si veda in Europa, dall’altro per il momento si aspettano che questa “crisi” abbia una durata limitata e che la loro vita torni presto a quanto si sono abituati a pensare come “normalità”.

L’ondata di sanzioni che erano state emesse contro la Russia nel 2014 dopo l’invasione della Crimea, ad esempio, aveva lo scopo di contrastare l’avanzamento russo in quella regione, eppure oggi nessuno scenario di fine guerra sembra poter prevedere la restituzione di quella regione all’Ucraina.

Nelle ultime quattro settimane, da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina, si sono susseguiti quattro diversi pacchetti di sanzioni solo dall’Unione europea, oltre a quelle emesse da Stati Uniti e Gran Bretagna e un quinto pacchetto è allo studio mentre si scrive questo articolo. Anche diversi Paesi asiatici si sono uniti alle misure emesse dall’Occidente, incluso Giappone, Corea del Sud, Singapore.

Putin, dal canto suo, aveva risposto fin dal primo momento che la Russia era preparata a queste misure, e che non avrebbero avuto alcun effetto sul suo Paese. Il dato di fatto, almeno a oggi, è che l’invasione non si è fermata, che la pressione interna su Putin non sembra metterlo in difficoltà in alcun modo e che gli oligarchi stessi sembrano affrontare queste misure senza eccessive difficoltà.

Poliziotti russi arrestano un manifestante con un cartello che recita "No alla guerra" durante una manifestazione pacifista in Piazza Manezhnaya, di fronte al Cremlino, il 13 marzo 2022 a Mosca - Foto: Getty Images

Poliziotti russi arrestano un manifestante con un cartello che recita “No alla guerra” durante una manifestazione pacifista in Piazza Manezhnaya, di fronte al Cremlino, il 13 marzo 2022 a Mosca – Foto: Getty Images

Vediamo quindi di cercare di analizzare la reale efficacia della “guerra economica” con cui si sta cercando di isolare la Russia, provando soprattutto a chiarire chi davvero soffrirà maggiormente di questi provvedimenti

Grazie anche al lavoro #RussianAssetTracker, che IrpiMedia ha svolto insieme a OCCRP, The Guardian e altri 24 media partner, abbiamo visto un’infinita galleria di yacht multimilionari, ville di lusso, beni e proprietà degne di monarchi d’altri tempi, tutti sanzionati, congelati, bloccati.

La strategia dell’Occidente: guerra economica

Ma in primo luogo bisogna chiarire che cosa sia di base un provvedimento di sanzione. Ne abbiamo parlato con Floris Alexander, avvocato esperto di reati finanziari che per il suo lavoro ha spesso dovuto confrontarsi con i meccanismi delle sanzioni internazionali.

«Le sanzioni – spiega – in generale servono a mandare un segnale a tutti quelli con cui si interagisce (dalla donna delle pulizie al provider di internet, fino alla banca) che non è permesso avere transazioni con il soggetto in questione. Quindi in un mondo perfetto un soggetto sanzionato non potrebbe effettuare neppure la più semplice operazione bancaria».

La sanzione non ha nulla a che vedere con un sequestro o una confisca. La proprietà del bene sanzionato infatti non è messa in discussione, ma è congelata in una situazione per cui, ad esempio, le aziende non possono pagare i dipendenti in Paesi che applichino la sanzione, il bene non può essere venduto, gli yacht non possono comprare carburante e le ville resteranno presto senza luce e gas perché il loro proprietario non può pagare le bollette.

Le sanzioni sono inoltre studiate per impedire le forme più semplici di “aggiramento” della misura. Spiega Floris Alexander: «Quando le sanzioni vengono evase, le stesse sanzioni vengono in teoria applicate anche al soggetto che ha aiutato a evaderle. Per esempio, se Visa offre servizi a un individuo sanzionato, allora Visa potrebbe finire sotto sanzione a sua volta». Purtroppo l’efficacia di questo aspetto, cruciale in teoria per garantire l’impatto delle sanzioni, resta estremamente difficile da applicare. Infatti le capacità “investigative” dei singoli Stati, su cui ricade la responsabilità di applicare le sanzioni, hanno dei limiti oggettivi, e ci sono fin troppe giurisdizioni e intermediari per cui pecunia non olet che possono offrire potenziali alternative.

«Ci sono sempre scappatoie [alle sanzioni] e questi soggetti hanno a disposizione eserciti di avvocati, gestori patrimoniali, consulenti fiscali, tutti molto ben pagati, che riusciranno di sicuro a trovarle»
- Floris Alexander, avvocato esperto di reati finanziari

Ma nonostante l’enorme valore economico del patrimonio sanzionato, quello che vediamo non è neppure la punta dell’iceberg della ricchezza, e di conseguenza dell’influenza, degli oligarchi russi nel mondo. Ne vediamo un sottoinsieme, all’incrocio di “quello che è stato possibile trovare” con “quello che gli oligarchi hanno ritenuto sacrificabile”.

Infatti l’applicazione delle sanzioni non è stata né immediata, né perfettamente coordinata a livello globale. «Ci sono sempre scappatoie – spiega Alexander – e questi soggetti hanno a disposizione eserciti di avvocati, gestori patrimoniali, consulenti fiscali, tutti molto ben pagati, che riusciranno di sicuro a trovarle».

Vuoi fare una segnalazione?

Diventa una fonte. Con IrpiLeaks puoi comunicare con noi in sicurezza

In breve, nei cinque sei giorni che sono passati dall’annuncio di probabili sanzioni all’applicazione delle medesime, c’è stato un febbrile lavoro da parte di questo esercito di asset managers a libro paga degli oligarchi, che hanno fatto il possibile per portare “fuori dal raggio” delle sanzioni gli asset più preziosi dei loro clienti.

Ne è un chiaro esempio il caso di Abramovich, riportato da Reuters, che il giorno dell’invasione dell’Ucraina ha trasferito il controllo di un’importante società di diritto cipriota, la Ervington Investments Limited, che a sua volta contiene investimenti in altre società per decine di milioni di sterline, a uno dei dirigenti del Chelsea, Eugene Tenenbaum, descritto sul sito del Chelsea stesso come uno dei più stretti collaboratori di Abramovich.

«Mentre si decideva se escludere o meno la Russia dal sistema Swift – prosegue Floris Alexander – i russi non sono rimasti in paziente attesa di essere puniti, hanno agito subito e trasferito le loro proprietà altrove». Chi aveva asset da proteggere si è mosso insomma molto più tempestivamente di Europa e Stati Uniti.

Cos’è il sistema Swift

Swift sta per Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, ed è un’azienda cooperativa belga che offre servizi per transazioni finanziarie e pagamenti tra banche in tutto il mondo. I fondi trasferiti tramite Swift non “passano” per l’azienda in questione, che non gestisce i conti ma semplicemente trasferisce “i messaggi contenenti le istruzioni per i trasferimenti” tra i soggetti coinvolti nel pagamento.

In quanto cooperativa di diritto belga, è di base a La Hulpe, vicino a Bruxelles, ma è di proprietà di circa 3.500 aziende sparse in tutto il mondo. Gli azionisti eleggono un board di 25 direttori indipendenti, che rappresentano banche di tutto il mondo, che a loro volta controllano l’operato del management dell’azienda.

Swift è anche sotto il controllo delle banche centrali del G-10 (Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Regno Unito, Svizzera e Svezia), oltre che della Banca centrale europea.

Swift, per quanto aderisca a tutte le sanzioni emesse nei confronti della Russia, non controlla le singole transazioni che si appoggiano al suo sistema, la cui responsabilità resta a carico delle istituzioni finanziarie che le gestiscono.

Essendo usato per la maggior parte delle transazioni globali, essere tagliati fuori dal sistema Swift può avere conseguenze molto serie, anche perchè la maggior parte delle carte di credito mondiali, inclusa Visa e Mastercard, operano tutte tramite Swift.

A seguito delle sanzioni applicate dagli Stati Uniti alla Russia dopo l’invasione della Crimea nel 2014, la Russia aveva già però sviluppato un suo sistema alternativo, lo SPFS (Sistema peredachi finansovykh soobscheniy, o Sistema di trasferimento di messaggi finanziari), al momento usato solo nei trasferimenti finanziari interni al Paese.

#RussianAssetTracket

Dalle stalle alle stelle, il miliardario prestanome di Putin

Eduard Khudaynatov ha iniziato la sua carriera allevando maiali per poi entrare nel settore energetico. Ha una reggia a Mosca e Villa Altachiara a Portofino, tre yacht da capogiro, incluso la Scheherazade fermo a Massa Carrara

Ma anche a sanzioni già emesse, restano ancora discreti margini di movimento. «Il sistema Swift copre l’80% delle transazioni mondiali – continua Floris – ma resta comunque aperto quel 20% rimanente, le transazioni con l’Asia, e altre vie ancora».

Quindi, possiamo immaginare, gli asset che l’Occidente sta mettendo sotto sanzione in queste settimane sono quelli che gli oligarchi non sono riusciti a proteggere. Alcune proprietà, ovviamente, sono più difficili da nascondere, più evidenti, ma forse anche più “sacrificabili” di altre, soprattutto nella misura in cui ulteriori provvedimenti, come un divieto di espatrio o di viaggio, renderebbe comunque quei beni un po’ difficili da godere.

Ecco perché, forse, la Costa Smeralda ha visto un’enorme quantità di ville e yacht messi sotto sanzione. Molti dei loro beni nel nord della Sardegna infatti, sono noti a giornalisti e autorità locali già da molti anni. Per quanto il congelamento di questi beni possa rappresentare decisamente un fastidio a soggetti abituati a certi livelli di lusso, certamente non si tratta di un danno sostanziale. È, per gli oligarchi, una specie di piccola esperienza di lockdown, del tipo di quella che abbiamo vissuto tutti negli anni passati: non possono andare nelle loro case vacanza, non possono viaggiare in Europa con la stessa comodità di un tempo.

Pacchetti azionari e matrioske

Più complessa e rischiosa è la questione del congelamento di pacchetti azionari o quote di società. Gli oligarchi russi hanno da sempre cercato di esercitare la loro influenza tramite il controllo di quote significative di società, anche quotate in borsa. «La cosa più furba da fare, per un oligarca, è comprare pacchetti di maggioranza (anche tramite prestanome e fondi di investimento, nda) in aziende del loro stesso settore di interesse. Per esempio, comprare abbastanza azioni di un’azienda come FIAT per far sì che resti legata all’uso del gas russo», precisa Alexander. Ma il congelamento di pacchetti azionari così importanti può portare rapidamente al collasso completo di quell’azienda. Infatti, una volta che una quota significativa del capitale di un’azienda è sanzionato, il valore delle azioni rimaste comincia a crollare, e gli altri azionisti cercherebbero di vendere il prima possibile, innescando una svendita che porta alla bancarotta tutto il gruppo.

Negli anni passati, uno degli strumenti più efficaci per evitare sanzioni e confische è stato certamente quello dei cosiddetti “golden passports” o “golden visa”. Grazie a programmi che offrivano la residenza, o addirittura la cittadinanza, europea in cambio di investimenti, molti oligarchi si sono infatti assicurati la stessa protezione legale di cui godono i cittadini europei. Ma stavolta i Paesi sembrano agire in modo molto più coordinato. Sia il Portogallo che Cipro, due dei Paesi dove i sistemi di “vendita di passaporti” sono più sviluppati, hanno dichiarato che applicheranno comunque le stesse sanzioni ai loro “cittadini”, se questi sono sulle liste delle sanzioni europee.

Negli anni passati, i sistemi di vendita della residenza e della cittadinza in vigore in numerosi Paesi europei hanno garantito agli oligarchi la stessa protezione legale di cui godono i cittadini europei

Certo, delle scappatoie ci sono sempre, e nascondere la proprietà di beni e aziende non è poi così difficile. «Le strutture societarie usate nei paradisi fiscali sono come matrioske con moltissimi livelli- afferma Alexander – il beneficiario reale di una società potrebbe essere nascosto alla fine di decine di “scatole” societarie una dentro l’altra. Come i Panama Papers e molte inchieste del genere hanno rivelato, moltissimi ultra-ricchi, oligarchi inclusi, hanno a disposizione strutture di questo tipo, e quindi le loro operazioni offshore quotidiane non sono colpite più di tanto. A lungo termine, certo, perdono accesso a qualche centinaio di milioni, che sono comunque cifre considerevoli per loro».

Chiaramente, questo sistema “segreto” che protegge le loro operazioni più importanti non può essere usato per riconquistare le proprietà più visibili che già sono state sanzionate. Pagare, ad esempio, il capitano del loro yacht tramite una società offshore invece che direttamente rischierebbe di esporre tutta la loro struttura societaria.

Un effetto, quindi, le sanzioni certamente lo stanno avendo. Spiega Alexander: «L’effetto delle sanzioni può essere assimilato a quello di una crisi, e nelle crisi i primi a pagare sono sempre quelli che devono lavorare giorno per giorno per mettere il cibo sulla tavola». A soffrire delle sanzioni, per davvero, sarà in primo luogo quindi la classe media e medio-bassa russa, la stessa che, contemporaneamente, è priva anche di informazioni obiettive su quello che sta succedendo, priva della possibilità di protestare, priva, soprattutto, della possibilità di esercitare un’influenza efficace sul potere.

Perché le sanzioni comincino a fare effetto veramente sugli oligarchi quindi, sono necessarie o misure più severe e dirette, come confische vere e proprie, oppure tempi molto più lunghi, che la popolazione comune difficilmente potrà affrontare. Al contrario, la classe media russa presto si troverà a subire il pieno impatto delle sanzioni, che tutti gli analisti concordano sarà ben più terribile di quanto si possa immaginare in Europa.

Il presidente russo, Vladimir Putin, durante il comizio del 18 marzo 2022 allo stadio Luznkiki di Mosca per le celebrazioni dell'anniversario dell'annessione della Crimea - Foto: Getty Images

Il presidente russo, Vladimir Putin, durante il comizio del 18 marzo 2022 allo stadio Luznkiki di Mosca per le celebrazioni dell’anniversario dell’annessione della Crimea – Foto: Getty Images

Il prezzo del grano, l’accesso a pezzi di ricambio per auto, treni, aerei, tutte le commodities in Russia diventeranno sempre più care e razionate. «Quando quello che prima costava 10 euro arriva a costarne 20 chi ne soffrirà per primo? Chiaramente coloro che hanno solamente 10 euro in tasca – sottolinea Alexander -. Le sanzioni sono un sistema che colpisce prima alla base e poi via via sempre più in alto. Alla fine è normale che i più ricchi ne siano colpiti meno, ma è anche vero che questi hanno più influenza sul potere, almeno nelle strutture democratiche. Quindi a lungo termine sono questi che eserciteranno le pressioni maggiori sui soggetti che davvero vorremmo colpire, e la gente comune ne pagherà il prezzo. Purtroppo è sempre così».

Un braccio di ferro mondiale

Nelle prime settimane dell’invasione, racconta Masha Gessen al New York Times, era difficile per i cittadini russi anche rendersi conto della gravità della situazione che si andava delineando. Mentre il rublo già crollava, non si vedevano le scene di panico di fronte alle banche che ci si aspetterebbe in Occidente. Ma, in modo meno evidente, alcuni già cominciavano a muoversi. Gessen racconta che era diventato impossibile trovare schede di memoria o hard disk nei negozi di elettronica. I cittadini più informati, infatti, avevano chiaro che avrebbero presto perso l’accesso a grosse parti della rete, e si preparavano a fare backup di tutti i loro dati.

In conclusione, la strategia delle sanzioni resta come «una prova di forza tra Europa, Russia e Stati Uniti», commenta Floris Alexander, prova di forza che però forse nessuno vuole portare alle conseguenze più estreme. Infatti anche solo far ricadere le stesse sanzioni su qualsiasi soggetto che tratti ancora con i sanzionati rischia di spingere tutti i Paesi che già sono sotto sanzione ad agire come un conglomerato, un nuovo “blocco economico” che, fra l’altro, contiene una buona parte dei maggiori produttori di petrolio e gas.

Ma le potenziali conseguenze possono essere ancora più gravi: «Se il mondo continua ad attaccare il rublo – commenta Floris Alexander – la Russia prima o poi finirà in default. Ora, ovviamente ci sono riserve auree russe e altri asset fuori dalla Russia. Ipoteticamente l’Occidente si potrebbe rifare dei debiti russi su quelle riserve, ma allora ci sono buone possibilità di “svegliare l’orso dal suo letargo”. «La mentalità russa – conclude – è difficile da capire per l’Occidente. La Russia non ha paura del costo da pagare, anche in vite umane, per questa guerra. L’orgoglio nazionalista prevale e il prezzo della vittoria appare irrilevante».

CREDITI

Autori

Giulio Rubino

Editing

Lorenzo Bagnoli

Foto di copertina