Testi: Cecilia Anesi
Foto: Luca Quagliato
Dall’America Latina all’Europa, passando per gli Stati Uniti d’America e l’Australia la droga è diventata una stabile fonte di guadagno per la ‘ndrangheta. Ma non sono solo le rotte internazionali a portare denaro nelle casse dei clan: gli affari si curano anche sotto casa e la coltivazione di marijuana tra le impervie montagne dell’Aspromonte si affianca al redditizio traffico di cocaina, accorciando la filiera e con la possibilità di sorvegliare al meglio la produzione. Ogni pianta, stimano le autorità, può arrivare un valore di circa mille euro. Nella sola provincia di Reggio Calabria – che include buona parte dell’Aspromonte – quest’anno sono state sequestrate circa 33 mila piante e oltre 80 chili di marijuana già essiccata e pronta all’immissione sul mercato per un valore di circa 30 milioni di euro.
In lontananza si scorge San Luca. Conosciuto come “la mamma della ‘ndrangheta” questo borgo di poco più di 3.600 abitanti è diventato un simbolo nella storia della criminalità organizzata calabrese. Da qui arrivano alcune tra le famiglie più importanti attive nel narcotraffico mondiale.
Un toro sbarra il sentiero verso la fiumara Santa Venere
La Squadra di San Luca dei Cacciatori di Calabria pattuglia le campagne dell’Aspromonte
Aspromonte, 26 settembre
È un venerdì pomeriggio di fine settembre. L’afa è terribile. Si appiccica sulla pelle, sulle mimetiche, sotto ai baschi rossi. Ci sono oltre trenta gradi, con un tasso di umidità altissimo. Gli uomini dello squadrone eliportato Cacciatori di Calabria, basco rosso in testa, zaini e machete alla mano si avviano verso la fiumara che li separa dal bosco dove sono diretti. Istituito nel 1991 e replicato in Sardegna durante la stagione dei sequestri, compongono un corpo specializzato nel pattugliamento di zone impervie, in appostamenti e incursioni improvvise: cercano latitanti, covi e nascondigli di soldi e armi, perlustrano la montagna alla ricerca di tracce lasciate dalla ‘ndrangheta e, tra queste, ci sono anche le piantagioni di marijuana. Qui, dove gli alberi sono arroccati su pezzi di roccia che ricordano le dita di un gigante, e le fronde non lasciano intravedere il suolo, le piantagioni si scovano a naso.
L’elicottero a volte è un buon mezzo per trovarle ma, nella maggior parte dei casi qui in Aspromonte i Cacciatori le trovano quando, durante le perlustrazioni, sentono l’inconfondibile odore di marijuana. O quando, prima della fioritura, notano terrazzamenti e piazzole in mezzo al bosco o tubi dell’irrigazione fatti correre lungo i versanti della montagna.
Un toro si frappone tra i militari e la meta che devono raggiungere. Uno dei cacciatori rassicura: «Si sposterà». Dopo un richiamo e un gesto deciso l’animale si fa da parte tenendo costantemente sott’occhio la situazione. Stiamo camminando lungo la fiumara Santa Venere di San Luca, a pochi chilometri dal centro abitato. Alcuni mesi fa i Cacciatori hanno scovato i terrazzamenti creati tagliando alberi e arbusti lungo una parete di bosco in pendenza. A quel punto, con la stazione dei carabinieri di San Luca, hanno posizionato le fototrappaole. Servono per identificare e incriminare i responsabili, i coltivatori, ma a volte non si fa vivo nessuno per mesi ed è a quel punto che la magistratura firma un ordine di sequestro e distruzione sul posto. Un atto necessario per evitare che la marijuana venga immessa sul mercato, fruttando migliaia di euro alla criminalità organizzata calabrese.
I Cacciatori di Calabria camminano lungo la fiumara Santa Venere per raggiungere la piantagione da sequestrare
Il machete serve ai militari per farsi strada tra la vegetazione impervia e per eradicare le piante di marijuana
San Luca, 26 settembre
È tra queste montagne – in tutta la zona più impervia della Locride – che viene coltivata la maggior parte della marijuana in Calabria. Sul versante tirrenico dell’Aspromonte e nella piana di Gioia Tauro le piantagioni di certo non mancano (i numeri dicono tra le 4mila e le 10mila piante), ma essendo più facilmente individuabili la quantità è decisamente inferiore rispetto a quella coltivata qui.
«I numeri ci dicono che l’azione di individuazione e sequestro di piantagioni che, come Cacciatori, facciamo da oltre un decennio ha dato i suoi frutti», spiega il giovane tenente Ivan D’Errico, comandante dello Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria. Barba, occhi verde militare, marcato accento toscano. Siede in una stanza d’ufficio che ricorda la “stanza dei bottoni” delle strategie militari. Spoglia, ha solo un grande tavolo di legno e a fianco una cartina topografica, alta fino al soffitto, della Calabria.
Siamo nel quartier generale dello Squadrone, una città-caserma a Vibo Valentia. Ogni giorno da qui escono i fuoristrada verde militare, sputando fumo dal boccaglio che spunta dal cofano. Serve per non fare affogare il motore se i mezzi dovessero attraversare un fiume o fango.
«Parliamo della zona aspromontana, che è quella di nostra competenza. Qui prima le piantagioni erano più estese, con più piante. E si coltivava in zone meno impervie. Adesso, dopo questi anni di repressione, hanno iniziato a coltivare in appezzamenti più piccoli, e decisamente più nascosti», spiega D’Errico.
Nel 2020, i Cacciatori hanno sequestrato 28 mila piante all’interno di una ventina di piantagioni. Negli anni passati invece si sono trovate più piante in un minor numero di piantagioni, segno che si frammenta di più, così che i sequestri non possano mettere del tutto a rischio questa attività di coltivazione clandestina.
I Cacciatori entrano nella piantagione di marijuana dopo aver abbassato la rete e il filo spinato
San Luca, 26 settembre
Dentro la piantagione:
tre terrazzamenti e due piazzole ospitano 170 piante di marijuana
Ciò che rimane dopo l’eradicamento delle piante di marijuana tra i terrazzamenti della piantagione posizionata su un fronte di bosco a lato della fiumara Santa Venere
Aspromonte, 26 settembre
«Il territorio è impervio quindi da un lato fornisce riparo rispetto alla possibilità che venga trovata la piantagione dall’altro però deve comunque offrire le condizioni affinché la piantagione possa crescere. Chi coltiva opera delle vere e proprie modifiche del terreno, dei terrazzamenti e anche degli impianti di irrigazione attraverso dei tubi di plastica connessi a delle cisterne», spiega il capitano Luigi Garrì. La giovane età nascosta dall’alta uniforme, ha un compito per pochi: comandare la compagnia dei carabinieri di Bianco, che coordina dieci stazioni nel tratto più critico della Locride.
«Una volta individuata la piantagione cerchiamo di risalire a chi può essere il coltivatore. In molti casi si tratta di persone che avevano già coltivato stupefacenti, a volte hanno legami di parentela con ‘ndranghetisti. Sicuramente è un fenomeno in espansione che anche quest’anno ha conservato il suo trend», specifica Garrì.
Capitano Luigi Garrì
Chi coltiva la marijuana da queste parti, oltre ad avere un vero pollice verde e grande conoscenza del terreno e del territorio, nella maggior parte dei casi è un manovale. Si tratta di persone che hanno avuto poche alternative, cresciute tra queste montagne, e a cui la ‘ndrangheta ha promesso un guadagno (nemmeno così lauto) per coltivare marijuana. In molti casi, quando i coltivatori vengono arrestati, mantengono totale omertà rispetto a chi li ha ingaggiati e così sono gli unici a pagare con la detenzione.
La ‘ndrangheta nel frattempo fattura. Milioni di euro. In Aspromonte la coltivazione di piantagioni di canapa sativa è sempre più massiccia. Non è il vezzo di qualche contadino o qualche estimatore come poteva accadere per la varietà autoctona conosciuta da queste parti come “erba rossa calabrese” (per via dei “peli” rossi dell’infiorescenza). La coltivazione di marijuana qui è oggi una strutturata impresa di narcotraffico il cui scopo finale è il profitto da reinvestire nel sostentamente e nelle attività dell’organizzazione mafiosa. Lo sanno bene clan storici come gli Strangio e i Vottari di San Luca, oppure i Pesce, Bellocco e Piromalli per il versante della Piana.
La distruzione della marijuana in loco. Quando i carabinieri non riescono a identificare i responsabili della piantagione, l’autorità giudiziaria autorizza la distruzione dello stupefacente sul posto. Nel caso in cui invece i responsabili vengano identificati, le piante vengono eradicate e portate a spalla fino alla caserma, dove vengono messe sotto sequestro e poi portate ad incenerire
San Luca, 26 settembre
Il fuoristrada dei Cacciatori pattuglia le campagne sopra San Luca. A destra la fiumara arriva fino al mar Jonio
L’ingresso di una piantagione di marijuana nelle campagne di San Luca
La discesa per raggiungere una piantagione di marijuana rinvenuta dai cacciatori
San Luca, 27 settembre
Ricordando un po’ la vicina Albania, la Calabria è sfruttata come terra di coltivazione – anche grazie alle particolari condizioni climatiche – da quella stessa mafia che è diventata la principale importatrice di cocaina dalla Colombia, nonché la più grande distributrice mondiale della stessa nel mondo.
Anche grazie ai contatti con i paesi del nord Europa, acquisiti con il traffico di cocaina, e in special modo con l’Olanda, che la ‘ndrangheta può ottenere semi per coltivare massicciamente la marijuana in Aspromonte. Anche se ormai, spiegano gli investigatori, molti coltivatori si sono organizzati mettendo da parte i semi dell’anno precedente. Così da non doverli ordinare online e rischiando così di essere rintracciati.
Grandi capacità agricole, quindi, che se incanalate al di fuori del contesto criminale potrebbero diventare una vera risorsa per queste terre. Vi sono infatti sempre più imprenditori agricoli che in Calabria stanno prendendo in considerazione la coltivazione legale della cannabis come fibra tessile, per la fabbricazione di carta e materiali edili o come biocarburante. Proprio a luglio 2020, l’assessore regionale all’agricoltura Gianluca Gallo aveva incontrato una delegazione di produttori calabresi di canapa, poco più 200 aziende, per valutare le possibilità dello sviluppo di questa coltivazione e di una filiera virtuosa. Una filiera legale che per il momento resta ai margini ma che potrebbe offrire una valida alternativa al business delle mafie.

«La coltivazione di marijuana in Aspromonte è una delle prime fonti di reddito per la criminalità organizzata. Ogni pianta ha un valore medio di mille euro»
L’arcobaleno taglia il cielo e la strada sopra San Luca, arrivando a toccare Pietra Cappa. É ai piedi di questo masso, il monolite più alto d’Europa, che fu nascosto il corpo del fotografo Adolfo Lollò Cartisano rapito nel 1993 e fatto ritrovare solo dieci anni dopo
CREDITI
Autori
Cecilia Anesi
Foto e video
Luca Quagliato
Editing & Layout
Luca Rinaldi
Testi: Cecilia Anesi
Foto: Luca Quagliato
Dall’America Latina all’Europa, passando per gli Stati Uniti d’America e l’Australia la droga è diventata una stabile fonte di guadagno per la ‘ndrangheta. Ma non sono solo le rotte internazionali a portare denaro nelle casse dei clan: gli affari si curano anche sotto casa e la coltivazione di marijuana tra le impervie montagne dell’Aspromonte si affianca al redditizio traffico di cocaina, accorciando la filiera e con la possibilità di sorvegliare al meglio la produzione. Ogni pianta, stimano le autorità, può arrivare un valore di circa mille euro. Nella sola provincia di Reggio Calabria – che include buona parte dell’Aspromonte – quest’anno sono state sequestrate circa 33 mila piante e oltre 80 chili di marijuana già essiccata e pronta all’immissione sul mercato per un valore di circa 30 milioni di euro.
Un toro si frappone tra i militari e la meta che devono raggiungere. Uno dei cacciatori rassicura: «Si sposterà». Dopo un richiamo e un gesto deciso l’animale si fa da parte tenendo costantemente sott’occhio la situazione. Stiamo camminando lungo la fiumara Santa Venere di San Luca, a pochi chilometri dal centro abitato. Alcuni mesi fa i Cacciatori hanno scovato i terrazzamenti creati tagliando alberi e arbusti lungo una parete di bosco in pendenza. A quel punto, con la stazione dei carabinieri di San Luca, hanno posizionato le fototrappaole. Servono per identificare e incriminare i responsabili, i coltivatori, ma a volte non si fa vivo nessuno per mesi ed è a quel punto che la magistratura firma un ordine di sequestro e distruzione sul posto. Un atto necessario per evitare che la marijuana venga immessa sul mercato, fruttando migliaia di euro alla criminalità organizzata calabrese.
È tra queste montagne – in tutta la zona più impervia della Locride – che viene coltivata la maggior parte della marijuana in Calabria. Sul versante tirrenico dell’Aspromonte e nella piana di Gioia Tauro le piantagioni di certo non mancano (i numeri dicono tra le 4mila e le 10mila piante), ma essendo più facilmente individuabili la quantità è decisamente inferiore rispetto a quella coltivata qui.
«I numeri ci dicono che l’azione di individuazione e sequestro di piantagioni che, come Cacciatori, facciamo da oltre un decennio ha dato i suoi frutti», spiega il giovane tenente Ivan D’Errico, comandante dello Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria. Barba, occhi verde militare, marcato accento toscano. Siede in una stanza d’ufficio che ricorda la “stanza dei bottoni” delle strategie militari. Spoglia, ha solo un grande tavolo di legno e a fianco una cartina topografica, alta fino al soffitto, della Calabria.
Siamo nel quartier generale dello Squadrone, una città-caserma a Vibo Valentia. Ogni giorno da qui escono i fuoristrada verde militare, sputando fumo dal boccaglio che spunta dal cofano. Serve per non fare affogare il motore se i mezzi dovessero attraversare un fiume o fango.
«Parliamo della zona aspromontana, che è quella di nostra competenza. Qui prima le piantagioni erano più estese, con più piante. E si coltivava in zone meno impervie. Adesso, dopo questi anni di repressione, hanno iniziato a coltivare in appezzamenti più piccoli, e decisamente più nascosti», spiega D’Errico.
Nel 2020, i Cacciatori hanno sequestrato 28 mila piante all’interno di una ventina di piantagioni. Negli anni passati invece si sono trovate più piante in un minor numero di piantagioni, segno che si frammenta di più, così che i sequestri non possano mettere del tutto a rischio questa attività di coltivazione clandestina.
«Il territorio è impervio quindi da un lato fornisce riparo rispetto alla possibilità che venga trovata la piantagione dall’altro però deve comunque offrire le condizioni affinché la piantagione possa crescere. Chi coltiva opera delle vere e proprie modifiche del terreno, dei terrazzamenti e anche degli impianti di irrigazione attraverso dei tubi di plastica connessi a delle cisterne», spiega il capitano Luigi Garrì. La giovane età nascosta dall’alta uniforme, ha un compito per pochi: comandare la compagnia dei carabinieri di Bianco, che coordina dieci stazioni nel tratto più critico della Locride.
«Una volta individuata la piantagione cerchiamo di risalire a chi può essere il coltivatore. In molti casi si tratta di persone che avevano già coltivato stupefacenti, a volte hanno legami di parentela con ‘ndranghetisti. Sicuramente è un fenomeno in espansione che anche quest’anno ha conservato il suo trend», specifica Garrì.
Capitano Luigi Garrì
Chi coltiva la marijuana da queste parti, oltre ad avere un vero pollice verde e grande conoscenza del terreno e del territorio, nella maggior parte dei casi è un manovale. Si tratta di persone che hanno avuto poche alternative, cresciute tra queste montagne, e a cui la ‘ndrangheta ha promesso un guadagno (nemmeno così lauto) per coltivare marijuana. In molti casi, quando i coltivatori vengono arrestati, mantengono totale omertà rispetto a chi li ha ingaggiati e così sono gli unici a pagare con la detenzione.
La ‘ndrangheta nel frattempo fattura. Milioni di euro. In Aspromonte la coltivazione di piantagioni di canapa sativa è sempre più massiccia. Non è il vezzo di qualche contadino o qualche estimatore come poteva accadere per la varietà autoctona conosciuta da queste parti come “erba rossa calabrese” (per via dei “peli” rossi dell’infiorescenza). La coltivazione di marijuana qui è oggi una strutturata impresa di narcotraffico il cui scopo finale è il profitto da reinvestire nel sostentamente e nelle attività dell’organizzazione mafiosa. Lo sanno bene clan storici come gli Strangio e i Vottari di San Luca, oppure i Pesce, Bellocco e Piromalli per il versante della Piana.
La distruzione della marijuana in loco. Quando i carabinieri non riescono a identificare i responsabili della piantagione, l’autorità giudiziaria autorizza la distruzione dello stupefacente sul posto. Nel caso in cui invece i responsabili vengano identificati, le piante vengono eradicate e portate a spalla fino alla caserma, dove vengono messe sotto sequestro e poi portate ad incenerire
San Luca, 26 settembre
Ricordando un po’ la vicina Albania, la Calabria è sfruttata come terra di coltivazione – anche grazie alle particolari condizioni climatiche – da quella stessa mafia che è diventata la principale importatrice di cocaina dalla Colombia, nonché la più grande distributrice mondiale della stessa nel mondo.
Anche grazie ai contatti con i paesi del nord Europa, acquisiti con il traffico di cocaina, e in special modo con l’Olanda, che la ‘ndrangheta può ottenere semi per coltivare massicciamente la marijuana in Aspromonte. Anche se ormai, spiegano gli investigatori, molti coltivatori si sono organizzati mettendo da parte i semi dell’anno precedente. Così da non doverli ordinare online e rischiando così di essere rintracciati.
Grandi capacità agricole, quindi, che se incanalate al di fuori del contesto criminale potrebbero diventare una vera risorsa per queste terre. Vi sono infatti sempre più imprenditori agricoli che in Calabria stanno prendendo in considerazione la coltivazione legale della cannabis come fibra tessile, per la fabbricazione di carta e materiali edili o come biocarburante. Proprio a luglio 2020, l’assessore regionale all’agricoltura Gianluca Gallo aveva incontrato una delegazione di produttori calabresi di canapa, poco più 200 aziende, per valutare le possibilità dello sviluppo di questa coltivazione e di una filiera virtuosa. Una filiera legale che per il momento resta ai margini ma che potrebbe offrire una valida alternativa al business delle mafie.

«La coltivazione di marijuana in Aspromonte è una delle prime fonti di reddito per la criminalità organizzata. Ogni pianta ha un valore medio di mille euro»
CREDITI
Autori
Cecilia Anesi
Foto e video
Luca Quagliato
Editing & Layout
Luca Rinaldi