Milano e Torino, le città scelte per le prime proiezioni del documentario di IRPI “Se potessi Tornare”: luoghi simbolici, in vario modo. Per l’espansione e il radicamento della criminalità organizzata al nord , per la storia di Maria Stefanelli raccontata nel documentario e, infine, per le vicende che in questi anni hanno coinvolto le figure femminili nei contesti mafiosi. Temi al centro dei dibattiti che hanno seguito la proiezione del docufilm, con relatori di spessore in grado di alzare il livello di conoscenza sul fenomeno.
L’idea alla base del documentario è semplice, ma potente: usare la tecnologia per riportare Maria nei suoi luoghi d’origine, dove non è più la benvenuta a causa delle sue denunce. Se alcuni luoghi non rievocano altro se non le terribili violenze subite, altri sono luoghi che Maria porta nel cuore, e in cui rivive un’infanzia felice e si commuove.
A Milano importante è stato il contributo portato dal presidente della commissione consiliare antimafia del comune di Milano David Gentili. Profondo conoscitore del fenomeno mafioso nella città, Gentili in questi anni è stato anche uno degli amministratori più attenti nel proporre misure in grado di contrastare l’avanzata delle organizzazioni mafiose nella capitale economica d’Italia. Non è un caso che nel corso della serata siano soprattutto emersi i fattori che hanno permesso, in modo particolare alla ‘ndrangheta, di radicarsi, fare affari e collezionare voti a Milano e in Lombardia.
La caparbietà criminale dell’organizzazione mafiosa ha avviato l’espansione sul territorio, la disponibilità del mondo imprenditoriale e politico ne ha permesso il radicamento. Ed è proprio da questi due mondi che arriva quel «capitale sociale» che la ‘ndrangheta è riuscita a mettere «a reddito» per i suoi scopi. Una definizione quella di «capitale sociale» dell’organizzazione mafiosa coniata dal professore Rocco Sciarrone, tra i relatori presenti a Torino, altro luogo simbolo, forse ancora più di Milano, della capacità della ‘ndrangheta di penetrare il tessuto sociale, politico ed economico.
Ma il 2019 è un anno che ci riporta alle donne che hanno pagato sulla propria pelle i soprusi della ‘ndrangheta: se la storia di Maria Stefanelli per una parte consistente si svolge a Torino, a Milano ricorre il decimo anniversario della morte di Lea Garofalo. Due donne accomunate nella scelta di uscire dal giogo mafioso per amore dei propri figli. Maria, seppur tra sofferenze e disagi ci è riuscita. Lo ha raccontato magistralmente Manuela Mareso nel suo libro “Loro mi cercano ancora”, che ha ispirato il nostro documentario. Lea non ha fatto in tempo e in una maledetta sera d’autunno del 2009 è stata uccisa alla periferia di Milano dallo stesso padre di sua figlia Denise.
Il pericolo vissuto da chi denuncia è ancora troppo elevato, lo riconosce anche Davide Mattiello, attuale consulente della commissione parlamentare antimafia ed ex deputato che segue da tempo il tema dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. Non sempre lo Stato riesce a proteggere chi decide di emergere dal mondo di sotto delle organizzazioni criminali: «ancora non c’è una normativa che sia veramente in grado di tutelare i testimoni di giustizia», cioè coloro che da vittime denunciano i soprusi della criminalità organizzata, ha detto Mattiello a margine della presentazione torinese. Mattiello ha anche denunciato l’attuale blocco della commissione parlamentare antimafia «organismo all’interno del quale una discussione come quella sui testimoni di giustizia dovrebbe nascere, crescere e tradursi in atti amministrativi».
Nell’anno del decimo anniversario della morte di Lea Garofalo l’auspicio è che questo documentario, così come il lavoro dei colleghi e della società civile che si occupa di questi temi, possa portare un contributo non solo al dibattito, ma anche alla vita di chi, come Maria e Lea, voglia decidere di intraprendere la strada della denuncia.
Foto: Un momento della proiezione di “Se potessi tornare” in una scuola di Reggio Calabria – IrpiMedia