#PiratiDelMediterraneo

Il caso Bonnie B e la flotta contesa
Da un procedimento giudiziario si scopre il tentativo di uomini di mare di aggiudicarsi alcune delle navi protagoniste di episodi di contrabbando tra Libia, Malta e Italia dal 2015 al 2017
01 Luglio 2022

Lorenzo Bagnoli

DDal 2015 al 2017 tra Libia, Malta e Italia si è costituito un cartello di contrabbandieri che ha cercato di mettere le mani sul business dei prodotti petroliferi, uno dei più lucrosi in quel quadrante del Mediterraneo. In quei tre anni, il tema del contrabbando di gasolio è stato tra le prime preoccupazioni per aziende petrolifere, governi, organizzazioni internazionali. Erano moltissimi gli attori in gioco, tutti in competizione costante per mettere le mani su un affare che tutti sapevano era destinato a esaurirsi, almeno in quelle dimensioni. In quegli anni a Malta si sono anche aperte cause giudiziarie che riguardano la proprietà di alcune navi che hanno fatto parte della flotta di imbarcazioni sospettate di aver preso parte a traffici di gasolio.

Da anni le autorità internazionali cercano di disegnare l’intera filiera del contrabbando nel Mediterraneo centrale, dai venditori, ai broker, agli acquirenti. Pedine del sistema attraverso cui si sono arricchite anche organizzazioni mafiose italiane (in qualità di intermediari) e milizie libiche (in qualità di fornitori). Fin da subito Malta è stata lo snodo principale dei traffici, sia per la posizione geografica, sia per il suo ruolo di fabbrica della documentazione contraffatta che accompagnava i carichi di gasolio in una prima fase. Questa condizione ha come minimo offerto alle organizzazioni locali di costruire network criminali più strutturati al di fuori dell’isola. Come per la pesca del tonno, si sa che il tempo impiegato dal pesce per la migrazione – il momento in cui lo si può prendere – non è infinito. Sarà anche per questo che molti dei principali trafficanti, almeno le figure di livello medio-basso, vengono dal mondo dei pescatori maltesi.

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L'inchiesta in breve
  • Sono anni che le autorità internazionali cercano di disegnare il perimetro del cartello di contrabbandieri tra Libia, Malta e Italia. Gli anni d’oro del cartello sono stati tra il 2015 e il 2017.
  • In questi ultimi anni si sono sviluppati diversi casi giudiziari intorno alla proprietà di navi poi coinvolte secondo i report delle Nazioni Unite in presunti casi di contrabbando di gasolio.
  • La Bonnie B è una petroliera che è stata acquistata a novembre 2017 dalla società Daha Oils&Gas, di cui uno dei soci è Amer Abdelrazek, secondo Europol un contrabbandiere di gasolio. A firmare i documenti per la cessione è stato un imprenditore, Norman Spiteri, dopo però che si era dimesso dalla carica di direttore.
    Il venditore della nave, Nicolò Alì, contesta a Spiteri la frode. Il processo è in corso ma a febbraio Spiteri ha subito un primo congelamento dei beni per 3,5 milioni di euro. L’avvocato di Spiteri contesta fortemente l’accusa.
  • La Daha Oils & Gas ha acquistato la Bonnie B nel momento in cui l’altra società di Abdelrazek, Rema Trading, era bloccata in un altro procedimento giudiziario contro Graziella Attard. Tra i vantaggi per il cartello ci sarebbe stata la possibilità di utilizzare diverse navi poi coinvolte nei report delle Nazioni Unite.
  • Graziella Attard è un’avvocata che nel 2015 ha portato in tribunale un gruppo di imprenditori accusandoli di averla costretta a firmare una dichiarazione per cedere le sue imprese a degli investitori italiani. La sua macchina è stata data alle fiamme nell’ottobre del 2017. Del cartello avrebbe fatto parte anche Abdelrazek, che però nega.
La petroliera Bonnie B – Foto: MarineTraffic.com

La cessione della Bonnie B

La petroliera Bonnie B è stata indicata come «un’imbarcazione di interesse» per il contrabbando dal comitato di esperti delle Nazioni Unite nel report sulla situazione in Libia del 2019. La petroliera era stata comprata tra ottobre e novembre 2017 dalla Daha Oils & Gas, una società maltese. Valore dell’imbarcazione: 700mila euro. A pagare è stato un imprenditore di lungo corso a Malta con interessi soprattutto nel settore immobiliare, Norman Spiteri, che tra il 2013 e il 2017 ha anche fatto parte del consiglio di amministrazione della compagnia aerea di Stato AirMalta. Eppure già dal 19 ottobre 2017 i documenti depositati in un procedimento giudiziario dall’esito ancora in bilico a Malta riportano come proprietari di Daha Oils & Gas Amer Abdelrazek, uomo di mare egiziano che Europol ritiene legato al contrabbando di gasolio dalla Libia, e un secondo imprenditore maltese: Paul Cutajar. «Mi occupo delle navi, dell’equipaggio, delle riparazioni. Non mi occupo del business», ha spiegato Abdelrazek al telefono. Sostiene di non essere più nella società, per quanto invece dalla visura risulti ancora socio.

Spiteri, fino al gennaio 2018, è rimasto solo in qualità di segretario, cioè una carica amministrativa. Perché Norman Spiteri, che formalmente non poteva più rappresentare Daha Oils & Gas, ha comprato per conto dell’azienda una nave in seguito coinvolta in operazioni sospette? «Chiaramente – è stata la risposta via email dell’avvocato di Norman Spiteri – lei ha accesso agli atti processuali di cui mi scrive e quindi sa che il mio cliente sta contestando energicamente le accuse», ha risposto. «Le consiglierei di attendere l’esito del suddetto caso giudiziario prima di giungere a qualsiasi conclusione poiché la fonte delle sue informazioni potrebbe essere sospetta. Le risposte alle vostre domande sono riservate all’analisi indipendente e alla decisione finale del tribunale», ha concluso. Secondo quanto emerge dalle carte processuali, la causa riguarda prima di tutto il ruolo di Spiteri all’interno della società e la sua capacità o meno di firmare in qualità di direttore alcuni documenti che impegnavano Daha Oils & Gas all’acquisto di una petroliera.

Il venditore della Bonnie B, cioè il querelante di Norman Spiteri, è un imprenditore italiano, Niccolò Alì, citato nelle due principali operazioni italiane contro il contrabbando di gasolio, Dirty Oil e Vento di Scirocco (del 2017 e del 2020), ma mai rinviato a giudizio per mancanza di prove, come ha precisato l’imprenditore in una replica a IrpiMedia dopo l’uscita del primo articolo su Abdelrazek. Le indagini sono le stesse che hanno fatto scoprire le attività di Gordon e Darren Debono, due imprenditori maltesi al momento sotto sanzione negli Usa per contrabbando di gasolio, e gli interessi di cosa nostra etnea al business petrolifero.

La Bonnie B era stata armata per conto di Alì dallo stesso Abdelrazek, come conferma il comandante. È di proprietà di Alì dal gennaio 2017, secondo quanto risulta dai registri navali aperti. Nei piani dell’imprenditore italiano la nave avrebbe dovuto fare la spola tra Malta e Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, dove la società petrolifera Pinta Zottolo, tra i clienti di Alì, aveva un deposito fiscale. La Pinta Zottolo però nel dicembre 2016, mentre l’imprenditore chiudeva le trattative per l’acquisto della petroliera, ha subito il sequestro di 40 milioni di euro per «fittizie operazioni di denaturazione», si legge nell’ordinanza, cioè un sistema attraverso cui si faceva in modo che il gasolio sembrasse di una categoria diversa, con un regime fiscale agevolato. Dopo quell’episodio, Alì si è trovato con una nave dal costo di circa 20mila euro al mese che non riusciva a far lavorare. In quei mesi tra i clienti di Alì c’è stato anche Marco Porta della Maxcom Bunker, acquirente dei prodotti dei Debono al centro dell’indagine Dirty Oil. Nicolò Alì ha spiegato sempre in una nota ricevuta da IrpiMedia dopo la prima uscita di non essere mai riuscito a chiudere un affare con Gordon Debono, che in realtà era un suo concorrente in qualità di fornitore della Maxcom. Secondo Amer Abdelrazek, dopo l’acquisto di Daha Oils & Gas la nave è stata ferma per altri due anni. Poi, sempre Daha Oils & Gas, l’ha mandata in Turchia: «L’unico viaggio che ha fatto è stato per la demolizione», ha spiegato il comandante.

Navi ancorate a Hurd’s Bank, al largo di Malta – Foto: maltashipphotos.com (Lawrence Dalli)

La firma della discordia

La vicenda processuale tra Niccolò Alì e Norman Spiteri è cominciata per una questione economica: la società dell’imprenditore italiano sostiene di non aver mai incassato l’ultimo degli assegni per il pagamento della Bonnie B. Così è partita la prima causa, ora ritirata dal querelante. Nel preparare il materiale difensivo, Alì si è accorto che Spiteri firmava da direttore quando invece era ormai solo il segretario della società. La questione, per il querelante, diventa allora frode e non più mancato adempimento degli obblighi contrattuali: Spiteri secondo Alì non aveva i poteri per firmare quell’accordo. Così Alì ha sporto una seconda denuncia che, dopo un iniziale rigetto da parte del tribunale maltese, a febbraio ha portato al congelamento di 3,5 milioni di euro di proprietà delle due holding familiari di Spiteri. Queste due società nel luglio 2018 hanno effettuato un prestito da due milioni alla Daha Oils & Gas per mantenere attive le due navi della sua flotta: la già citata Bonnie B e la Jaguar. Anche quest’ultima ha concluso la sua vita nel 2019. Norman Spiteri ha fatto appello alla decisione del tribunale e la prossima udienza è prevista a luglio.

L'abbandono della Bonnie B e della Jaguar

Entrambe le navi della Daha Oils & Gas hanno avuto un caso di abbandono dell’equipaggio nella fase finale della loro vita. Nel caso della Bonnie B, l’episodio è stato registrato sul portale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) il 15 novembre 2018. Il 4 febbraio 2019 il sindacato ha preso contatti con i marittimi che hanno detto di non aver ricevuto paghe, né cibo. Secondo quanto osservato dai sindacalisti, «la proprietà dell’imbarcazione è cambiata oppure lo scafo nudo sarebbe stato dato a nolo». La pratica del noleggio dell’imbarcazione è molto diffusa nell’industria marittima e rende difficile rintracciare chi sia il proprietario del carico e di conseguenza il committente del lavoro per l’equipaggio. Infatti nel caso si legge che si tratta di una «disputa sul passaggio di proprietà». Il caso è stato tuttavia risolto quando a dicembre 2020 è stato liquidato il 72% delle paghe dei marittimi. Il caso della Jaguar, Jag dal luglio 2017, è invece ancora aperto, per dei pagamenti in arretrato. Secondo la scheda dell’Ilo, la nave è arrivata a Malta il 5 maggio 2019 per una serie di riparazioni. Il 6 luglio 2019 ha invece lasciato l’isola trainata da una rimorchiatore, per essere demolita ad Aliaga, in Turchia. Nella scheda dell’abbandono si legge di un’accusa per «demolizione irregolare» per la quale il governo di Ankara, però, dice di non essere stato in grado di raccogliere prove.

Dall’inizio della querelle giudiziaria con Spiteri, Alì ha cambiato diversi difensori, come si può ricostruire attraverso le carte giudiziarie. Durante l’ultima udienza, il 17 giugno, si è presentato senza avvocato, si legge nel verbale dell’udienza e a questo è dovuto l’ultimo rinvio. Kris Scicluna, l’avvocato che ha istruito la causa, ha spiegato di aver abbandonato il procedimento «per una scelta personale» e non per condizionamenti esterni. Un altro ex avvocato di Alì, contattato, non ha voluto chiarire per quale motivo avesse lasciato l’incarico e una terza non ha mai risposto alle domande mandate via whatsapp.

Vecchi contenziosi

A marzo 2017 Amer Abdelrazek stava già lavorando come procacciatore di navi per Nicolò Alì, ma questa volta attraverso un’altra società, Rema Trading. Una fattura dell’epoca dimostra l’acquisto da parte della società di Alì per conto della Rema trading di Abdelrazek di un carico di 2 milioni di litri di gasolio da trasferire sulla Bonnie B nella secca al confine delle acque contigue maltesi che in quegli anni è stata usata in diverse occasioni per consegne di prodotti petroliferi di contrabbando, Hurd’s Bank. Quell’acquisto è una forma di cofinanziamento della Rema Trading, in linea con le regole della sharia, la legge islamica, che impedisce la ricezione di prestiti in denaro, come dimostra la stessa email allegata. In sostanza, quindi, Rema gestiva l’approvvigionamento dai fornitori, la società di Alì invece la distribuzione del prodotto. Rema, da gennaio 2017, era però già impegnata in un’altra causa legale, durata fino alla fine di quell’anno, che ha sostanzialmente reso impossibile agire per la società. È in questo contesto che Abdelrazek, come si legge in un’email depositata a processo, ha ottenuto dalla società di Alì il passaggio del cofinanziamento alla Daha Oils & Gas, con l’obiettivo di continuare a lavorare.

La lunga causa che ha bloccato Abdelrazek in tribunale è stata intentata dall’avvocata Graziella Attard, fino al 2016 segretaria della Rema. «Non abbiamo più niente in sospeso con quella donna (Graziella Attard, ndr) dal 2017. Mi ha tolto tutto», è stato il commento di Abdelrazek alla richiesta di maggiori informazioni sul caso giudiziario che ha riguardato Rema Trading. L’avvocata nel 2015 ha depositato un esposto in cui dichiarava di essere stata costretta dalle sue controparti a cedere la direzione di due società a un gruppo italiano. Diceva di essere stata costretta a firmare «con la forza, con le minacce e con atti fraudolenti». Secondo la sua ricostruzione, le controparti, dodici in tutto, sarebbero state già d’accordo sulla cessione ai nuovi arrivati italiani, nonostante non esistessero rapporti commerciali precedenti. Tra i partecipanti a questo cartello, secondo la denuncia depositata da Attard, c’erano anche Amer Abdelrazek, suo fratello Khaled e Gordon Debono. «Ho lavorato per Gordon Debono nel 2012 per un paio d’anni», ha replicato il comandante al telefono. Alcune delle navi che la società italiana ha ottenuto da questo cartello di imprenditori – di cui avrebbero fatto parte anche Debono e gli Abdelrazek – sono state segnalate a partire dal 2016 per sospette attività di contrabbando.

Il 16 ottobre 2017, lo stesso giorno dell’omicidio di Daphne Caruna Galizia e tre giorni prima che Abdelrazek facesse il suo ingresso nella quote di Daha Oils & gas, la macchina dell’avvocata è stata data alle fiamme in un incendio doloso. La polizia all’epoca aveva suggerito che l’episodio potesse essere maturato nell’ambiente dei contrabbandieri di gasolio. Il mistero, però, ad oggi non si è ancora risolto e la diretta interessata non è più raggiungibile al telefono. «So che si diceva in giro di questo episodio, ma non ho mai visto documenti che lo provassero – ha commentato Abdelrazek -. Non è mai stata costretta a firmare dei documenti».

Contrabbandi di ieri e di oggi

Oggi il traffico via mare è molto meno fiorente di cinque-sei anni fa, annota il comitato di esperti delle Nazioni Unite nell’ultimo rapporto pubblicato, tuttavia non si può dire che si sia davvero esaurito. Sul sito di IRINI – la missione europea con il mandato di pattugliare le acque internazionali per impedire l’ingresso di armi in Libia, il contrabbando di prodotti petroliferi e il traffico di esseri umani – nel corso del 2020 e del 2021 sono apparse diverse notizie di imbarcazioni (per lo più turche) intercettate perché sospettate di trasportare prodotti petroliferi la cui esportazione non è stata approvata dalla National Oil Corporation (NOC), la società petrolifera statale libica. La Libia ha speso moltissimo denaro in sussidi pubblici per fare in modo di vendere carburanti raffinati a prezzi calmierati all’interno del paese. Una parte, però, grazie al prezzo bassissimo sostenuto dai sussidi, è diventata la materia prima del mercato nero.

Dal 2015 in avanti, il prodotto è uscito principalmente dai porti dell’ovest del paese – Zuwara, Zawiya e Abu Kammash – secondo quanto è stato possibile dimostrare finora. Questa circostanza rafforza le accuse contro la Brigata al Nasr, milizia che a Zawiya svolge il compito di Guardia costiera e di sicurezza armata alla raffineria cittadina. Sono stati i fornitori del cartello dei contrabbandieri negli anni d’oro del business. A Bengasi, nell’area sotto il controllo del generale Khalifa Haftar, l’uomo che dal 2014 sfida il governo di unità tenuto insieme dalle Nazioni Unite, il ramo locale della NOC ha cercato di diventare indipendente e ha autorizzato esportazioni senza tenere conto della volontà di Tripoli almeno fino al 2020. La NOC di Begasi costituiva un’alternativa più “grigia” per chi cerca prodotti a basso prezzo da importare in Europa. Oggi Haftar è appoggiato da Fathi Bashagha, premier voluto dalla Camera dei Rappresentanti di Tobruk, in contrapposizione del primo ministro nominato dalla missione delle Nazioni Unite a Tripoli, Abdul Hamid Dabeiba. Sono i due principali protagonisti degli scontri in corso oggi.

Il petrolio resta tutt’oggi la principale fonte di ricchezza libica e continua a dividere il paese. Scontri e chiusure degli impianti fanno oscillare la produzione da un minimo di 100 mila a un massimo di 700 mila barili al giorno, che vanno portati principalmente all’estero per essere raffinati e poi riportati in Libia per il mercato interno. L’instabilità perenne, data da una decennale guerra civile “a bassa intensità”, si sovrappone alla necessità di tenere attiva l’unica industria che veramente può funzionare ora nel paese, quella di gas e petrolio. In questo contesto è evidente che il contrabbando continua ad avere spazio.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli

Editing

Giulio Rubino