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Lega nord: quegli incroci pericolosi col crimine organizzato
Nelle carte dell’antimafia degli ultimi dieci anni hanno fatto capolino spesso tesorieri e professionisti legati al Carroccio: tra vicende di riciclaggio e passaggi di società
12 Ottobre 2020
Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi

C’è un momento storico nella vicenda dei denari della Lega Nord di cui, sia all’esterno del partito, sia all’interno, si parla molto poco. Sono tre anni particolari, in cui il bilancio del Carroccio si erode significativamente. Un periodo che va dal 2012 al 2014: l’interregno di Roberto Maroni che ha segnato il passaggio dalla Lega di Umberto Bossi a quella di Matteo Salvini. Un momento di “pulizia”, come lo ha definito lo stesso Maroni, ma che sembra aver “ripulito” più le casse della Lega che non le sue strutture.

In quegli stessi anni le inchieste sulla colonizzazione della ‘ndrangheta al nord si fanno più martellanti. In controluce, da queste indagini emergono contatti tra Lega e ambienti vicini alla criminalità organizzata che gli investigatori hanno ritenuto, e in parte ritengono ancora oggi, meritevoli di attenzione.

Colazione indigesta

La principale vicenda giudiziaria che in questo decennio ha coinvolto la Lega Nord è l’inchiesta “Breakfast”, avviata dal procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nel 2009. Nell’estate di quell’anno Lombardo chiede agli uomini della Direzione investigativa antimafia di approfondire una serie di intestazioni fittizie di esercizi commerciali presenti in città e riconducibili alle cosche De Stefano, Condello e Tegano che si spartiscono Reggio.

De Stefano-Condello-Tegano-Libri, le cosche che si spartiscono Reggio Calabria
Le famiglie De Stefano, Tegano e Condello, insieme ai Libri, sono le cosche che costituiscono il cosiddetto mandamento di Centro, ovvero l’egemonia territoriale sulla città di Reggio Calabria. Il mandamento di Centro, così come emerge dalla sentenza del procedimento Meta, uno dei più importanti celebrati negli ultimi dieci anni sulla criminalità organizzata calabrese, comprende l’ampia zona urbana compresa tra il comune di Villa San Giovanni (a nord di Reggio Calabria) e il popoloso rione Pellaro (a sud della città dello Stretto). La spartizione si forma successivamente alla “pacificazione” che aveva segnato il termine della seconda guerra di ‘ndrangheta, scoppiata tra il 1985 e il 1991 e che ha lasciato a terra 700 morti, ridefinendo le strutture gerarchiche e organizzative della criminalità organizzata calabrese.

In seguito alla pacificazione il mandamento di Reggio è stato di fatto “retto” da un gruppo ristretto di soggetti, nonostante la formale suddivisione fra numerose “famiglie” del territorio reggino. Si tratta, in particolare, dei membri apicali dei casati di ‘ndrangheta dei De Stefano, Tegano, Condello e Libri, famiglie, queste ultime, che successivamente alla ridefinizione dei confini di competenza della singole ‘ndrine, come emerso dagli accordi siglati a chiusura della guerra di ‘ndrangheta, hanno dimostrato una capacità criminale superiore alle altre.

Affiora così, tra gli altri, il nome dell’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito, già sottosegretario dell’allora ministro Roberto Calderoli. Belsito, infatti, è indagato per riciclaggio: i pm di Reggio partendo dal “tesoro dei De Stefano” si imbattono nel cassiere del partito di Bossi. Il percorso dei soldi si incrocia con la vicenda degli investimenti dei fondi della Lega Nord tra Cipro e Tanzania. Il filo che porta gli investigatori da Belsito parte da Romolo Girardelli detto “l’ammiraglio”. Indagato per associazione mafiosa perché, si legge agli atti «ritenuto associato a elementi di primissimo piano della cosca De Stefano». Da qui si arriva a Milano dove oltre a personaggi noti nell’ambiente della destra estrema meneghina compare Paolo Martino, riconosciuto come una sorta di ministro del Tesoro per i De Stefano nel nord Italia.

L’asse caldo tra Reggio Calabria e Milano

Si incrociano così le indagini di Reggio Calabria con quelle di Milano partite per accertamenti su alcune segnalazioni di transazioni sospette redatte dall’antiriciclaggio della Banca d’Italia e monitorate tra il 2010 e il 2012. Nell’aprile dello stesso anno gli uomini della Dia arrivano così a bussare contemporaneamente alle porte della storica sede della Lega in via Bellerio e negli uffici, a pochi passi dal Duomo, dello studio Mgim. Liquidato nel 2015, Mgim a partire dal 2009 diventa una sigla ricorrente nelle inchieste tra Milano e Reggio Calabria. Qui, infatti, gli inquirenti trovano il sedicente avvocato calabrese Brunello Mafrici, consulente dello stesso Belsito e ritenuto dagli investigatori punto di collegamento anche con i personaggi delle cosche.

Si incrociano così le indagini di Reggio Calabria con quelle di Milano partite per accertamenti su alcune segnalazioni di transazioni sospette redatte dall’antiriciclaggio della Banca d’Italia e monitorate tra il 2010 e il 2012

Immediatamente dopo aver sequestrato i server dello studio Mgim, la procura meneghina procederà nei confronti di Belsito per appropriazione indebita aggravata scaturita proprio dalle segnalazione dell’antiriciclaggio di Bankitalia. Sono gli anni in cui vengono a galla le spese della “Family” del senatùr Umberto Bossi e degli investimenti del tesoriere in Tanzania e Cipro.
Paolo Martino: dalle cosche all'eversione nera, chi è il ministro del Tesoro della 'ndrangheta lombarda

Paolo Martino è ritenuto il referente della cosca De Stefano in Lombardia. Gli investigatori lo definiscono «un esponente di altissimo livello della ‘ndrangheta reggina. Uno di quei personaggi che ha ampiamente superato la fase della delinquenza “nera” per passare al livello della mafia imprenditoriale, con contatti ad alto livello economico e politico. Cugino dei capimafia Paolo De Stefano e Bruno Tegano gravita negli ambienti del crimine organizzato calabrese fin dagli anni Settanta: nel 1971 il primo omicidio, a sedici anni. Viene arrestato e condannato a nove anni e sei mesi dopo un periodo di latitanza. Scontata la pena grazie a una liberazione condizionale avvenuta sei anni più tardi l’uomo si inserisce nuovamente tra i ranghi della criminalità organizzata, in particolare tra quelli dei De Stefano.

Condannato per reati legati al narcotraffico a metà degli anni ‘80 e già allora definito “longa manus” di Paolo De Stefano, passa un altro periodo di latitanza tra Liguria e Toscana. Raggiunto dagli agenti del commissariato di Chiavari ai processi che lo hanno visto protagonista all’inizio degli anni ‘90 negherà ogni addebito e comunanza di interessi con i cugini De Stefano. Eppure le inchieste lo descrivono «quale “mente direttiva” di traffici di stupefacenti operati da varie famiglie calabresi sull’asse Reggio Calabria – Milano, con diramazioni in Liguria».

Un rapporto mai chiuso quello tra Martino e i De Stefano: gli investigatori nel 2009 lo pizzicheranno nuovamente nel milanese a casa di Carmelina Condello Sibio, amante del boss Paolo De Stefano da cui ebbe tre figli. Dalla stessa abitazione passarono una parte della loro latitanza anche tre uomini riconducibili alle cosche calabresi durante i soggiorni milanesi. Martino viene poi arrestato nel 2011 e condannato nel 2016 in via definitiva a 16 anni e quattro mesi nell’ambito dell’inchiesta Redux-Caposaldo della Direzione distrettuale antimafia di Milano.

Stando alle parole del collaboratore di giustizia Filippo Barreca lo stesso Martino, negli Settanta, coprì per un periodo la latitanza dell’ex terrorista nero Franco Freda, accusato di essere tra gli organizzatori della strage di Piazza Fontana del 1969. Freda fu poi assolto definitivamente dall’accusa nel 1987. Tuttavia la Cassazione nel 2005 scrisse che la stessa strage fu realizzata da «un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo» e «capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura», dichiarandoli però non più processabili in quanto «irrevocabilmente assolti dalla Corte d’assise d’appello di Bari». Una ricostruzione sempre smentita dallo stesso Freda.

Per la procura di Milano «la gestione della tesoreria del partito politico Lega Nord è avvenuta nella più completa opacità fin dal 2004 e comunque, per ciò che riguarda Belsito, fin da quando questi ha cominciato a ricoprire l’incarico di tesoriere. Egli ha alimentato la cassa con denaro non contabilizzato ed ha effettuato pagamenti e impieghi, anch’essi non contabilizzati o contabilizzati in modo inveritiero». Sono questi i primi passi dell’inchiesta sui fondi neri della Lega e anche i primi atti della “caccia al tesoro” dei 49 milioni di rimborsi elettorali indebitamente percepiti dalla Lega.

L’interregno di Maroni

L’interregno di Roberto Maroni si districa tra la “notte delle scope” del 12 aprile 2012 e l’elezione di Matteo Salvini a segretario federale del 7 dicembre 2013. Un fase iniziata con un discorso dello stesso Maroni che annuncia un vero e proprio “repulisti” interno al partito. «Sono giorni di dolore, ma sono giorni anche di rabbia – predicava il rottamatore del partito – per l’umiliazione che abbiamo subito, per l’onta che abbiamo subito di essere considerati un partito di corrotti». Ad ascoltarlo, a Bergamo, una platea di fedelissimi che imbracciava delle scope, simbolo del repulisti in corso. Tramonta così definitivamente l’epoca di Umberto Bossi, fino ad allora padre padrone della Lega Nord.

L’allora presidente della Regione Lombardia è uno dei personaggi più potenti del partito. Per quanto funesto sia il clima in casa leghista, da gestire c’è la partita Expo, dove Maroni manda a rappresentare la quota della Regione al suo uomo più fidato: l’avvocato Domenico Aiello. Legale di grande esperienza, Aiello nel giro di poco tempo gestisce molti dossier delicati in Lega diventando il vero e proprio avvocato del partito.

«La gestione della tesoreria del partito politico Lega Nord è avvenuta nella più completa opacità fin dal 2004 e comunque, per ciò che riguarda Belsito, fin da quando questi ha cominciato a ricoprire l’incarico di tesoriere. Egli ha alimentato la cassa con denaro non contabilizzato ed ha effettuato pagamenti e impieghi, anch’essi non contabilizzati o contabilizzati in modo inveritiero»
Ordinanza di custodia cautelare del tribunale di Milano del 23 aprile 2013

È durante questo interregno che il “tesoretto” dei bilanci del Carroccio sembra evaporare. Nel 2011 i bilanci segnavano 33 milioni di euro di liquidità e titoli a cui si affiancavano circa 26 milioni di contributi dello Stato e di persone fisiche e giuridiche. Il patrimonio attivo toccava quota 47 milioni. Tra il 2012 e il 2014, gli anni di Maroni segretario, la liquidità scende da 31 a 8 milioni di euro. Durante quei tre anni le spese legali aumenteranno da 300 mila a 3,1 milioni di euro, e gli “oneri diversi di gestione”, spese di cui non è possibile ricostruire l’origine, tocca quota 13 milioni.

Sono quelli gli anni in cui si accende la guerra interna al partito tra i fedelissimi di Bossi e gli uomini di Maroni. Tanto che uno degli ex parlamentari del Carroccio e legale di Umberto Bossi, Matteo Brigandì, vuole rivalersi per le sue stesse parcelle ancora da ricevere sui soldi presenti nelle casse del partito.

Ne nasce una guerra di carte bollate che si trascina ancora oggi in cui Brigandì è stato condannato a restituire al partito 2 milioni di euro, ma a sua volta è pronto nuovamente a battere cassa con la Lega di Salvini. In mezzo la strategia di Maroni e Aiello per evitare richieste analoghe a quella dello stesso Brigandì: la guerra intestina avrebbe rischiato di fare definitivamente a pezzi le finanze del partito così Maroni e Aiello optano per la creazione di un trust o una fondazione slegati dal partito per blindare una parte del denaro in cassa.

«Il trust non sarebbe servito a nascondere i soldi alla magistratura. Ma da altri soggetti che potevano rivalersi sul partito».

Roberto Maroni

Ex segretario Lega Nord

Il progetto prende corpo nel 2013 e compare in filigrana nella medesima inchiesta di Reggio Calabria che aveva coinvolto l’ex tesoriere Francesco Belsito, l’indagine Breakfast. È lo stesso Aiello (definito inizialmente «soggetto di interesse investigativo», poi mai indagato) a discuterne con uno dei professionisti poi riapparsi agli atti della recente inchiesta sulla Lombardia Film Commission per l’acquisto dell’immobile di Cormano, il notaio Angelo Busani.

Busani, non indagato, compare in una delle informative che compongono il fascicolo delle indagini sulla LFC per una segnalazione dell’Antiriciclaggio risalente al 2018 su due bonifici, totale 18 milioni di euro, partiti dai conti dello studio a quello del notaio Mauro Grandi, lo stesso che aveva rogitato gli atti per la compravendita del capannone della LFC. Il meccanismo, anche per gli investigatori, appare lo stesso della lavanderia: Grandi trasferirà quasi per intero la medesima cifra sui conti di una società cipriota partecipata da Sergei Tigipko, ex ministro delle Finanze ucraino e presidente della Banca nazionale ucraina dal 2002 al 2004.

Tornando al progetto del trust del tandem Maroni-Aiello, è il Fatto Quotidiano che dà conto, in un articolo del 2016 acquisito agli atti dell’inchiesta di Milano sulla LFC, dell’operazione allestita con l’istituto di credito di Bolzano Sparkasse: un trasferimento di fondi per 20 milioni dal partito alla stessa cassa di risparmio bolzanina. Busani dice di non averne saputo più nulla, ma nel 2019, rispondendo alle domande de L’Espresso, lo stesso Maroni, di fatto, non smentisce né l’esistenza del trust, né del trasferimento di denaro con la banca di Bolzano. L’unico elemento che contesta alla ricostruzione dei giornalisti è il fatto che il trust «non sarebbe servito a nascondere i soldi alla magistratura. Ma da altri soggetti che potevano rivalersi sul partito».

Di certo in pochi vogliono parlare di quei tre anni a cavallo tra il 2012 e il 2014. Nemmeno l’attuale tesoriere Giulio Centemero, che in una intervista rilasciata il 9 ottobre al Giornale dice di essere in possesso di una “superperizia” di una delle più importanti società di revisione al mondo in grado di ricostruire tutte le entrate e le uscite afferenti anche i famosi 49 milioni. Nel ricordare le spese di partito, però, Centemero balza a piè pari la fase della segreteria di Maroni, tanto che nell’intervista non compare nessuno dei protagonisti di questo interregno.

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Da Belsito all’affaire Film Commission: gli incroci pericolosi con la ‘ndrangheta lombarda

Quello compiuto nella gestione Maroni è stato un primo passo, dopodiché le strutture societarie che secondo gli investigatori si frappongono tra i soldi del partito e la loro destinazione si fa sempre più complessa. Da lì le inchieste più recenti.

Nella girandola di nomi, professionisti e società dell’inchiesta sulla compravendita dell’immobile della Lombardia Film Commission più volte il percorso degli investigatori, partendo da tutt’altra base, seguendo spesso l’eventuale reato di riciclaggio, incappa in vicende legate in passato alla criminalità organizzata.

Non sono solo rapporti di conoscenza e intercettazioni, ma guardando dentro le società perlopiù intestate a Luca Sostegni, definito una testa di legno per il commercialista Michele Scillieri, si vedono in controluce storie note di crimine organizzato all’ombra della Madonnina.

Si vedono in controluce storie note di crimine organizzato all’ombra della Madonnina.

Tra il 2008 e il 2019 Sostegni ha detenuto cariche in trentanove società, perlopiù come liquidatore e percependo compensi esclusivamente amministrando sette di queste. Tra queste trentanove spiccano per storia la Chiesa rossa costruzioni, il gruppo immobiliare i Girasoli, Edilwest e la stessa Andromeda.

Nelle prime due è passata una vecchia conoscenza del crimine meneghino, Domenico Coraglia, già coinvolto nella famosa inchiesta “Duomo Connection” di fine anni ‘80. Coraglia, vicino alla storica famiglia di ‘ndrangheta dell’hinterland di Milano dei Papalia e dei siciliani Carollo è poi emerso nell’inchiesta “Cerberus” della Guardia di Finanza all’inizio degli anni 2000 in buoni rapporti con l’uomo delle ‘ndrine a Milano Salvatore Barbaro. Nella stessa inchiesta compariva la Edilwest attiva nel settore del movimento terra. Allo stesso modo agli atti di un’altra inchiesta dell’Antimafia, “Redux Caposaldo”, a Milano emerge nuovamente perché legato al gruppo immobiliare I Girasoli. Quest’ultimo figura tra le società di cui Sostegni è liquidatore dal 2013.

Interrogato, lo stesso Sostegni ricorda davanti ai pm di Milano come sia proprio la “vicenda Coraglia” ad avvicinarlo a Scillieri: «Il gruppo (Girasoli, ndr) era entrato in una crisi irreversibile e il dottor Castellini, commercialista presso il quale aveva lavorato a lungo Scillieri – racconta Sostegni -, aveva fatto il nome di quest’ultimo come il professionista più indicato per risolvere il problema. Scillieri accettò l’incarico ed io fui nominato amministratore di sette-otto società del gruppo Girasoli, che faceva capo alla famiglia Coraglia».

Un passaggio dell’interrogatorio di Luca Sostegni 

Ma non è l’unica volta che Scillieri entra in una vicenda giudiziaria che in qualche modo si intreccia con gli affari di personaggi riconducibili alla criminalità organizzata radicati al nord. Il professionista, seppur non indagato, emerge nel corso delle indagini della direzione distrettuale antimafia di Milano nel 2014 in una inchiesta su quella che era una vera e propria banca della ‘ndrangheta. Protagonista dell’inchiesta è Giuseppe Pensabene, ritenuto capo della locale di ‘ndrangheta di Desio e condannato a 15 anni.

Da Seveso, in Brianza, Pino Pensabene coordinava uomini e operazioni di una struttura che era in tutto e per tutto una banca abusiva utile per affiliati e imprenditori in difficoltà (poi taglieggiati). I primi se ne servivano per alimentare la cassa dei detenuti, i secondi per ricevere prestiti con tassi usurai che variavano dal 15 al 20%.

Il nome di Scillieri compare perché, scrivono i pm, «si era deciso di stabilire il domicilio delle società» amministrate dai prestanome dello stesso Pensabene negli uffici di Scillieri. Nel corso della stessa indagine Scillieri è stato anche intercettato dagli investigatori al telefono con uno di loro, e nominato in seguito amministratore della Coimpre, società di cui Scillieri era tra i proprietari con la sua Effe V. srl. Le teste di legno di Pensabene, scrivono i pm, la acquisiscono dai precedenti proprietari, tra cui lo stesso Scillieri, «per le necessità dell’associazione criminale, ed in particolar modo per far confluire nel suo patrimonio i beni immobili acquisiti con capitali illeciti».

CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Luca Rinaldi

Infografiche

Lorenzo Bodrero

Editing

Giulio Rubino

Foto

Pierre Teyssot, Eugenio Marongiu/Shutterstock