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Le offerte della Chiesa cattolica negli scrigni di Credit Suisse
Suisse Secrets: in che modo Credit Suisse ha preso parte agli investimenti speculativi del fondo gestito dalla segreteria vaticana
25 Febbraio 2022

Lorenzo Bagnoli
Gianluca Paolucci

Tra i conti segreti di Suisse Secrets, c’è anche l’Obolo di San Pietro per le opere di carità del Papa, il principale collettore delle offerte dei cattolici al Santo Padre gestito dalla Segreteria di Stato vaticana. L’Ufficio del Revisore Generale dell’Istituto per le Opere di Religione (Ior), la banca vaticana, nel 2019 denunciava che una parte dell’Obolo «era stata impiegata in fondi che, a loro volta, investivano in titoli di cui il cliente (cioè lo stesso Vaticano, ndr) non era messo a conoscenza» e in fondi speculativi offshore. Tra le operazioni contestate c’è stato l’acquisto dell’ex sede dei magazzini Harrod’s a Sloane Avenue, a Londra, dal valore complessivo di 350 milioni di euro, perfezionato tra il 2014 e il 2018. Il palazzo è stato poi rivenduto dal Vaticano nel gennaio 2022, con l’obiettivo di chiudere la compravendita definitivamente nel prossimo giugno.

Dalla revisione dei conti del 2019 e da altri procedimenti civili cominciati a Londra nel 2020 è scattata poi un’indagine del Tribunale della Santa Sede che a luglio 2021 ha ottenuto il rinvio a giudizio per dieci indagati. Il processo è ancora in corso. I magistrati vaticani contestano truffa, peculato, abuso d’ufficio, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio, corruzione, estorsione, pubblicazione di documenti coperti dal segreto, falso materiale di atto pubblico, falso in scrittura privata. Tra gli imputati c’è il cardinale Giovanni Angelo Becciu, l’ex numero tre del Vaticano (in particolare per peculato, abuso d’ufficio in concorso e subordinazione), insieme altri alti funzionari della Segreteria di Stato vaticana oltre ai finanzieri esterni alla Santa Sede Gianluigi Torzi, Enrico Crasso e Raffaele Mincione. Becciu ha reagito all’uscita di Suisse Secrets con una lettera in cui lamenta una descrizione scorretta dei fatti che lo riguardano e specifica che il conto dell’istituto di credito svizzero è della Segreteria di Stato e non suo. Becciu aveva spiegato ai giornalisti «di non aver mai favorito membri della famiglia o altre persone attraverso donazioni di fondi Vaticani di qualunque genere».

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Quando Svizzera e Vaticano smisero di dialogare
C’è stato un tempo in cui il Vaticano e la Svizzera non andavano d’accordo. Era la seconda metà dell’Ottocento e la Confederazione elvetica, ancora giovane (è stata fondata nel 1848), subiva l’influenza delle politiche anticlericali tedesche, dopo la sconfitta dei cantoni cattolici. Nel 1873 i rapporti si sono interrotti del tutto, almeno ufficialmente. È durante la Prima Guerra Mondiale che sono invece ripresi. Nel 1915 il diplomatico Luigi Maglione era stato inviato come rappresentante della Santa Sede presso la Conferenza delle Nazioni, l’antenata dell’Onu, per cercare di trovare una soluzione al conflitto. Il diplomatico nel 1920 è riuscito a ristabilire i contatti tra Svizzera e Vaticano, che da allora sono diventati sempre più stretti. Maglione ha anche trasformato la chiesa di Friburgo nella cattedrale della diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo dal 1924-25. Nel Cantone di Friburgo per secoli la stragrande maggioranza della popolazione è stata cattolica ed è lì che nel dopoguerra, ricorda lo storico Jean-Pierre Dorand, alcuni criminali nazisti hanno trovato riparo grazie all’aiuto delle gerarchie ecclesiastiche. Il cantone è ad oggi il vero centro dei legami della Svizzera con il mondo cattolico, anche nelle relazioni finanziarie.

«L’investitore era Credit Suisse Ag»

Grazie a Suisse Secrets è possibile oggi ricostruire anche il ruolo di Credit Suisse – che secondo gli accertamenti del Vaticano ha gestito fino al 77% dei fondi della Segreteria di Stato – nella vicenda del palazzo di Sloane Avenue. Un ruolo rimasto fuori dalle indagini e dal processo attualmente in corso in Vaticano, ma tutt’altro che secondario, che va al di là delle responsabilità di Enrico Crasso, il banchiere che per conto di Credit Suisse ha tenuto i rapporti con la Segreteria fin dagli anni Novanta

Un po’ di storia: il conto a Credit Suisse viene aperto dal Vaticano nel 1930. Inizialmente, ad alimentarlo – lo spiega una nota dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa) in risposta alle richieste di chiarimenti formulate per questa inchiesta – sono le «compensazioni» dello Stato italiano alla Santa Sede decise con i Patti lateranensi. La stessa nota spiega come «il conto è utilizzato per la prudente gestione del patrimonio della Santa Sede (liquidità e investimenti) per perseguire la missione del Santo Padre».

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Secondo Wrm Group, la holding del finanziere Raffaele Mincione che gestiva alcuni fondi dove erano investiti i soldi del Vaticano, «l’investitore era Credit Suisse Ag e il titolare delle quote Credit Suisse London Nominees», la fiduciaria londinese del gruppo bancario. La posizione di Mincione – indagato per truffa, peculato, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio e destinatario di un provvedimento di sequestro da 48 milioni- era stata inizialmente stralciata a fine 2021 a seguito di diverse eccezioni della difesa sull’incompletezza degli atti di citazione. Il broker è stato rinviato nuovamente a giudizio insieme ad altri quattro imputati a gennaio 2022.

Rispondendo alle domande formulate dai giornalisti del consorzio, Wrm ha spiegato che negli stessi documenti del fondo Athena è scritto che «Credit Suisse Ag conferma di aver adempiuto a tutti gli obblighi applicabili di due diligence (…) nessuno dei nostri clienti investiti nel fondo attraverso la fiduciaria è una Pep, una persona o società con legami familiari o personali o di affari con Pep (persone politicamente esposte, ndr)». Ma questa affermazione non risulta proprio corretta: Giovanni Angelo Becciu e il monsignore responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato, Alberto Perlasca, entrambi con potere di firma nel conto di Credit Suisse, per quanto «a basso rischio» secondo la normativa europea in materia, sono senz’altro “Pep”, anche nell’esercizio delle loro funzioni per conto della Segreteria di Stato.

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28 giugno 2018: Papa Francesco (sullo sfondo) nomina durante il concistoro 14 cardinali, tra cui Giovanni Angelo Becciu (a destra) – Foto: Alessandra Benedetti – Corbis/Corbis via Getty Images

Gianluigi Torzi è stato invece il broker chiamato ad aiutare la Santa Sede ad uscire dal fondo di Mincione. I 15 milioni che avrebbe ottenuto come pagamento dell’intermediazione, secondo l’accusa, sarebbero stati poi reinvestiti in società di comodo che gli avrebbero procurato guadagni e illeciti benefici fiscali. Per questo è accusato di autoriciclaggio. Il 22 febbraio 2022 è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Milano per truffa in «operazioni di cartolarizzazione di crediti cosiddetti sanitari», il cui valore su carta superava il miliardo di euro. Torzi è stato anche coinvolto nell’indagine che riguarda la società di mutua assistenza Cesare Pozzo.

L’indagine della Gendarmeria vaticana

Indicazioni sul ruolo di Credit Suisse si trovano anche nei vari atti dell’indagine della Gendarmeria vaticana. Enrico Crasso spiega che furono due manager di Credit Suisse – Alessandro Noceti e Andrea Negri, entrambi poi usciti dalla banca – a introdurre nell’affare dei fondi della Santa Sede il finanziere Mincione, per trovare alternative all’investimento nel petrolio angolano voluto dal cardinale Angelo Becciu. Negri non è proprio un manager di secondo piano: all’epoca era a capo dell’investment banking per Credit Suisse a Londra. Di Noceti e dei suoi rapporti con il Vaticano c’è invece traccia nelle carte dell’indagine sul palazzo di Londra. A Becciu e Fabrizio Tirabassi, ex funzionario della Segreteria, viene infatti contestato anche il «tentativo di bonifico» da una società di Jersey a una società delle Isole vergini britanniche riferibile allo stesso Noceti. Il bonifico viene bloccato, ma qualche giorno dopo, il 9 gennaio 2018, mentre Oltretevere la vicenda degli investimenti fatti con i fondi dell’Obolo è già arrivata fino al Papa, il bonifico va a buon fine. A incassare è la Ruby Red, sede a Londra e anche questa secondo gli inquirenti riconducibile a Noceti.


CREDITI

Autori

Lorenzo Bagnoli
Gianluca Paolucci (La Stampa)

Editing

Luca Rinaldi

Foto di copertina

Franco Origlia/Getty Images