#PiratiDelMediterraneo

Migranti e gasolio, la rete degli armatori della flotta fantasma
Navi, società, equipaggi e contatti con cosa nostra: da Malta a Dubai passando per l’Italia. Così opera il cartello dei trafficanti di uomini e gasolio tra accordi e guerre interne
05 Novembre 2021

Lorenzo Bagnoli

APasquetta 2020 dodici migranti sono morti attraversando il Mediterraneo. I sopravvissuti sono stati riportati in Libia da un peschereccio appartenente a una flotta composta da tre imbarcazioni private, coinvolte in più occasioni dal gabinetto del primo ministro maltese in operazioni di questo genere. A coordinare le comunicazioni tra autorità maltesi e autorità libiche è stato Neville Gafà, da gennaio 2020 fuori dalle istituzioni maltesi ma sempre un punto di riferimento per i rapporti Malta-Libia: «Ho fatto tutto questo su istruzioni dell’Ufficio del Primo Ministro, dopo che il suddetto ufficio mi ha chiesto di aiutare attraverso il coordinamento diretto con il ministero degli Affari interni libico e la Guardia costiera libica – ha spiegato al giornale maltese Newsbook -. Mi è stato chiesto di farlo poiché sono stato coinvolto in queste operazioni negli ultimi tre anni».

Uno dei tre pescherecci privati intervenuti su richiesta dell’ufficio del primo ministro maltese, la Tremar , oggi continua a fare la spola tra Malta e Mazara del Vallo, città di una delle principali flotte pescherecce d’Italia dove ha anche sede il deposito di idrocarburi della Pinta Zottolo, coinvolto in varie inchieste sugli interessi di cosa nostra nel settore dei prodotti petroliferi.

Durante le operazioni di soccorso dei migranti avvenute a Pasquetta dello scorso anno, il comandante della Tremar era un certo Amer Abdelrazek. Egiziano di nascita, a Malta è titolare di due società armatrici: Daha Oil & Gas e Rema Fishing (diventata in seguito Rema Trading). A raccontare di essere al timone della barca era stato lo stesso Abdelrazek, intervistato dal New York Times. La barca – ha spiegato – non è intervenuta direttamente, è rimasta in acque internazionali in attesa di ordini. Però ha fatto parte della spedizione di salvataggio e poi di respingimento. A quello che un anno fa era il suo numero di telefono oggi risponde una persona che dice di non essere lui e di abitare in Turchia: «Da un anno continuano a domandarmi della stessa persona», scrive in arabo via WhatsApp. Nemmeno un vecchio datore di lavoro che ancora oggi si trova a Malta ha mantenuto i rapporti con il comandante, che non è stato quindi possibile rintracciare per porgli direttamente qualche domanda.

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Amer Abdelrazek è, insieme al fratello Khaled, l’uomo chiave per collegare l’episodio della strage di Pasquetta e il peschereccio Tremar alla rete dei presunti contrabbandieri di gasolio sulla quale sta indagando la Direzione distrettuale antimafia di Catania e al centro della quale sono rimasti, almeno fino al 2018, Gordon e Darren Debono, due imprenditori maltesi non accomunati da alcuna parentela e che negli anni sono diventati rivali, pur essendo parte di uno stesso cartello attivo proprio nel contrabbando di gasolio. Le forze dell’ordine europee che indagano su Malta ritengono Amer Abdelrazek un contrabbandiere di carburante, ma non accennano a ruoli nella gestione dei migranti.

L’uomo è collegato in particolare a Gordon Debono: tra il 2018 e il 2019 la società Daha Oils & Gas di Abdelrazek ha armato la Bonnie B , una delle navi nelle disponibilità di Debono e degli imprenditori con cui collabora

Legami in alto mare

Dal comandante della Tremar alle inchieste sul contrabbando di gasolio tra Libia, Malta e Italia. In mezzo, una rete di navi intercettate dalla Guardia costiera libica

Il Panel di esperti sulla Libia delle Nazioni unite indica la Bonnie B , smantellata nel 2019 ad Aliaga (Turchia), come una nave «d’interesse» in quanto appartiene a un gruppo di imbarcazioni che «mostrano rotte sospette che indicano attività illecite». In effetti la Bonnie B è una delle petroliere protagoniste dell’indagine Vento di Scirocco, condotta dall’antimafia di Catania, che nel gennaio del 2020 ha portato a quindici arresti. A dire di «averla messa in cammino» era stato Nicolò Alì, il quale considera la Bonnie B una sua nave.

Alì è un imprenditore petrolifero già nominato (ma non indagato) nell’operazione Dirty Oil, il primo capitolo dell’indagine antimafia catanese sui legami tra cosa nostra e i presunti contrabbandieri di gasolio maltesi e libici, scattata nell’ottobre dell 2017. Secondo le ipotesi di Vento di Scirocco, la Bonnie B era tra le navi impiegate da un gruppo di imprenditori spregiudicati con i quali erano in affari anche uomini vicini al clan Mazzei di cosa nostra catanese. L’organizzazione, secondo quanto riporta l’ordinanza di custodia cautelare, importava prodotti petroliferi libici senza accise, grazie al contributo di colletti bianchi che lavoravano per favorire l’organizzazione criminale.

La replica di Nicolò Alì

Dopo l’uscita dell’articolo Nicolò Alì ha scritto a IrpiMedia alcune precisazioni. La prima riguarda la sua posizione giudiziaria: non è mai stato oggetto di misure cautelari o sequestri, né in Dirty Oil (dove non è nemmeno stato rinviato a giudizio), né in Vento di Scirocco. La seconda riguarda la Bonnie B: Nicolò Alì spiega di averla venduta alla Daha Oil and Gas nel novembre 2017. Per la conoscenza di Alì «la Daha Oil and gas risultava essere rappresentata da Norman Spiteri (persona di alto profilo sociale, è stato anche Presidente dell’Air Malta) che risultava essere, oltre amministratore unico, socio unico e anche segretario della Daha Oil and Gas, quindi nessun collegamento con Amir [Abdelrazek, ndr]/Gordon De Bono». In merito al rapporto con quest’ultimo, Alì scrive: «Con Gordon De Bono, non ho avuto alcuna relazione, se non un intervento di mediazione di lite» con un’altra società petrolifera che «non pagava e Gordon, che a sua volta non rilasciava la merce per la vendita…». Aggiunge che in quel momento aveva «in corso una trattativa per la vendita della mia società (Gori Petrol Group) che dopo 22 anni di attività, era devastata dalla concorrenza sul mercato della Maxcom [Bunker, ndr], guidata dall’amministratore delegato Marco Porta (indagato per commercio illegale di gasolio, inchiesta Dirty Oil)».

Aggiunge inoltre che con Gordon Debono «nessuna attività è andata a buon fine, per vari motivi incidentali che si verificavano, che facevano ritenere non convenienti». Nicolò Alì ha fornito anche informazioni rispetto al rapporto con Darren Debono: «L’ho conosciuto nel 2016, credo prima dell’estate, poiché si faticava a tenere il mercato, Darren si è presentato con un prodotto certificato della NOC (società petrolifera di Stato della Libia) il prezzo proposto, mi permetteva di difendere il mercato». La dogana italiana non ha eccepito la validità del documento e in quel momento «non si parlava di attività illecite nella zona Libia, non esisteva nessun embargo internazionale». In seguito, continua Alì, la società nazionale libica «ha reso noto che nessuno era autorizzato a commercializzare il prodotto della NOC» e quindi il prodotto di Darren Debono era illegale: «Sembra che avessero rubato, o falsificato, anche i timbri e carta intestata per riprodurre i documenti in originale». «Quindi – prosegue – ho interrotto i rapporti». Visto che il prodotto del presunto contrabbandiere maltese «metteva in crisi il mercato», le major del mercato (come Eni, Exxon Mobil, BP o Shell) sono state stimolate «a fare una denuncia alle Autorità Giudiziarie», denuncia che ha innescato il processo Dirty Oil. «Vi ricordo che il sottoscritto godeva, e gode tutt’ora, della piena fiducia della major Exxon Mobil, dalla quale ho attinto le informazioni della circolare della NOC», precisa ancora Alì.

Gli armatori “nigeriani” e le navi intercettate dalla Guardia costiera libica

Daha Oils & Gas appare nella lista dei “partner” della Pak Maritime & Shipping Services Ltd, una società di navigazione con sede a Lagos, in Nigeria. Vista la penuria di petroliere, nel 2015 le associazioni di armatori greci e nigeriani avevano sottoscritto un accordo per la fornitura di 40 imbarcazioni che in due anni sarebbero diventate di proprietà dei nigeriani. Alcuni armatori greci hanno così scelto di entrare in società di navigazione in Nigeria. La Bonnie B appare ancora sul sito della Pak Marine nonostante sia stata già demolita. La società non ha risposto alle nostre richieste di commento.

Il caso di cui IrpiMedia ha già scritto riguarda la Temeteron, una petroliera abbordata da Abdelrahman al-Milad, il famoso Bija, allora capo della cosiddetta Guardia costiera libica, oggi alla guida dell’importante Accademia navale di Zawiya, nella Libia occidentale, nonostante sia sotto sanzioni delle Nazioni unite per le accuse di traffico di esseri umani. C’è poi la San Gwann, che secondo le indagini catanesi è stata «utilizzata anch’essa per caricare in Libia il gasolio di provenienza illecita». È stata fermata dal «governo di Tripoli» con a bordo «certificati della raffineria di Zawiya», sostiene l’imprenditore Nicolò Alì, intercettato nell’inchiesta Dirty Oil.

Abdelrahman al-Milad, noto come Bija, trae in arresto i membri dell’equipaggio della Temeteron – Foto: Facebook della Guardia costiera libica

La Bonnie B non è l’unica petroliera di proprietà di una società di navigazione con queste caratteristiche e finita sotto indagine in Italia o sotto osservazione degli esperti delle Nazioni Unite, utilizzata da Gordon Debono o da imprenditori in affari con lui. Diverse di queste navi sono state intercettate dalla Guardia costiera libica e accusate di aver contrabbandato prodotti petroliferi.

Il fatto che a essere fermate in Libia fossero le navi “in orbita Gordon”, impiegate direttamente dal trader o da suoi partner, sembra una conseguenza del conflitto interno al cartello tra i due Debono. L’operazione della Guardia di finanza di Catania Dirty Oil aveva già individuato contese e fermi di navi, soprattutto tra aprile e luglio 2016.

La nave petroliera San Gwann – Foto: Facebook della Guardia costiera libica

Una terza nave, la Distya Ameya, «era entrata nel porto di Zawiya, gestito dalle autorità di Tripoli, in attesa di risolvere il contenzioso aperto con la compagnia petrolifera National Oil Company (Noc, ovvero la società petrolifera nazionale libica, ndr), che l’aveva accusata di aver acquistato illegalmente un carico di 650 mila barili di petrolio dal governo transitorio di Tobruk e da una sua società sussidiaria che non godeva del riconoscimento internazionale», scrivono gli inquirenti.

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Il caso Bonnie B e la flotta contesa

Da un procedimento giudiziario si scopre il tentativo di uomini di mare di aggiudicarsi alcune delle navi protagoniste di episodi di contrabbando tra Libia, Malta e Italia dal 2015 al 2017

La città è ritenuta da tempo uno snodo fondamentale per il traffico di droga da «Marocco, Siria, Libano, Europa (Grecia e Italia meridionale) e persino Sudamerica», scrive l’analista Mark Micallef nel report del 2019 Sabbie mobili: le dinamiche mutevoli del traffico di droga in Libia lungo i confini costieri e desertici. «Alcune droghe sono consumate nel mercato locale ma un volume consistente viene ri-esportato lungo rotte marittime verso l’Italia meridionale e i Paesi balcanici come Albania e Montenegro», proseguiva Micallef. Tobruk ha un contesto politico particolare: è sede della Camera dei rappresentanti ed è il porto più vicino all’Egitto, potenza regionale che ha cercato più volte di intromettersi all’interno dello scacchiere libico. Tobruk è la capitale della fazione che sostiene il generale Khalifa Haftar, l’uomo che guida l’opposizione al governo centrale di Tripoli. Questa osservazione conforta l’ipotesi che Gordon Debono stesse cercando di ampliare la sua rete di fornitori nell’est della Libia e lascia pensare che qualcuno all’interno della rete dei contrabbandieri, oltre al gasolio, si sia dedicato al traffico di droga.

L’abbordaggio della Transnav Hazel

Uno dei primi abbordaggi della guardia costiera libica ai danni di petroliere di cui si ha notizia riguarda la Transnav Hazel, una delle più grosse imbarcazioni tra quelle coinvolte nel contrabbando. Due elementi della sua storia ritornano con quelle precedenti: il riferimento alla Nigeria e il ruolo di una società di trading con interessi nell’est della Libia. La nave in questo caso non è stata poi tenuta sotto sequestro dalle autorità libiche.

Tra il 21 e il 22 aprile 2016 la Transnav Hazel stava navigando nelle acque antistanti Zuwara, 70 chilometri da Zawiya, dove aveva appena caricato del gasolio da bettoline e pescherecci: «L’equipaggio aveva appreso che il carico fosse destinato allo scarico in Nigeria», si legge nei documenti dell’ispezione delle autorità portuali maltese. Tuttavia, prosegue il rapporto, «la partenza è stata ritardata dal momento che i marittimi aspettavano il pagamento dalle parti interessate»: il carico di carburante, quindi, non era stato pagato ai fornitori libici. Questi ultimi avevano così deciso di impedire alla nave di riprendere il viaggio. A coordinare le operazioni di carico della merce dalla costa di Zuwara era un agente marittimo libico, “Mr Saleem”. Secondo le memorie dei membri dell’equipaggio della Transnav Hazel, indiani e pakistanie, e raccolte dagli ispettori marittimi, Mr Saleem è salito in diverse occasioni a bordo della Transnav Hazel insieme a sei o sette uomini armati.

Lo stallo a largo di Zuwara si è interrotto quando Mr Saleem ha chiamato da Malta un amico che avrebbe fatto da garante del carico: l’imprenditore Paul Attard, di cui IrpiMedia ha già scritto nel 2018 poiché coinvolto in un traffico di hashish e perché ha trainato anche altre due navi coinvolte nel contrabbando di gasolio con la Sicilia. Attard non ha risposto alle nostre domande per questa inchiesta. Per quanto risulta dalle precedenti inchieste, è tra i maltesi più agganciati ai guardacoste libici e questo lo rende un elemento importante dei presunti traffici tra Italia, Malta e Libia.

Di fatto, Attard, proprietario della Patron Group, viene chiamato dai libici, in accordo con l’armatore, per prendere il comando della Transnav Hazel: «Quattro uomini – si legge nel report degli ispettori maltesi – sono stati messi a bordo dell’imbarcazione dall’armatore. Due libici, un egiziano e un maltese, in particolare il comandante David Bonello della Patron Group (la società è chiusa dal 2020, ndr). […] Per quanto compreso dal primo ufficiale, l’imbarcazione (Transnav Hazel, ndr) era nel pieno controllo di parti terze (“sequestrata”)». Il piano era di rimorchiare la petroliera in acque maltesi ma l’operazione di rimorchio è fallita perché il cavo di traino si è spezzato.

La nave petroliera Trasnav Hazel – Foto: fleetphoto.ru

La Transnav Hazel ha fatto ingresso nella zona contigua maltese scortata a breve distanza dalla Sea Patron. Un elicottero della marina militare dell’isola ha assistito a tutto e un pattugliatore dei guardacoste ha ispezionato la Sea Patron in cerca di armi, senza mai controllare la bolla di carico della Transnav Hazel, secondo le testimonianze dell’equipaggio raccolte dagli ispettori. Eppure era stata falsificata – non è specificato in che modo – dopo minacce e intimidazioni di Mr Saleem. Il rapporto degli ispettori maltesi non spiega la ragione del mancato controllo.

Un’ipotesi possibile è la collusione fra trafficanti e controllori: come spiegato da una fonte interna alle forze armate maltesi alla newsletter specializzata African Energy poco dopo l’omicidio di Daphne Caruana Galizia «la mancanza di controllo da lungo tempo indica che il contrabbando potrebbe essere stato favorito da protezioni politiche di alto livello».

Hurd’s bank, la secca dei trafficanti

I trasferimenti dei carichi di carburante dalle petroliere di piccole dimensioni a quelle più grandi destinate ai porti europei avvengono in un’area che si trova all’interno della zona contigua di Malta, Hurd’s bank, una secca a 16 miglia a sud est della costa maltese che per ragioni morfologiche rende semplici queste operazioni. Solo che la zona contigua è un’area fuori dalle acque territoriali ma dove uno Stato può esercitare poteri di controllo anche sulle navi che battono bandiere straniere. L’attività ispettiva non è tuttavia obbligatoria e va giustificata. Un Paese troppo zelante può quindi farsi una cattiva pubblicità agli occhi di broker e armatori per i quali ogni controllo è una perdita di tempo se in buonafede o un impedimento se in malafede . Il centro studi statunitense Hudson, di ispirazione conservatrice, nel 2015 scriveva che l’inerzia maltese su Hurd’s Bank è funzionale a mantenere in Libia «la guerra civile a lenta combustione in corso». Per il Tesoro americano, Hurd’s bank «è un noto luogo per trasferimenti marittimi illeciti». L’analista norvegese Andreas Hobbelin sul sito Finextra scrive a luglio 2021: «Almeno dal 2015, Russia, Venezuela, Iran, Siria, Libia e persino Corea del Nord, nonché organizzazioni terroristiche come Hamas e Hezbollah, hanno utilizzato Hurd’s bank per aggirare le sanzioni, in particolare quelle statunitensi».

Secondo quanto ricostruito dal Times of Malta attraverso una serie di testimonianze di ufficiali e ispettori nel 2018, Hurd’s bank è diventato il punto di riferimento dal momento in cui è stato possibile implementare i controlli a Malta: il fatto che le operazioni fossero fuori dalle acque nazionali «era visto con favore da parte nostra», spiega una fonte anonima all’interno del governo maltese.

La bolla di carico mai controllata indica che la società che spedisce il gasolio ha sede a Dubai, crocevia di proventi di origine sospetta secondo diverse inchieste che riguardano presunti crimini finanziari commessi da maltesi (vedi box di questo articolo), compreso Gordon Debono. Il Patron Group di Paul Attard è il destinatario ma l’indirizzo di notifica, cioè quello da avvisare una volta che il carico è consegnato, appartiene alla Volont Shipping and Trading Sa, una società indagata nel 2017-2018 dagli esperti Onu perché aveva cercato di stringere un accordo di fornitura di gasolio con l’entità “separatista” della National Oil Corporation (Noc), quella di Tobruk. Solo la Noc di Tripoli, infatti, è autorizzata a vendere petrolio e prodotti petroliferi dalla Libia.

Oggi l’armatore Paul Attard è in attesa di giudizio a Catania, dove è accusato di traffico di hashish. La Quest, la nave che aveva a bordo la droga, era stata trainata sempre da un altro suo rimorchiatore. Attard nega di essere responsabile del carico. MeridioNews ha scovato l’imprenditore maltese anche nell’indagine Borderless, condotta dalla Guardia di finanza di Catania nel 2019. L’obiettivo in quel caso era la nave Aquarius dell’ong Medici senza frontiere, accusata di smaltimento illegale di rifiuti e rinviata a giudizio, insieme a quattro persone, a marzo 2021. L’agente marittimo al centro dell’inchiesta, intercettato, parlava di un maltese «noto per le sue implicazioni in traffici criminali», riferendosi proprio ad Attard, come ha verificato MeridioNews.

Le doppie registrazioni dei pescherecci

Tra i più importanti partner di Paul Attard c’è un mediatore marittimo che in una vecchia intervista con IrpiMedia l’imprenditore maltese ha definito «il migliore che conosco». È Joseph O’Connor, irlandese trapiantato a Malta, titolare della società Britannia Shipping con alle spalle una lunghissima carriera: acquista ferri vecchi, li rimette a nuovo e li rivende sul mercato. Base delle sue operazioni è tal-Pont, uno dei moli di Marsa, il principale porto di Malta. Britannia Shipping ha armato decine di navi e tra loro, stando ai documenti giudiziari che riguardano un debito contratto dalla compagnia nel 2014 con le autorità doganali maltesi, intorno al 2010-2011 c’è anche la Anna Maria. Consultando il registro navale di Malta si scopre che la Tremar «in precedenza era stata registrata a Cipro come Anna Maria». Eppure per Malta gli unici due nomi dell’imbarcazione sono Tremar o, prima del 2018, Agostino Padre.

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Lo scopo della doppia o tripla registrazione delle imbarcazioni è quello di opacizzare la catena di controllo di un’imbarcazione per rendere impossibile alle forze dell’ordine ricostruire chi sia l’armatore in caso di sequestro.

Non a caso anche un altro peschereccio che ha partecipato alle operazioni di salvataggio e respingimento nel corso della strage di Pasquetta ha una doppia se non tripla registrazione: la Dar al salaam 1 al registro navale libico è battezzata infatti Mae Yamanye. Secondo fonti sentite dal giornalista del New York Times Patrick Kingsley ha anche un terzo nome: Maria Cristina, con Las Palmas come porto di riferimento.

Dal 1986 esiste una Convenzione Onu per la registrazione delle navi che tuttavia non è mai stata implementata dai Paesi membri. L’Organizzazione marittima internazionale (Imo) denunciava oltre 200 «registrazioni fraudolente» di imbarcazioni nel 2019. I casi più frequenti di registrazioni fraudolente avvengono presso registri navali di Paesi le cui autorità non sono mai state messe al corrente dell’esistenza di certe imbarcazioni. Un caso che ha fatto notizia nel 2017 riguarda 73 imbarcazioni battenti bandiera della Repubblica democratica del Congo e delle quali le autorità marittime del Paese non avevano alcuna idea.

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli

Ha collaborato

Marc Tilley

Infografiche & mappe

Lorenzo Bodrero

Editing

Luca Rinaldi

Foto

Uno scorcio del porto di Marsa (Malta), sede operativa della Britannia Shipping
Foto: Roberto Sorin/Shutterstock